10/05/2012, 00.00
MYANMAR
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Dissidente birmano: l'Fmi sogna il boom economico, ma la nostra dignità vale di più

Per il Fondo monetario internazionale il Paese potrebbe diventare “la prossima frontiera” dell’Asia. Gli esperti invocano “riforme appropriate” da affiancare a “forza lavoro e risorse naturali”. Tint Swe, membro Nld in India, sottolinea che “la ricchezza non è la sola aspirazione”, ma conta “la prosperità di tutta la popolazione”.

New Delhi (AsiaNews) - "La maggioranza dei birmani ammira le Tigri asiatiche", le nazioni protagoniste del boom economico degli anni '90 fra cui Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e Singapore; tuttavia, la ricchezza materiale "non è la sola aspirazione" perché ciò che davvero conta per il Myanmar sono "la prosperità di tutta la popolazione e una vita vissuta con piena dignità". È quanto afferma ad AsiaNews Tint Swe, leader birmano in esilio e rappresentante della Lega nazionale per la democrazia (Nld) in India, commentando i dati economici sul suo Paese, pubblicati nei giorni scorsi dal Fondo monetario internazionale (Fmi). "Perché - aggiunge lo storico dissidente, fuggito nel 1990 per scampare alla repressione del regime militare - il desiderio di benessere della gente non sempre coincide con il raggiungimento degli indicatori economici" fissati dagli organismi finanziari internazionali.

Il rapporto 2011 del Fmi sul Myanmar, il primo dopo anni di isolamento del regime birmano, afferma che il Paese "potrebbe diventare la prossima frontiera economica dell'Asia" se, attraverso "riforme appropriate", saprà trasformare in punti di forza "le risorse naturali, la forza lavoro giovane e la vicinanza con alcune economie dinamiche". Per il prossimo anno gli esperti prevedono una crescita del 6%, a fronte del 5,5 previsto per il 2011. Dal documento emerge inoltre che fra gli obiettivi resta primario quello della "stabilità economica" e dell'inflazione, con un ruolo fondamentale giocato dalla moneta locale, il kyat, a "fluttuazione controllata". Il Fondo auspica ulteriori "liberalizzazioni e privatizzazioni", pur ammettendo che "i settori migliori" sono già occupati da compagnie vicine alla precedente giunta militare o legate a imprese straniere. Tuttavia vi possono essere miglioramenti "nell'energia e nell'industria", cui si unisce - per la prima volta - un taglio alle spese militari e maggiori risorse destinate all'istruzione.


Per analizzare la situazione del Myanmar, AsiaNews ha intervistato Tint Swe, dissidente birmano e attuale rappresentante della Lega nazionale per la democrazia (Nld) in India:

Dottor Swe, le riforme in Myanmar sono solo economiche o vi sono dei passi in avanti nel solco della democrazia?
Finora non si può dubitare che vi siano stati dei cambiamenti in Birmania, nazione che sta abbandonando la legge marziale, il potere del partito unico e la repressione dei militari. Tuttavia, nel concreto non si può parlare di riforme economiche, sebbene vi siano state rimozioni alle restrizioni e alcune misure sono state effettivamente compiute. Ma va detto che queste trasformazioni sono state fatte dopo che la base al potere si è protetta dietro una cortina e le holding economiche sono finite nelle mani della combriccola che regge le fila della nazione. Al tempo stesso, tutte le più importanti opportunità in campo economico sono saldamente nelle mani dei militari e dei loro scagnozzi.

E la rimozione delle sanzioni, invocata a gran  voce?
Vi sono alcuni che hanno chiesto la loro cancellazione non per motivi validi, ma per il proprio tornaconto. Le nazioni vicine e i Paesi dell'Asia non hanno nessun interesse alla questione dei diritti umani e alla pratica del lavoro forzato, eppure anch'esse hanno chiesto la rimozione delle sanzioni. È vero che l'economia e il benessere sono importanti. Ma va anche ricordato che la Birmania dal 1987 è inserita nella lista ufficiale delle Nazioni meno sviluppate (la Least Developed Country, Ldc). E a fronte di una popolazione assai povera, vi sono pochissimi miliardari che altri non sono se non i generali dell'esercito e i loro compari.
La nazione è ricca per nascita, grazie alla presenza di enormi risorse naturali. Ma il legname pregiato e il pescato sono andati scomparendo sotto le grinfie dello State Law and Order Restoration Council (Slorc, il vecchio nome della giunta militare, ndr); i gas naturali [sperperati] dallo State Peace and Development Council (Spdc). E i proventi non sono andati allo Stato per uso pubblico e non vi sono segnali perché il Paese possa uscire a breve dallo status di Ldc.
Oggi il Myanmar deve ripartire da zero. Finora i cambiamenti sono solo di superficie. Ancora oggi milioni di migranti e di rifugiati non possono tornare a casa perché non vi sono posti di lavoro, non vi è una migliore istruzione e strutture sanitarie adeguate. Il 65% della popolazione agricola va impiegato; per rimediare ai danni fatti nel campo dell'educazione serviranno almeno due decenni. La corruzione radicata rappresenta una sfida. È vero, esistono persone di buona volontà che intendono far progredire il Paese, ma molti di loro non sanno nemmeno da che parte iniziare.

