30/08/2016, 08.58
YEMEN
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Aden, kamikaze dello Stato islamico contro reclute dell’esercito: 71 morti e 98 feriti

L’attacco jihadista ha colpito un centro di addestramento per nuovi soldati. Le autorità yemenite parlano di “massacro” con “il più alto numero di vittime” mai registrato. Analisti ed esperti sottolineano che l’attentato mostra le difficoltà del governo a ristabilire la sicurezza. Governo e ribelli pronti a una nuova iniziativa di pace. 

Sana’a (AsiaNews/Agenzie) - È di 71 morti e almeno 98 feriti il bilancio aggiornato di un attentato suicida sferrato ieri ad Aden, nel sud dello Yemen, da parte delle milizie dello Stato islamico (SI) attive nel Paese. Obiettivo dell’attentato erano le giovani reclute dell’esercito regolare, che combatte sia contro i ribelli Houthi che contro i movimenti estremisti islamici, fra i quali lo stesso Daesh [acronimo arabo per lo SI] presenti sul territorio. 

L’attacco di ieri ha preso di mira un centro di addestramento nella zona settentrionale di Aden. Il kamikaze, a bordo di un camion imbottito di esplosivo, ha diretto il proprio mezzo contro un gruppo di nuove reclute presenti in quel momento nel campo, in attesa di ricevere il pasto del mattino.  

Nel tardo pomeriggio i vertici dello SI hanno rivendicato l’attacco ad Aden, capitale “provvisoria” dello Yemen, nella porzione di territorio controllata dai governativi; le autorità yemenite parlano di “massacro”, con “il più alto numero di vittime mai verificatosi prima in città”. 

Testimoni raccontano che l’esplosione è stata così forte “da provocare il crollo del soffitto” di “un’aula”, che è piombato addosso “alle numerose reclute” presenti al momento nella zona.  

Negli ultimi due mesi i vertici governativi hanno reclutato e addestrato centinaia di soldati ad Aden, nel contesto di una campagna lanciata per riconquistare le province meridionali nelle mani dei jihadisti. Tuttavia, analisti ed esperti sottolineano che l’attacco di ieri mostra le difficoltà incontrate delle autorità locali nel cercare di ristabilire la sicurezza nell’area. 

Intanto, governo e ribelli hanno risposto in modo positivo a una nuova iniziativa di pace, lanciata dai Paesi del Golfo per mettere la parola fine conflitto. L’obiettivo è la ritirata dei ribelli Houthi dalla capitale Sana’a e la formazione di un governo di unità nazionale. I ribelli hanno aperto ai colloqui, a condizione che la coalizione a guida saudita fermi gli attacchi e l’assedio ai territori sotto il loro controllo. 

Dal gennaio 2015 la nazione del Golfo è teatro di un sanguinoso conflitto interno che vede opposte la leadership sunnita, sostenuta da Riyadh, e i ribelli sciiti Houthi, vicini all’Iran. Nel mese di marzo, i sauditi a capo di una coalizione hanno lanciato raid aerei contro i ribelli nel tentativo di liberare la capitale Sana’a e riconsegnare il Paese al presidente (prima in esilio, poi rientrato) Abdu Rabu Mansour Hadi.

Nei bombardamenti - finiti nel mirino delle Nazioni Unite per le vittime civili, anche bambini - sono morte circa 6600 persone. Almeno 2,5 milioni gli sfollati del conflitto. 

Per l’Arabia Saudita gli Houthi, alleati alle forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, sono sostenuti sul piano militare dall’Iran; un’accusa che Teheran respinge. Nel Paese sono inoltre attivi gruppi estremisti legati ad al Qaeda e milizie jihadiste legate allo Stato islamico, che hanno contribuito ad aumentare la spirale di violenza e terrore.

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