10/10/2025, 12.20
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Passa per l’Afghanistan il nuovo fronte del conflitto tra Delhi e Islamabad

Oggi l'India ha deciso di riaprire la propria ambasciata a Kabul, segnando un passo politico senza precedenti verso il governo dei talebani. L’annuncio è avvenuto dopo che il Pakistan ha lanciato un bombardamento sulla capitale afghana nel tentativo di eliminare il leader dei talebani pakistani (TTP), Noor Wali Mehsud. Si tratta di vicende che si inseriscono nella nuova fase di scontro tra India e Pakistan, iniziata con l’Operazione Sindoor lanciata a maggio da Delhi in risposta a un attentato in Kashmir.

New Delhi (AsiaNews) - Questa mattina l’India ha elevato la propria missione tecnica in Afghanistan al rango di ambasciata, proprio mentre ieri sera il Pakistan ha bombardato Kabul con l’obiettivo dichiarato di eliminare il leader dei talebani pakistani (Tehrik-e Taliban Pakistan o TTP). Due azioni diverse, ma che si inseriscono entrambe nella nuova fase di conflitto tra India e Pakistan iniziata a maggio: Delhi aveva lanciato l’Operazione Sindoor in risposta a un attentato terroristico nella regione del Kashmir in cui erano morte decine di persone, perlopiù turisti indiani. Da allora i due vicini dell’Asia meridionale hanno mantenuto una retorica bellicosa e cercato nuove alleanze: il Pakistan, importante alleato cinese, ha ottenuto un riavvicinamento con gli Stati Uniti, mentre l’India sta approfondendo ulteriormente i legami diplomatici con il governo dei talebani, tornati al potere ad agosto 2021 dopo vent’anni di guerra in seguito al ritiro delle forze NATO a guida statunitense dall’Afghanistan.

Al tempo l’India, come diversi altri Paesi, aveva chiuso la propria ambasciata a Kabul, ma nel 2022 aveva avviato una piccola missione allo scopo dichiarato di facilitare i commerci e l’invio di aiuti umanitari. Questa mattina, il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, alla presenza dell’omologo talebano, Amir Khan Muttaqi, ha annunciato che l’ambasciata indiana a Kabul tornerà a operare in piena regola, nonostante il governo indiano non abbia mai formalmente riconosciuto il governo dell’Emirato islamico: “L’India è pienamente impegnata a garantire la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza dell'Afghanistan”, ha detto Jaishankar a Muttaqi nel suo discorso di apertura. “Una più stretta cooperazione tra noi contribuisce allo sviluppo nazionale, nonché alla stabilità e alla resilienza della regione”, ha aggiunto.

Il viaggio di Muttaqi in India, frutto di un lungo lavoro diplomatico di Delhi, è stato reso possibile grazie a una revoca temporanea delle sanzioni da parte dell’Onu nei suoi confronti. La visita, che durerà una settimana, si inserisce negli sforzi portati avanti dai talebani di uscire dal proprio isolamento diplomatico (ed economico), ma avviene in un momento di grande tensione con il Pakistan.

La riconquista talebana del 2021 e la creazione dell’Emirato islamico in Afghanistan ha infatti galvanizzato i talebani pakistani, nati come un’alleanza di milizie nel 2007 in risposta al sostegno di Islamabad all’invasione dell’Afghanistan da parte occidentale. Il gruppo, che era stato quasi del tutto annientato nel 2018 in seguito a una serie di operazioni militari condotte dall’esercito, mira a ricreare un governo islamico anche in Pakistan, colpendo le infrastrutture statali, e soprattutto poliziotti e soldati, con micidiali attentati terroristici. Ieri, per esempio, il gruppo ha rivendicato un attacco condotto il 7 ottobre con un’autobomba contro un quartier generale delle forze dell’ordine in cui sono morti 11 militari. Questa mattina l’esercito pakistano, accusando l’India di sostenere i terroristi, ha annunciato di aver ucciso i 30 combattenti responsabili dell’attentato.

Negli ultimi quattro anni Islamabad ha faticato a contenere l’escalation di violenza. Il Pakistan è diventato il secondo Paese più colpito al mondo per terrorismo dopo il Burkina Faso. Secondo il think tank locale Pak Institute for Peace Studies, non si registravano così tanti attentati dal 2015. 

Nonostante Kabul abbia più volte negato, i TTP ricevono la protezione e il sostegno finanziario dei “cugini” afghani e operano soprattutto nella provincia del Khyber Pakhtunkhwa, dove nei giorni scorsi si è dimesso il chief minister locale, Ali Amin Gandapur, su richiesta dell’ex premier Imran Khan, oggi in carcere e ritenuto responsabile di un riavvicinamento politico con i TTP. Le dimissioni di Gandapur rientrano probabilmente in una mossa politica per permettere al governo di Islamabad di operare liberamente nella regione contro i talebani pakistani. Quest’estate, l’esercito pakistano ha lanciato un’offensiva su vasta scala, concentrandosi principalmente sul distretto di Bajaur, epicentro delle violenze.

Non è ancora chiaro se nei bombardamenti con droni di ieri su Kabul sia stato ucciso il capo dei TTP, Noor Wali Mehsud. Secondo alcune fonti, sarebbero stati diffusi degli audio per provare che è ancora in vita. Mehsud, oltre a essere considerato il capo dei TTP, è vicino alla guida suprema dell’Afghanistan, Haibatullah Akhundzada, che guida la linea più estremista all’interno dei talebani. Le coordinate di Mehsud potrebbero essere state diffuse a causa delle rivalità interne ai talebani oppure essere state comunicate a Islamabad dall’intelligence statunitense, hanno ipotizzato alcuni analisti. Il mese scorso, per la seconda volta in poco più di tre mesi, il capo dell’esercito maggiore pakistano, il generale Asim Munir, ha incontrato il presidente Trump alla Casa Bianca. Le armi utilizzate nell’attacco, però, sono probabilmente di fabbricazione cinese, come quasi tutto l’arsenale militare del Pakistan, importa l’80% delle proprie armi dalla Cina.

La risposta dei TTP non si è fatta attendere: uno dei gruppi affiliati all’organizzazione, ha rivendicato un attacco contro la base militare di Haider Kandao, che si trova a Tirah, nel distretto di Khyber. 

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