11/10/2025, 11.45
MONDO RUSSO
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La pace fragile e i sonnambuli della guerra in Russia

di Stefano Caprio

A differeza dell'accordo su Gaza, la sceneggiata estiva dell’incontro tra Putin e Trump in Alaska non ha infatti portato ad un alleggerimento delle operazioni belliche, spingendo al contrario entrambe le parti ad una ulteriore escalation, nei fatti e nelle parole. E come nel 1914 torna pericolosamente a crescere “l’illusione della fatalità”, che annulla tutte le possibilità di scelta e di soluzione diplomatica.

Gli accordi di pace tra Israele e Hamas per porre fine alla tragedia di Gaza sembrano condurre a una svolta nelle tensioni geopolitiche internazionali, con la mediazione di Donald Trump, che era quanto mai determinato ad attribuirsi il Nobel per la pace a prescindere dalle decisioni del comitato di Stoccolma, che sono poi andate a favore di Maria Corina Machado, leader dell’opposizione al regime venezuelano di Maduro. La fragilità di questi accordi risulta evidente dall’assenza di una soluzione definitiva per il futuro della Palestina, che rimane in sospeso tra la fine dei bombardamenti e la definizione e ricostruzione dei territori. Tutto questo potrebbe spingere a un esito da tutti auspicato anche per il conflitto tra la Russia e l’Ucraina, dove le contraddizioni e le incertezze sono però molto più estese e minacciose, per un futuro che potrebbe invece rivelarsi ancora più catastrofico a livello universale.

La sceneggiata estiva dell’incontro tra Putin e Trump in Alaska non ha infatti portato ad un alleggerimento delle operazioni belliche, spingendo al contrario entrambe le parti ad una ulteriore escalation, nei fatti e nelle parole. Il numero dei droni aumenta ogni giorno da entrambi i lati, continuando a mietere vittime tra i militari e i civili, distruggendo le centrali e le infrastrutture energetiche su entrambe le sponde della barricata. I russi ritengono “ormai esaurita” la spinta verso la pace che sembrava essere stata impressa dai due imperatori d’Oriente e Occidente, e lo zar Putin si pronuncia in termini sempre più minacciosi nei grandi raduni di questi giorni, dal convegno del Club Valdaj di Soči al summit dei presidenti della Comunità degli Stati Indipendenti di Dušanbe, mentre la decisione americana di fornire agli ucraini i missili Tomahawk può estendere la guerra del cielo fino alle profondità della Siberia.

Le espressioni putiniane fanno tornare alla mente diverse circostanze delle guerre mondiali del secolo scorso, come quando il leader nazista Adolf Hitler aveva violato il Trattato di Versailles del 1919 e il patto di Locarno del 1925, inviando forze militari tedesche nella Renania, una zona smilitarizzata lungo il fiume Reno nella Germania occidentale. Il cosiddetto “spirito di Locarno” aveva simboleggiato le speranze di un’era di pace e di buona volontà in Europa, poco prima dell’ascesa al potere di Hitler, che nel 1935 annullò unilateralmente le clausole militari del trattato, iniziando l’anno dopo la rimilitarizzazione della Locarnia e due anni dopo la Germania nazista esplose dai suoi territori, assorbendo l’Austria e parte della Cecoslovacchia.

I Sudeti, zona popolata da persone di origine tedesca in Cecoslovacchia, ricordano molto le pretese attuali di Putin in Ucraina, con la motivazione della “difesa dei propri connazionali” in quella regione. La presenza di minoranze russofone è una realtà molto estesa in seguito al lungo dominio zarista e sovietico non solo in Ucraina, ma anche nei Paesi Baltici, in Moldavia e nel Caucaso fino all’Asia centrale, anche in seguito alle politiche di rimescolamento etnico pensate da Stalin e dai suoi successori, a cui Putin si riferisce come la “giusta concezione” del rapporto tra l’etnia dominante e quelle ad essa collegate nell’ideale della sobornost russa. La Cecoslovacchia era un creazione del Trattato di Versailles, comprendendo le zone montuose al confine con la Germania dei Sudeti, e non è un caso se oggi i due Paesi della Cechia e della Slovacchia siano schierati più apertamente dalla parte dello zar di Mosca, come la vicina Ungheria.

Eppure, secondo molti politici e osservatori la situazione attuale assomiglia molto non soltanto alle circostanze che hanno portato alla seconda guerra mondiale scatenata da Hitler, ma per certi aspetti ancora di più a quelle che si sono verificate allo scoppio della prima guerra mondiale, per l’effetto del “crollo degli imperi” ottocenteschi e della disgregazione dell’intera Europa. Secondo un servizio di Politico, potremmo essere vicini al “momento di Franz Ferdinand”, l’arciduca asburgico assassinato nell’attentato di Sarajevo del 1914 che diede inizio alla guerra universale. L’Europa giunse a quella crisi dopo una catena di tensioni ed eventi conflittuali, che si erano allora concentrati nella terra dei Balcani contesa da tre imperi, quello ottomano, quello austriaco (in seguito austro-ungherese) e quello russo. Dopo la guerra russo-turca del 1877-78, in cui l’impero di San Pietroburgo aveva cercato di recuperare la grandezza perduta in quella di Crimea del 1853-56, erano nati gli Stati indipendenti della Bulgaria, della Serbia e della Romania, che intendevano a propria volta restaurare la grandezza medievale che aveva condotto serbi e bulgari a proclamare il proprio zar prima ancora di quello di Mosca.

