05/01/2019, 10.24
RUSSIA-ITALIA
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Il metropolita Ioann, capo degli ortodossi russi in Europa

di Stefano Caprio*

Il giovane vescovo, 44 anni, è responsabile delle Chiese del patriarcato di Mosca in 13 Paesi europei. Il nuovo esarcato è stato ravvivato dopo la rottura fra Costantinopoli e Mosca sull’autocefalia concessa all’Ucraina. Nei giorni scorsi, al Sinodo di Mosca, è stato fondato anche il nuovo Esarcato dell’Asia sud-orientale, che comprende circa 10 Paesi, fra cui Corea del Nord e del Sud, Vietnam, Thailandia, Singapore.

Roma (AsiaNews) - Da pochi giorni, il metropolita Ioann (Roščin), già vicario del patriarca e vescovo di Bogorodsk, è il nuovo capo degli ortodossi russi in Europa. Nel novembre scorso era stato nominato amministratore delle parrocchie del patriarcato di Mosca in Italia, con sede a Roma presso la chiesa di s. Caterina, nel territorio dell’ambasciata russa in Italia. A fine dicembre, recatosi a Mosca per la riunione del Sinodo patriarcale, il giovane vescovo (nato nel 1974) si è visto catapultato alla nuova carica di “metropolita di Korsun e dell’Europa occidentale”. Acquistato in fretta un “klobuk” bianco (la mitria dei metropoliti), egli è stato solennemente consacrato al nuovo ufficio nella cattedrale dell’Assunzione, nel Cremlino a Mosca. Passando da Roma per andare a Parigi, siamo riusciti a incontrarlo e a rivolgergli alcune domande.

Eminenza, ci racconti del suo nuovo incarico e della struttura che è stato chiamato a guidare.

L’esarcato russo dell’Europa occidentale era stato istituito nel 1945, ed è rimasto attivo fino agli anni ’90, per essere poi sciolto in seguito alle nuove condizioni della diaspora russa, dopo la fine del regime sovietico. Era stato fondato dal metropolita Evlogij (Georgievskij) nel 1945 [che non volle unirsi agli altri vescovi “zaristi”, che fondarono la Chiesa Russa all’estero in polemica con il regime sovietico - ndr]. In un primo momento era una struttura indipendente riconosciuta da Costantinopoli, quindi si è riunita al patriarca di Mosca Sergij (Stragorodskij). In quel periodo, alla fine della seconda guerra mondiale, la Chiesa russa ottenne di nuovo la possibilità ci prendersi cura dei suoi fedeli in patria e all’estero, dopo lunghe persecuzioni. Una parte dei suoi sacerdoti rimase sotto l’autorità del patriarca di Costantinopoli. Per i russi in Europa esistevano quindi due esarcati paralleli: uno sotto Mosca e uno sotto Costantinopoli. Quest’ultimo è stato soppresso poche settimane fa, dopo la decisione di concedere l’autocefalia agli ucraini. Ora, in seguito alle vicende che hanno portato alla rottura delle relazioni tra Mosca e Costantinopoli, il patriarca Kirill ha deciso di riorganizzare la cura dei tanti russi che vivono all’estero, in Europa in particolare, facendo rinascere su nuove basi l’esarcato di Parigi.

Quanto grande è questo esarcato?

La nuova metropolia soprintende alle diocesi e alle parrocchie di 13 Stati: Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Irlanda, Belgio, Olanda e Svizzera, oltre a Stati più piccoli come Andorra, Lichtenstein, Monaco e Lussemburgo. Esistono già molte parrocchie e 5 diocesi, quelle di Spagna e Portogallo (di nuova costituzione), poi in Belgio, Olanda e Italia, che ora sono sottomesse al metropolita di Parigi, anche se hanno i loro vescovi che guidano in modo autonomo la vita delle Chiese locali, e che saranno riuniti in un Consiglio di Esarcato. Ci riuniremo per discutere insieme le varie questioni, sia interne alla vita della Chiesa, sia nelle relazioni esterne con la società di questi Paesi europei. In Italia, per ora, ho mantenuto la cattedra per me, avendola ottenuta solo due mesi fa, e non ho intenzione di rinunciare troppo presto a questo bellissimo Paese.

Quanto ha influito su queste decisioni il conflitto con Costantinopoli?

Io direi semplicemente che si tratta di una riorganizzazione di strutture già esistenti. Noi in sostanza non ci siamo mai divisi dal patriarcato di Costantinopoli. Abbiamo sempre riconosciuto il suo primato d’onore e il suo ruolo di Chiesa-madre, da cui abbiamo ricevuto il Battesimo. Ma con gli ultimi avvenimenti le nostre relazioni si sono molto complicate. In particolare, per quanto riguarda la cura pastorale dei russi in diaspora, noi non possiamo lasciarli senza assistenza, secondo il comando del Signore; essi devono poter ricevere ciò per cui vengono in Chiesa, a cominciare dai sacramenti.

A quanto pare, la riorganizzazione non riguarda solo l’Europa occidentale, ma tutta la diaspora russa nel mondo.

