18/05/2015, 00.00
MALAYSIA - INDONESIA - ASIA
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Barconi di migranti ricacciati in mare. Attivista malaysiano: i boat-people problema Asean

In queste ore la situazione è critica ad Aceh, dove si registrano altri sbarchi. L’Onu con la Thailandia, per un summit regionale per il 29 maggio. Cattolico malaysiano: l’emergenza profughi causata dal Myanmar, che non concede la cittadinanza ai Rohingya. All’Asean il compito di adottare una politica di accoglienza.

Kuala Lumpur (AsiaNews) - Nei mari del Sud-est asiatico continua l’emergenza migranti, con migliaia di persone in fuga da persecuzioni e abusi alla deriva in mare aperto, a bordo di imbarcazioni di fortuna o alla ricerca di una costa in cui attraccare. Jakarta e Kuala Lumpur, le due nazioni più coinvolte, hanno accolto finora solo i sopravvissuti delle navi affondate, mentre gli altri sono stati traghettati al largo delle coste, oltre le rispettive acque territoriali. In queste ore la situazione è critica a Langsa, nella provincia indonesiana di Aceh, dove sono sbarcati ore fa almeno 1500 boat-people. Il sindaco della città chiede aiuto “immediato” al governo centrale e “a qualsiasi altra istituzione” di buona volontà. In tutta la regione sud-est asiatica sembra non vi siano governi desiderosi di affrontare il dramma e garantire ai disperati - in larga maggioranza Rohingya provenienti dal Myanmar, cui si uniscono lavoratori migranti del Bangladesh - un riparo sicuro.

Gli occhi della regione sono puntati sul governo di Naypyidaw, accusato di aver dato origine all’emergenza con ripetuti attacchi e violenze ai danni dei Rohingya, minoranza musulmana oggetto di persecuzioni in Myanmar. Il governo birmano respinge le accuse e afferma di non avere alcuna responsabilità nella vicenda. Un fuoco incrociato di accuse e ritorsioni, che aggiunge ulteriore drammaticità a una situazione già sull’orlo del collasso. 

Nelle ultime settimane migliaia di “boat-people” provenienti da Myanmar e Bangladesh hanno raggiunto a nuoto la riva, sono stati recuperati o intercettati al largo delle coste indonesiane e malaysiane. Una crisi che si è acuita con il giro di vite imposto dalla Thailandia - vero e proprio crocevia della tratta - sul commercio di vite umane, dopo la scoperta di una fossa comune nei pressi del confine con la Malaysia al cui interno erano sepolti decine di cadaveri di Rohingya.

Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite, ha manifestato pieno sostegno all’iniziativa del governo della Thailandia, che ha proposto un summit regionale a Bangkok per il 29 maggio prossimo. Durante una conversazione telefonica con il premier Prayut Chan-o-chan, il capo della diplomazia Onu parla di iniziativa “significativa” per affrontare l’emergenza migranti e dar vita a una coalizione internazionale cui spetterà il compito di risolvere il problema. Al vertice sono invitati i leader di 15 Paesi, fra cui Indonesia, Malaysia, Bangladesh, Australia e Stati Uniti. 

Anil Netto, editorialista di Herald Malaysia, esperto in questioni legate ai diritti umani e ai problemi di ingiustizie in campo socio-economico, afferma che “per troppo tempo si è ignorato il problema” della tratta di vite umane nella regione. E il fenomeno si è andato “diffondendo” e “ora la questione è esplosa” in tutta la sua portata e drammaticità. Ad AsiaNews spiega che “il dramma dei boat-people ha raggiunto livelli di allerta in altre parti del mondo”, basti pensare a quanti “fuggono dalle aree teatro di conflitto in Medio oriente” e si dirigono “verso l’Europa” in cerca di un riparo sicuro. 

L’attivista e studioso malaysiano afferma che il governo di Kuala Lumpur, in base ai “principi di umanità”, dovrebbe consentire ai boat-people Rohingya “di trovare un riparo sicuro” nel Paese, in attesa che venga trovata “una soluzione” comune e di lungo periodo. Egli auspica un “maggiore coinvolgimento” a livello di Paesi Asean ed è “vergognoso” che alcuni dei governi parte dell’associazione “si lavino le mani di fronte al problema”. 

Egli condanna la politica dei respingimenti adottata da Jakarta e Kuala Lumpur, perché “non si può fuggire di fronte alle responsabilità”. La radice della questione, avverte, ruota attorno l’ingresso del Myanmar a pieno titolo in seno all’Asean e “alla legittimazione” garantita alla sua leadership militare, che in patria è causa di violenze e abusi. E i Rohingya, privati del diritto di cittadinanza, sono una dei più gravi elementi di controversia. Come molti altri studiosi, Anil Netto afferma che “la soluzione alla crisi” è “semplice” e consiste nel “garantire la cittadinanza ai Rohingya in Myanmar”, per questo l’Asean deve “esercitare pressioni” diplomatiche edi altro tipo su Naypyidaw. “L’Asean - conclude - ha un ruolo da svolgere nel fornire un rifugio sicuro ai boat-people, sino a che non verrà trovata una soluzione definitiva”. 

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