14/05/2009, 00.00
VATICANO - ISLAM
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Il papa, l’islam arabo e l’occidente

di Samir Khalil Samir
Le critiche dei media islamici contro Benedetto XVI sono un nulla di fronte alla ricchezza della sua proposta. Nel mondo arabo è urgente il dialogo con la scienza, bloccato da secoli; nel mondo occidentale è urgente non rinchiudersi in ideologie relativiste e sprezzanti verso la fede.

Beirut (AsiaNews) - Il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa è avvolto da molte polemiche e critiche che innalzano un polverone senza far vedere la verità. In realtà il messaggio che il pontefice ha affidato ai popoli di quella terra, cristiani e musulmani, israeliani e palestinesi, è fondamentale per lo sviluppo e per la pace nella regione.

In Giordania vera fraternità fra musulmani e cristiani

In Giordania, in particolare, Benedetto XVI ha posto ancora una volta delle solide basi per la collaborazione fra musulmani e cristiani, fra oriente e occidente. Vi è una differenza notevole fra ciò che il mondo musulmano ha scritto sulla stampa e l’atteggiamento della Giordania. In molti giornali arabi si ritorna alla cosiddetta “offesa di Regensburg”, alla richiesta di scuse per l’offesa recata all’islam, ecc… Invece l’atmosfera che abbiamo visto in Giordania è stata serena, ospitale, con una buona dose di fiducia reciproca.

Il papa non ha mancato di fare l’elogio sincero degli sforzi della casa reale di Giordania, del re, del principe Al-Ghazi, della regina Rania, che lo ha accompagnato all’università di Madaba, per la benedizione della prima pietra. La stessa università cattolica di Madaba – voluta dal patriarca emerito Michel Sabbah è segno della cordialità fra cristiani e musulmani: un’università cattolica che apre col sostegno, anche economico, della casa reale hascemita.

Ciò è frutto di una politica che è più che tolleranza verso il cristianesimo. Le mie esperienze in Giordania – l’anno scorso vi sono stato 3 volte e ho incontrato 2 volte il principe Hassan – è quella di un’atmosfera serena e amichevole, ciò che non ho trovato in nessun altro Paese islamico finora.

Questo ha permesso piccoli gesti di ospitalità e di onore verso il papa ospite. Ad esempio, per l’entrata alla Moschea “al-Hussein bin-Talal” di Amman, hanno permesso al pontefice di tenere le scarpe, stendendo una stuoia lungo tutto il percorso. Lo stesso principe al-Ghazi ha tenuto le scarpe.

L’atmosfera in Giordania ispira un messaggio del tipo: siamo tutti fratelli, beduini, cristiani, musulmani. I giordani insistono anche sul fatto che Gesù e Maria sono parte della tradizione storica del Paese, perché hanno vissuto in Giordania (v. il luogo del battesimo, Betania, ecc..) Loro sentono che questa è una terra santificata dalla presenza di Gesù e dei profeti.

Religione e scienza: affinare i talenti critici

Ma il discorso all’università di Madaba è davvero un punto chiave di questo pellegrinaggio. Il papa ha sottolineato varie cose, ma soprattutto l’importanza di una educazione seria e accademica di cristiani e musulmani per lo sviluppo personale, per la pace, per il progresso nella regione.

Il pontefice ha sottolineato con forza che lo sviluppo della persona passa per l’istruzione che l’università deve offrire; che la pace si costruisce con la conoscenza e lo studio più che con l’ignoranza; che il progresso integrale, materiale ed economico, politico e democratico cresce con lo studio e la conoscenza.

Egli sviluppa questo aspetto dicendo che lo scopo dell’università è trasmettere agli studenti “l’amore per la verità”,  promuovere “la loro adesione ai valori”, innalzando “la loro libertà personale”.

È molto importante che in un mondo musulmano (e cristiano), spesso teocratico, il papa, prima di parlare di religione, parli di cultura e di scienza. E la scienza ha per scopo di amare la verità e scoprirla. Egli insiste che questa formazione intellettuale “affinerà i loro talenti critici, disperderà l’ignoranza e il pregiudizio, e li assisterà nello spezzare gli incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove”.

I “talenti critici” sono importanti nel mondo arabo: senza critica la fede può diventare fanatismo, superstizione, o addirittura manipolazione Il papa ha toccato un punto che è fondamentale per la crescita di questa regione: l’assenza di sguardo critico, porta la gente a seguire in modo politico l’uno o l’altro leader, senza domandarsi sulle esigenze di democrazia, libertà, diritti umani, convivenza. Tutti seguono religiosamente, ma senza domandarsi sulle fondamenta della propria fede; attenendosi alle tradizioni fino ad annegare la libertà di coscienza. Questo vale per tutte le religioni, non solo per l’Islam. L’ignoranza e il pregiudizio, per il papa, sono una minaccia alla pace e al dialogo.