Nel recente passato la Cina è stata il principale partner commerciale. L'apertura al mercato e ad altri Paesi porterà anche maggior attenzione ai diritti umani?
Sarebbe un grave errore far affidamento sull'aiuto di qualcuno, che può anche andar bene in alcuni casi ma non è necessariamente vincente per la Birmania. Anche il metro di giudizio del Fmi può essere più o meno valido, per valutare le riforme economiche e finanziarie birmane. Il tasso di crescita e il Prodotto interno lordo (Pil) in cifre non sono sempre indicative del benessere generale della popolazione.
Dall'entrata in vigore della Legge sugli investimenti esteri diretti nel 1988 fino al marzo 2010, oltre 30 nazioni straniere hanno investito più di 16 miliardi di dollari per 400 diversi progetti in Myanmar. Tuttavia, la maggior parte del volume di affari relativi all'Fdi hanno riguardato il petrolio e il gas naturale, seguite dall'energia. Ma non vi sono stati aumenti significativi nell'agricoltura e nella produzione industriale. Nonostante la crescita degli investimenti esteri, le opportunità di lavoro, i prodotti della manifattura e il settore agricolo hanno registrato progressi insignificanti. Se guardiamo al Pil per settori, per quanto concerne l'agricoltura la fetta di torta si fa sempre più piccola: dal 58,8% del 1991, al 57,1% del 2001, per finire al 36,4% nel 2010. Questo significa che i contadini non traggono alcun beneficio dalla crescita.

Dottor Swe, il Myanmar sarà davvero la "nuova frontiera" economica dell'Asia?
Sì, il Myanmar può davvero rappresentare una potenziale frontiera economica. Il popolo birmano è stato massacrato ed emarginato da regimi dittatoriali. Prova vergogna per quanto ha patito ed è desideroso di mostrare la propria abilità e il proprio talento. Tuttavia, sarà necessario l'aiuto dall'esterno e maggiori cambiamenti all'interno. Gli uomini di affari di tutto il mondo hanno un unico obiettivo: soldi e profitto. Condividere i benefici va bene. In ogni caso, a questo punto della congiuntura i benefici reciproci non implicano che le multinazionali debbano continuare a fare affari con i tycoon birmani, a dispetto del popolo.

Quali sono le maggiori preoccupazioni?
Le grandi dighe, i progetti sconfinati, i gasdotti che attraversano in lungo e in largo il Paese devono essere valutati con attenzione per l'impatto ambientale, la cacciata degli abitanti locali interessati dai progetti, il lavoro forzato e i legittimi compensi. Trasparenza e tracciabilità sono ancora un lontano miraggio nella Birmania di oggi. E anche la neonata Commissione nazionale sui diritti umani non è un organismo indipendente.

E gli stranieri quale impatto hanno sulla vita economia e sociale birmana?
Non vi è ancora una società civile interna ben radicata. E le organizzazioni non governative possono essere divise in due parti: quelle che hanno sostenuto le elezioni del 2010, pensando che la Nld avesse perso la sua battaglia politica e che cercavano di creare una terza forza. Queste sono un esempio della confusione e dei problemi che possono creare gli stranieri, alcuni dei quali non sono in grado di capire la Birmania e leggere bene la realtà odierna. Fra le secondo, annoveriamo le ong entrate dietro indicazione di Aung San Suu Kyi.
Chi vuole fare del bene al Myanmar deve capire che non vi è un tempo buono e uno cattivo nella storia del Paese. E la competizione fra militari e democrazia è tuttora in vigore. Invece di rafforzare il fronte democratico, si rischia di provocare divisioni. La maggioranza dei birmani ammira le tigri asiatiche; tuttavia, la ricchezza materiale non è la sola aspirazione perché ciò che davvero conta per il Myanmar - insieme ai diritti e alla cura dell'ambiente - sono la prosperità di tutta la popolazione e una vita vissuta con piena dignità. (DS)

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