È così. Infatti è stato costituito anche il nuovo Esarcato dell’Asia sud-orientale, che comprende circa 10 Paesi: Corea del Nord e del Sud, Vietnam, Thailandia, Singapore (dove avrà sede l’Esarca) e negli altri Stati asiatici dove la missione della Chiesa ortodossa russa è particolarmente attiva e fruttuosa, con la recente apertura di molte nuove chiese. Per ora c’è un unico esarca, ma presto dovrebbero essere nominati anche i vescovi di alcuni altri Paesi, e l’esarca sarà probabilmente elevato anch’egli alla dignità di metropolita.

In America del nord c’è la rete delle cosiddette “parrocchie patriarcali”, cioè di quelle chiese che hanno voluto rimanere direttamente sotto il patriarcato di Mosca quando, nel 1970, Mosca ha concesso l’autocefalia alla Chiesa ortodossa d’America [non riconosciuta da Costantinopoli -  ndr]. Esse rappresentano il patriarcato di Mosca negli Stati Uniti, ma oggi sono unificate nell’amministrazione a quelle della Chiesa ortodossa russa all’Estero, che si è riunita al patriarcato di Mosca nel 2007.

In Sud America esiste un’eparchia unica, che attualmente è retta dal metropolita Ignatij (Pologrudov) con sede a Buenos Aires, fondata ancora nel 1945. Esistono parrocchie in Brasile, Cile, Paraguay, praticamente in tutti i Paesi del continente.

È quello che viene chiamato il “mondo russo”.

In effetti, i tragici avvenimenti del 1917 ci hanno lasciato un’eredità che oggi, a 100 anni di distanza, possiamo valutare in un certo senso come positiva.  Tante persone hanno dovuto abbandonare il Paese per sfuggire all’oppressione ateista, e la Chiesa si è mossa seguendo le loro tracce, realizzando la propria vocazione di predicare la verità di Cristo, battezzare e distribuire la santa comunione, formando nuove comunità cristiane in tutto il mondo.

Lei stesso ha ricordato che nel 1970 Mosca ha concesso l’autocefalia agli americani. Non si poteva fare lo stesso con gli ucraini?

Il nostro Sinodo non ha mai messo a tema l’autocefalia ucraina, per il semplice motivo che non è mai stata richiesta dai vescovi e dai fedeli in Ucraina. È stato fatto un tentativo scismatico da parte del metropolita Filaret (Denisenko), negli anni ’90, ma si basava più su premesse politiche, che ecclesiali. Se non ci fossero motivi politici, o pretese di primazia anticanonica da parte di Costantinopoli, noi saremmo pronti ad affrontare la questione, sottolineo solo per motivi ecclesiali. Se Costantinopoli avesse ascoltato i consigli che venivano dalla nostra Chiesa, anche nell’incontro dell’agosto scorso con il patriarca Kirill, avremmo potuto risolvere la questione insieme, sulla base delle regole canoniche e dell’amore reciproco.

Non le sembra che sulle “regole canoniche” ci sia un po’ di confusione tra gli ortodossi?

Il problema è quello dell’interpretazione di queste norme, che furono scritte all’epoca dei sette concili ecumenici dei padri della Chiesa, più di 1000 anni fa. Queste regole riflettono la situazione della Chiesa di quei tempi, e non sempre riusciamo a far emergere lo spirito di quei precetti, fermandoci troppo sulla lettera. E questo fa sì che vengano trattate in modi contrapposti, soprattutto riguardo alla missione nella diaspora: qualcuno ritiene che questa sia una prerogativa di Costantinopoli, per altri è un dovere di ogni singola Chiesa locale. Si dovrebbero affrontare tali questioni nelle riunioni tra i capi delle Chiese, in un dialogo fatto di amore e verità, senza porre ultimatum e senza affrettare i tempi. La storia ci mostra che tante questioni si sarebbero potute risolvere, se ci fosse stata una vera disponibilità al dialogo. Al momento è difficile pensare a possibili incontri o concili panortodossi. Purtroppo anche il concilio di Creta del 2016 non era panortodosso, perché mancavano quattro Chiese locali.

Questa rottura è un fatto tragico, ma forse sta emergendo chiarezza nella concezione dell’Ortodossia universale.

Alcune contrapposizioni tra Mosca e Costantinopoli, circa l’interpretazione delle norme canoniche e la struttura delle Chiese, sono sempre esistite. Da quando il patriarcato di Costantinopoli ha cominciato ad agire in modo unilaterale, minacciando perfino l’integrità canonica della nostra Chiesa russa, il dialogo benevolo si è interrotto, e non si vede ormai come si potrà ripristinarlo in futuro.

La Chiesa ortodossa russa propone da sempre un modello di Chiese locali autonome e indipendenti, che hanno tutti i diritti di predicare il Vangelo e prendersi cura dei propri fedeli, senza ingerenze da parte delle altre Chiese locali. La missione della Chiesa, in tutto il mondo, rimane sempre una: annunciare Cristo morto e risorto, tutto il resto viene di conseguenza. Tutta questa situazione deve portare soltanto a una maggiore disponibilità a rispondere a questa chiamata del Signore, non solo per noi ortodossi, ma per tutti cristiani del mondo, cercando insieme l’unità della fede.

 

* Docente di Storia e Cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma

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