05/04/2007, 00.00
GIAPPONE
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Gioia e conversione nella Pasqua dei giapponesi

di Pino Cazzaniga
Un missionario del PIME racconta un viaggio tra volti desolati e rassegnati per andare a celebrare la Domenica delle Palme, in una comunità che invece mostra serenità e pace. Domenica a Tokyo giapponesi e coreani nella comune celebrazione pasquale troveranno quella riconciliazione che tanto cerca il governo giapponese.

Tokyo (AsiaNews) – Due settimane fa padre Miyashita, responsabile della comunità cattolica di Matsudo, mi ha invitato a partecipare alla liturgia della domenica delle Palme nella sua chiesa. “Ma, - ha aggiunto - devi tenere tu l’omelia”. Predicare alla presenza di un prete giapponese della sua portata è una tassa letteraria che pago malvolentieri, ma ho deciso di accettare.

Per raggiungere Matsudo, una città contigua a Tokyo, mi sono occorse tre ore, un paradosso se si pensa che il super rapido impiega solo cinque ore per coprire una distanza di 1200 chilometri. Il panorama della metropoli più efficiente del mondo è noioso e la vista dei passeggeri non suscita allegrezza. Quasi nessuno chiacchiera per non dar fastidio agli altri. Ma parlano i volti. In piedi nella carrozza stipata, avevo di fronte a me, seduti sui sedili riservati agli anziani, due uomini su per giù della mia età (76) dal volto triste, icona della rassegnazione che i giapponesi ritengono virtù. Uno cercava di superare il cattivo umore sorseggiando birra.

Alla stazione era ad attendermi padre Oscar, mio confratello filippino (31 anni), che ha appena portato a termine con successo il corso di lingua, otto ore di studio giornaliere per due anni. “Tokyo, deserto” è il ritornello di una canzone pop in voga. Qui la sabbia si chiama cemento armato. Matsudo non fa eccezione. Abbiamo camminato per dieci minuti tra supermercati e condomini, senza vedere il cielo. Raggiunta la chiesa ho avuto l’impressione di passare dall’aridità del deserto alla frescura di un’oasi.

Prima omelia alla messa vespertina. Un po’ intimidito dall’energica regia di Miyashita, eccellente “maestro” di cerimonie e di canto liturgico, ho tentato di fare del mio meglio. Finita la messa. stanco mi accingevo a salire in rettoria per riposare un po’, ma Oscar mi ha presentato una signora coreana che desiderava salutarmi. Terrorizzato, perché la lingua del “Paese del calmo mattino” la balbetto a stento, ho tentato di mettere la maschera del sorriso giapponese affrontando la prova, passabilmente.

Il saluto della buona signora era solo un preludio. La domenica mattina, poco prima della grande cerimonia, mi sono trovato di fronte coreani e coreane che mi hanno chiesto il “servizio penitenziale”. Mi sono riconfermato nella convinzione che le colonne del futuro missionario dell’Asia orientale sono la Corea e il Vietnam.

Intanto un folto numero di fedeli si radunava nel cortile antistante la chiesa in ordine perfetto. La cerimonia si è svolta con naturalezza. Miyashita, che ha il senso della leadership e la volontà di esercitarla, si è limitato a fare la parte del prete. Ministri dell’eucaristia, lettori, coro hanno svolto il loro ruolo senza incertezze permettendo all’assemblea di partecipare al rito con distensione. La cultura giapponese si coniugava spontaneamente con la fede

Lo spazio della chiesa, pur di dimensioni notevoli, non è stato sufficiente ad accogliere i partecipanti: alcuni hanno assistito nell’atrio. Dall’altare ho volutamente osservato il volto della gente che vi entrava: nessun segno di noia o di dovere ma l’attenzione di chi partecipa a un avvenimento da tanto tempo atteso.

Iniziando l’omelia ho faticato per dominare l’emozione. Lo schema preparato era svanito, non per un’ amnesia improvvisa ma perchè intuivo che era inadeguato a interpretare l’avvenimento al quale partecipavo. Perché di questo si trattava, non di una cerimonia.

Ho allora imperniato il discorso sul tema del passaggio dalle tenebre alla luce proiettandolo sui personaggi che vengono alla ribalta nelle ultime righe del racconto della passione, secondo Luca proclamato pochi istanti prima: il rivoluzionario assassino che  supplica Gesù agonizzante, la folla di Gerusalemme che lascia il Golgota battendosi il petto e, soprattutto, l’ufficiale militare di un impero terrorista, che vedendo come morì il Nazareno esclamò: “Costui era veramente il figlio di Dio”. Nell’episodio quei cristiani facilmente potevano leggere in filigrana la parabola della loro vita; anch’essi erano passati dalle tenebre alla luce per aver contemplato il Crocifisso.

Grazie a quel rito, ripetuto anno dopo anno, come in una spirale ascendente, la comunità cristiana diventa un’oasi di vita nel deserto di quella città dormitorio di 200mila abitanti. Ho avuto l’impressione che la gente fosse molto attenta, ma mi ha colpito soprattutto l’aspetto del volto degli uomini anziani, atteggiato a serietà e pace in netto contrasto con quello di cupa desolazione dei loro due coetanei incontrati sul treno il giorno prima.

Nell’assemblea c’erano anche stranieri, filippini e coreani soprattutto. Il governo di Tokyo sta impegnandosi freneticamente per suscitare un’intesa psicologica, e non solo economico-politica, tra i popoli dell’Asia orientale, cinesi compresi, e non ci riesce. Nell’assemblea cristiana di Matsudo, durante e dopo il rito, l’amicizia era già un fatto compiuto.

Ogni domenica a mezzogiorno la cattedrale di Tokyo è riservata alla numerosa comunità coreana della capitale. Ma, a Pasqua, la chiesa sarà gremita di giapponesi e coreani per partecipare con un cuore solo e con spirito di riconciliazione alla messa della resurrezione presieduta dall’arcivescovo Pietro Okada, con la presenza del nunzio apostolico mons. Alberto Bottari de Castello.  Nel 1989 i cattolici della Corea hanno scelto l’espressione biblica “Cristo è la nostra pace” come tema del congresso eucaristico internazionale celebrato a Seoul. Allora probabilmente pensavano ai fratelli del nord. Domenica prossima le due comunità, in rappresentanza dei rispettivi popoli, penseranno che la riconciliazione è possibile perché non ci sono solo giorni fatti dagli uomini ma anche il “giorno fatto dal Signore”, che è appunto la Pasqua.

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