09/11/2020, 12.32
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Biden presidente: non cambia la sostanza della politica Usa in Asia

di Emanuele Scimia

L’obiettivo primario rimane il contenimento della Cina. L’incognita Corea del Nord e il mantenimento dello status quo a Taiwan. Possibile il rientro nella Trans-Pacific Partnership. Impegno per ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano e bilanciare le relazioni con Israele e palestinesi.

Roma (AsiaNews) – La politica estera degli Usa in Asia non dovrebbe subire cambiamenti drammatici con l’elezione alla presidenza di Joe Biden. Secondo analisti ed esperti, il nuovo inquilino della Casa Bianca modificherà più la forma che la sostanza, privilegiando un approccio più multilaterale. In linea di massima, l’obiettivo di fondo di Washington rimarrà lo stesso di Donald Trump: contenere la crescita della potenza cinese e limitare la propria presenza nel Medio Oriente. Di seguito una rassegna delle principali sfide che il nuovo presidente degli Stati Uniti si troverà ad affrontare.

La sconfitta di Donald Trump alle presidenziali Usa dovrebbe essere accolta con favore in Cina: per diversi osservatori non è così. Sin dal suo insediamento nel 2017, l’attuale inquilino della Casa Bianca ha incalzato Pechino su molti fronti: commercio, diritti umani, nuove tecnologie e sicurezza nel Mar Cinese meridionale e lungo lo Stretto di Taiwan.

Al Congresso Usa vi è un accordo trasversale tra democratici e repubblicani sulla necessità di contrastare l’ascesa del gigante asiatico; su questa premessa, agli occhi della leadership cinese l’annunciata volontà di Joe Biden di ricucire le relazioni con gli alleati in Asia rischia di rinsaldare la posizione di Washington nel Pacifico occidentale.

I rapporti tra Usa e India non dovrebbero cambiare con l’arrivo della nuova amministrazione. Tra Trump e il premier indiano Narendra Modi (nazionalista indù) vi è stata una certa sintonia. Il bisogno di fronteggiare la “minaccia cinese” nell’area indo-pacifica spingerà però Delhi e Washington a rafforzare la cooperazione strategica, anche con il contributo di Giappone e Australia. L’origine indiana della vice presidente eletta Kamala Harris – la cui elezione è stata salutata con favore da Modi – potrebbe aiutare a cementare ancor di più l’avvicinamento tra le due parti.

È probabile che la Corea del Nord preferisse un nuovo mandato di Trump. Gli “storici” vertici tra Kim Jong-un e “The Donald” hanno allentato la pressione sul regime nordcoreano, sebbene non abbiano portato a risultati concreti: Pyongyang ha continuato a sviluppare il suo arsenale nucleare e Washington non ha cancellato o ridotto le sanzioni per arginarlo. Anche Seoul ha apprezzato i tentativi del presidente Usa di mettere fine a 70 anni di conflitto tra Nord e Sud. Con Biden essa troverà però un interlocutore meno rigido sul problema dei costi della presenza delle truppe Usa in territorio sudcoreano.

Secondo i sondaggi pre-elettorali, la popolazione di Taiwan voleva un secondo mandato per Trump, auspicio condiviso dal governo di Tsai Ing-wen. Nel congratularsi con Biden, la presidente taiwanese ha sottolineato però che non si aspetta un cambio di traiettoria nelle relazioni tra i due Paesi. Repubblicani e democratici sostengono in egual modo l’indipendenza di fatto dell’isola dalla Cina (che considera Taipei una provincia ribelle da riconquistare). Con il nuovo presidente Usa si prevedono meno vendite di armi rispetto all’amministrazione Trump, ma un più attivo sostegno per la partecipazione di Taiwan ai forum internazionali.

Per la sua azione muscolare nei confronti della Cina, il Vietnam avrebbe preferito la riconferma di Trump. L’intenzione di Biden di rinegoziare l’ingresso di Washington nella Trans-Pacific Partnership (Tpp) è un segnale della sua volontà di continuare a costruire nel sud-est asiatico un fronte di opposizione alla Cina. Il Tpp è stato firmato nel 2016 dagli Usa e da altri 11 Paesi della regione pacifica, incluso il Vietnam. Il grande accordo di libero scambio, che rappresentava il 40% del commercio mondiale, era visto dall’amministrazione Obama come uno strumento di soft-power per contenere la crescita cinese: esso venne abbandonato da Trump all’inizio del suo mandato, e incontra oggi una certa opposizione anche da settori protezionisti del Partito democratico.

Ali Khamenei, la guida suprema dell’Iran, ha dichiarato che il risultato delle elezioni Usa non cambierà la politica del proprio Paese. È più probabile che il presidente Hassan Rouhani abbia accolto con favore la vittoria di Biden, che ha promesso di far rientrare Washington nell’accordo sul programma nucleare di Teheran. Siglato nel 2015 su iniziativa dell’amministrazione Obama, il Jcpoa prevedeva il contenimento delle attività nucleari iraniane in cambio di un ammorbidimento delle sanzioni internazionali alla Repubblica islamica. Contrario ai suoi termini, Trump ha decretato il ritiro degli Stati Uniti dall’intesa nel maggio del 2018 e reintrodotto le sanzioni prima cancellate.

Israele si aspetta dei cambiamenti con l’arrivo di Biden, ma non tali da mettere in dubbio le solide relazioni con Washington. Trump ha assecondato in larga parte gli orientamenti del premier Benjamin Netanyahu, proponendo un nuovo piano di pace per la creazione di due Stati che penalizza le richieste territoriali dei palestinesi e favorisce quelle degli israeliani. Con il nuovo corso, anche sulla spinta della sinistra del Partito democratico, Washington dovrebbe riequilibrare la sua posizione.

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