26/05/2016, 11.43
CINA - VATICANO
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Evangelizzare la Cina per il bene della società, chiedendo la fine delle persecuzioni

di Bernardo Cervellera

Cristiani ufficiali e sotterranei hanno festeggiato la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina, voluta da Benedetto XVI. Nella Cina segnata da individualismo e corruzione, accademici e studiosi consigliano di dare più libertà all’economia e libertà religiosa alle comunità. Le religioni, guardate con sospetto dalla leadership, sono in realtà uno dei pochi collanti per una società solidale e creativa. Lo strano silenzio di alcuni pubblicisti sulle persecuzioni. La priorità è formare il clero, le religiose, i fedeli. Ora è il momento favorevole per l’evangelizzazione della Cina.

Roma (AsiaNews) - Diverse migliaia di fedeli da Shanghai e dalla provincia hanno partecipato lo scorso 24 maggio al pellegrinaggio al santuario della Madonna di Sheshan, nel giorno in cui tutta la Chiesa celebra la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina. L’idea della Giornata di preghiera è stata lanciata da Benedetto XVI con la sua Lettera ai cattolici cinesi del 2007 per rafforzare la loro unità, insieme al successore di Pietro; per amare e pregare per i persecutori; per ricevere dalle Chiese di tutto il mondo “fraterna solidarietà e sollecitudine”, insieme alla “perseveranza” nella loro testimonianza.

Dal 2008 in poi, nel timore di vedere radunate troppe persone unite dalla stessa fede, il governo ha proibito a tutte le diocesi cinesi, meno quella di Shanghai, di compiere il pellegrinaggio il 24 maggio, giorno della festa di Maria, venerata come “Aiuto dei cristiani”.

L’anno scorso ero a Sheshan proprio il giorno della festa e con commozione ho visto le migliaia di fedeli salire in ginocchio (come per una Scala santa) i gradini che portano al santuario, fino alla messa nella chiesa colma all’inverosimile, senza alcuno spazio per muoversi all’interno, in un’atmosfera di adorazione e di gioiosa fraternità. E non c’è alcuna differenza fra cattolici “ufficiali” e “sotterranei”, una divisione che è compiuta anzitutto dal governo che per questo ha ricevuto anche le critiche dell’Onu.

Proprio questi testimoni di fede e di amore sono quelli che la polizia cinese controlla, frena, soffoca e spesso arresta e uccide, come il p. Wei Heping, ritrovato “suicidato” a Taiyuan lo scorso novembre. Il pellegrinaggio della diocesi di Shanghai a Sheshan, lo scorso 11 maggio, ha fatto ricordare che la diocesi non ha un vescovo: le cerimonie erano guidate da diversi sacerdoti, ma da nessun pastore. L’unico vescovo presente in diocesi, dopo la morte di mons. Aloysius Jin Luxian (ufficiale) e di mons. Giuseppe Fan Zhongliang (sotterraneo), è il giovane mons. Taddeo Ma Daqin. Egli è però agli arresti domiciliari dal 2012, dal giorno della sua ordinazione episcopale solo perché aveva deciso e annunciato in pubblico di volere dimettersi dall’Associazione patriottica, per usare tutto il suo tempo all’evangelizzazione e alla cura del suo popolo.

Papa Francesco – pur non citando i casi di persecuzione – nell’Angelus del 22 maggio scorso, ricordando la Giornata di preghiera, ha detto che i cristiani, assieme ai membri delle altre fedi, possono “divenire segno concreto di carità e di riconciliazione”, promuovendo “un’autentica cultura dell’incontro e l’armonia dell’intera società”.

Il punto è che il governo cinese vede ancora il cristianesimo (e tutte le religioni) come qualcosa di negativo, da controllare, e non si accorge che la dimensione religiosa è parte dell’esperienza umana e anzi, grazie ad essa si può costruire una moralità nella società che l’ideologia non riesce a garantire. Da anni studiosi dell’Accademia delle scienze sociali sottolineano l’importanza delle religioni come collante sociale nella Cina che diventa individualista e corrotta. Fra questi vi è l’accademico Liu Peng, che in una serie di interventi pubblicati su AsiaNews mostra tutta la fragilità di cui è intessuto lo Stato cinese, la cui ideologia marxista non è più condivisa dalla maggioranza della popolazione. Secondo Liu Peng, per evitare il collasso del Paese, i governanti devono porre attenzione alle fedi e alle religioni dei loro sudditi.

Studiosi di questo grande Paese suggeriscono al governo di lasciare più creatività agli individui per permettere alla società e all’economia di crescere, se non si vuole soffocare lo sviluppo conquistato in questi decenni. David Shambaugh, grande osservatore della Cina da 40 anni e amico personale di diversi leader del Partito comunista, nel suo libro pubblicato lo scorso marzo, “China’s future” (il futuro della Cina), suggerisce che per mantenere il livello attuale di sviluppo nel Paese, occorre che la leadership apra di più alle libertà individuali e anche alla libertà religiosa. Senza questo passo, la Cina rischia di scivolare in un totalitarismo asfissiante che mina i risultati economici e accresce le tensioni sociali fino a farle scoppiare.

Proprio la situazione di materialismo dominante, l’essere trattati come un oggetto di controllo, spingono molti cinesi ad abbracciare una fede, soprattutto la fede cristiana. E i cristiani in Cina operano proprio come chiede papa Francesco, diventando “segno concreto di carità e di riconciliazione”, e promuovendo “un’autentica cultura dell’incontro e l’armonia dell’intera società”. In molte diocesi i cristiani sono noti perché aiutano i poveri migranti interni, vivono non per il solo profitto, curano gli anziani dimenticati. Essi potrebbero essere ancora più efficaci se ci fossero meno controlli e meno arresti.

Chiedere la fine della persecuzione e maggiori garanzie di libertà religiosa è per il bene – anche economico – della Cina, per rendere più solida e solidale la società cinese.

Purtroppo fra diversi pubblicisti nostrani è invalso l’uso di tacere sulle persecuzioni come un modo per favorire lo sviluppo della Cina e i rapporti diplomatici con il Vaticano. Ma se è comprensibile che un papa e il suo segretario di Stato tacciano sulle persecuzioni, per lasciare aperto un canale di comunicazione col governo cinese, non lo è per tanti corifei che hanno deciso di suonare “il violino sul tetto”, nascondendo i drammi della casa di sotto. Per non parlare poi del fatto che il compito di noi cristiani non è “lavorare per i rapporti fra Cina e Vaticano”: questo è il lavoro dei diplomatici; il nostro è quello di evangelizzare la Cina. Un sacerdote di Pechino mi diceva giorni fa: “Aiutateci a evangelizzare la Cina; aiutateci a formare sacerdoti, religiosi e laici: questa è la nostra priorità”.

Come ha detto mons. Stephen Lee, nuovo vescovo di Macao: “Ora è il momento opportuno dell’evangelizzazione in Cina”. E questo compito spetta ai cinesi e a tutti i cristiani.

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