23/02/2021, 11.47
MYANMAR
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G7, Ue, Malaysia, Indonesia sempre più critici verso il colpo di Stato in Myanmar

di Francis Khoo Thwe

Il gruppo del G7 condanna la violenza dei militari, chiede la liberazione dei prigionieri politici e sostiene la “richiesta di democrazia e libertà” della popolazione. La Ue ha deciso sanzioni mirate e il blocco degli aiuti umanitari diretti al governo di Naypyidaw. Il ripensamento dell’Indonesia (che “sostiene il popolo del Myanmar”). Una corte della Malaysia ferma il rimpatrio di 1200 migranti illegali. Fra di loro vi sono alcuni bisognosi del diritto di asilo.

Yangon (AsiaNews) – A oltre 3 settimane dal colpo di Stato militare e dall’arresto delle maggiori personalità democratiche del Paese, crescono le critiche alla giunta anche da Paesi dell’Asean (Associazione dei Paesi del sudest asiatico), tradizionalmente silenziosi e per nulla desiderosi di entrare negli “affari interni” di un altro Paese loro alleato.

A Londra, il gruppo dei Paesi del G7 (Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Gran Bretagna), insieme all’alto rappresentante dell’Unione europea (Ue), in una dichiarazione oggi hanno espresso la loro opposizione alla presa di potere dei militari e criticato le loro violenze. “L’uso di proiettili letali contro persone disarmate – essi dicono - è inaccettabile. Chiunque risponda con la violenza alle proteste pacifiche sarà considerato responsabile”.

Il G7 esige la fine del “sequestro sistematico” di dimostranti, dottori, membri della società civile, giornalisti e domandano la revoca dello stato di emergenza dichiarato dalla giunta. “Noi – continuano – siamo uniti nel condannare il colpo di Stato in Myanmar. Chiediamo ancora una volta il rilascio immediato e incondizionato di coloro che sono detenuti in modo arbitrario”, in particolare Aung San Suu Kyi e il presidente Win Myint. Il G7 si dichiara “a fianco del popolo del Myanmar nella loro richiesta di democrazia e libertà”.

Ieri, i ministri degli Esteri della Ue hanno deciso di imporre sanzioni mirate contro i militari che hanno gestito il colpo di Stato e hanno bloccato gli aiuti allo sviluppo diretti al governo del Myanmar.

L’alto rappresentante Ue Josep Borrell ha anche precisato che il blocco non fermerà i legami commerciali con il Paese, nel timore di colpire in questo modo anche la popolazione in generale.

Fra i Paesi occidentali, gli Stati Uniti, il Canada e la Gran Bretagna hanno già varato alcune sanzioni mirate contro i generali che guidano il golpe.

Gli Usa, insieme a India, Giappone e Australia, (il cosiddetto “Quad”, Quadrilateral Security Dialogue), hanno dichiarato di volere un ritorno “urgente” della democrazia in Myanmar.

La Cina, da parte sua, ha dapprima consigliato a tutti di non immischiarsi negli “affari interni” di un altro Paese; poi ha espresso di “non essere contenta” con il colpo di Stato, negando ufficialmente di stare aiutando la giunta con l’invio di soldati e armi.

Fra i critici del golpe cominciano ad esservi anche alcuni Paesi del sud-est asiatico. Il governo di Singapore, maggior investitore straniero in Myanmar, dopo aver definito poco efficaci le sanzioni, ha dichiarato di volere il ritorno della democrazia. Oggi si sono aggiunte Indonesia e Malaysia.

Quest’oggi, il ministro indonesiano degli Esteri, Retno Marsudi, ha dichiarato che in Myanmar “deve essere perseguita la transizione democratica inclusiva, secondo i desideri del popolo”. In precedenza, secondo alcune voci, ella stava cercando di avallare la proposta della giunta di tenere nuove elezioni: una decisione criticata con forza dalla popolazione in Myanmar, che con le elezioni del novembre scorso ha permesso una vittoria strabiliante della Lega nazionale per la democrazia. “L’Indonesia – ha detto Retno oggi – è preoccupata per la situazione e sostiene il popolo del Myanmar”.

La Malaysia aveva all’inizio espresso “serie preoccupazioni” per il colpo di Stato, Ma giorni dopo aveva accettato l’offerta della giunta di rimpatriare 1200 migranti illegali in Myanmar. Fra loro vi sono membri della comunità cristiana Chin e gruppi dell’etnia Shan e Kachin, in lotta contro l’esercito. Grazie alle pressioni di attivisti umanitari, oggi una corte malaysiana ha revocato l’ordine di rimpatrio. L’Onu ha richiesto di verificare se fra i migranti vi sono persone che hanno bisogno di asilo. Secondo le Nazioni Unite vi sono almeno sei di loro che necessitano della protezione internazionale

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