All’inizio del XX secolo questi giovani Stati si erano rafforzati, e nel 1911-12 l’altrettanto giovane Italia aveva attaccato l’impero ottomano occupando la Libia, mostrando che si poteva facilmente sottrarre ai turchi con la forza alcuni territori. Si sviluppò dunque la prima guerra balcanica, che respinse gli ottomani da tutti i territori europei, ma i Paesi vincitori cominciarono a contenderseli tra loro nella seconda guerra balcanica. La Serbia s’imponeva come il più forte dei tre, ma l’unico senza accesso al mare, e con la pretesa di annettersi altre terre ritenute di propria tradizione etnica, ma che facevano parte dell’impero austro-ungarico. La Serbia stessa rimaneva molto instabile al suo interno, dopo l’uccisione del re Aleksandr Orenovič e della regina Draga nel 1903, che aveva portato all’ascesa della dinastia dei Karageorgevič e alla formazione dell’organizzazione sovversiva della “Mano nera” da parte di alcuni ufficiali ultra-nazionalisti, ciò che condusse infine all’assassinio di Francesco Ferdinando nel 1914.

La Russia in quella fase contava sulla Serbia come strumento per la propria influenza nei Balcani, dopo aver perso il controllo della Bulgaria, considerando di importanza vitale l’accesso al Bosforo e ai Dardanelli per le proprie mire nel Mediterraneo, e aiutava i serbi ad armarsi e difendersi dagli austriaci. Un conflitto regionale si era poi esteso all’intera Europa, per via del sistema di alleanze e interessi strategici dei vari imperi all’inizio del nuovo secolo. La Germania considerava fondamentale il sostegno all’integrità dell’impero di Vienna, mentre la Francia voleva recuperare le terre perdute di Alsazia-Lorena, in contrasto con i tedeschi e cercando il sostegno della Russia. Questo condusse infine allo scontro tra Russia e Germania, evento fatale che portò al crollo dell’impero di San Pietroburgo, aprendo la strada alla rivoluzione bolscevica.

Questi e tanti altri fattori condussero alla convinzione diffusa che “la guerra fosse inevitabile”, ciò che impone oggi la domanda su quanto invece sia possibile evitare la guerra globale con la Russia di Putin, dopo il crollo dell’’impero sovietico e le conseguenze su tutti i Paesi che erano ad esso sottomessi (non solo le altre 14 repubbliche dell’Urss, ma anche i Paesi del Patto di Varsavia, che oggi contano sull’appoggio della Nato). L’alleanza atlantica è in realtà la forma più pacifica di unione militare, essendo legata soltanto alle esigenze di difesa dei Paesi membri, senza la possibilità di sostenere alcuna azione aggressiva; ma soprattutto i Baltici hanno reso questa situazione particolarmente urtante per la Russia, che ne ha tratto la conclusione della “volontà degli europei di minare la stabilità del continente”, come ha ribadito Putin nei giorni scorsi, e come continua a ripetere dall’inizio dell’invasione “difensiva” dell’Ucraina.

Lo storico e professore di Cambridge Christopher Clark ha pubblicato su questi temi il libro “I sonnambuli: come l’Europa arrivò alla Grande Guerra”, in cui afferma proprio che la causa fondamentale dello scoppio del conflitto fu “l’illusione della fatalità”, annullando tutte le possibilità di scelta e di soluzione diplomatica, che pure esistevano ancora prima del 1914. La guerra non era inevitabile, ma il susseguirsi di ambizioni, errori, calcoli errati e inutili accelerazioni furono poi interpretate come necessità imposte da un destino sfavorevole. Tutto questo risulta essere il frutto di pressioni e complicazioni psicologiche, prima ancora che politiche o militari, prefigurando gli scenari che oggi chiamiamo della “guerra ibrida” della disinformazione e della propaganda, esplicita o meno, che invece di aiutare a fare scelte ragionevoli, trascina i capi e i popoli interi a conclusioni disastrose e irreparabili.

Rispetto a un secolo fa dovremmo poter contare su istituti internazionali di diplomazia molto più trasparenti ed efficaci, dall’Onu all’Unione europea, ma il rischio di cadere nella trappola delle illusioni e delle motivazioni pretestuose rimane quanto mai attuale, considerando che gli uomini e gli Stati non sono mai capaci di imparare da quanto accaduto nella storia precedente delle proprie e altrui relazioni. La “Nato che abbaia ai confini della Russia”, la “difesa dei propri compatrioti nei Paesi esteri”, “l’imposizione di valori contrari a quelli tradizionali”, il “sostegno ai sovranismi e nazionalismi in tutti i Paesi”, sono tutte affermazioni che non conducono ad altro che a nuove escalation, dividendo il mondo in buoni e cattivi e pretendendo l’annullamento di quelli del campo avverso, come è parso evidente nelle tante manifestazioni degli ultimi tempi a favore dei palestinesi, senza fermarsi a riflettere sulle possibili conseguenze a livello delle relazioni internazionali. La guerra della Russia non si sta concludendo, anzi è imminente e appena agli inizi, se non ci si risveglia dal sonno della ragione e si rimane “sonnambuli della guerra”.

 

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