E quando parla degli “incantesimi delle ideologie”, egli allude al modo facile con cui uno si lascia prendere dal fanatismo e dalla violenza.

Egli dice: “la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso”.

Benedetto XVI mette nello stesso contenitore tutte queste realtà, perché tutto può essere sfigurato – anche la scienza. Ciò che è importante per lui è comunque non lasciare che la religione sia sfigurata dall’ignoranza e dall’abuso.

Necessità di una “sapienza etica”

Parlando alla Moschea di Amman egli dice anche che le società laiche pretendono spesso che solo la religione è causa di violenza. In verità ciò avviene solo se la religione si lascia “sfigurare”, ma questo è il rischio di tutte le conoscenze. Per questo il papa esorta con la Lettera ai Filippesi (4,8) di essere attenti a “tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, che merita lode” Egli consiglia a cristiani e musulmani di non avere paura della scienza, di aprire le loro menti, anche se si mette a rischio la propria fede. Questo messaggio è coraggioso in una società come quella araba che rischia di trovare nella religione un rifugio.

Ma il suo messaggio è rivolto anche verso la scienza, che rischia spesso di trasformarsi in un’ideologia senza etica o apertura a Dio.

Questo è un elemento presente anche a Regensburg. Il papa sottolinea che anche la scienza “ha i suoi limiti. Non può dar risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza”.

Per questo l’uso della conoscenza scientifica ha bisogno della luce orientatrice della “sapienza etica”. “Tale sapienza ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento”.

Il papa spiega questa “sapienza etica” con il giuramento di Ippocrate, un pagano del III secolo a.C.; poi parla della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del ’48, una dichiarazione laica; la Convenzione di Ginevra sui comportamenti in caso di conflitto, che è anch’essa laica. Egli non si riferisce ad elementi religiosi. Così suggerisce che la sapienza etica può essere indipendente dalla religione. Questa sottolineatura è importante in una società musulmana o cristiano-tradizionale: significa che il dialogo è a 360 gradi, con tutti, anche con chi non crede. Ma a quelli che non credono dice che non è possibile agire senza etica, o senza fondamenti religiosi, perché in tal modo viene a  mancare qualcosa di essenziale nella formazione umana.

La religione ha soffocato l’uomo arabo

La funzione dell’università cattolica è formare uomini e donne qualificati, sia cristiani che musulmani o di altre religioni”. Non è un messaggio solo per l’Islam. Questa sottolineatura a non lasciare che la religione sia sfigurata; ad accettare la sfida della scienza per avere uno sguardo critico; a ricercare un’etica religiosa e laica per creare una comunità da diverse religioni e non credenti, mi pare un discorso importante nel nostro mondo arabo.

Quelli citati dal papa sono i valori che molti oggi ricercano e che noi arabi abbiamo vissuto in passato (dal 1860 al 1950, con il cosiddetto ‘Rinascimento’, Nahda), oppure nell’epoca medievale (dal IX all’XI secolo): allora abbiamo vissuto un rapporto vivo fra scienza e religione, con reciproche messe in questione, in un dialogo critico, con delle sfide. Ma da mezzo secolo circa, questo dialogo è scomparso, sia a livello scientifico, sia a livello religioso.

Alcuni anni fa studiosi arabi hanno fatto un’analisi della situazione della conoscenza scientifica nel mondo arabo e hanno scritto un rapporto catastrofico: dalla scuola elementare all’università, tutti si chiedono quale sia il contributo del mondo arabo alla conoscenza universale e ci accorgiamo che esso è inesistente. Più recentemente, il 3 marzo scorso, il giornalista algerino Anwar Malek, sulla tv Al-Jazeera, ha fustigato gli Arabi per non aver contribuito in nessun modo al progresso in questo secolo.

Siamo davvero regrediti dal punto di vista scientifico. E nel campo religioso, siamo soffocati da una religione formalista, sempre più comandata dall’esterno, attenta all’apparenza (portare il velo, la barba, il burqa, o il Niqab), a tutte le infinite regole che gli imam danno con le loro fatwa. Ormai su tutti i più piccoli aspetti della vita sociale e privata si emettono delle fatwa: è vietato usare il rossetto; depilarsi le sopracciglia; mangiare con un cristiano; vivere insieme fra sciiti e sunniti… Decine e decine di fatwa sono emesse sul vestire, sul modo di fare l’amore fra marito e moglie, sui rapporti economici… Tutto questo sta soffocando la libertà e si manifesta con l’assenza di scienza, democrazia e libertà.

Spazio alla fede nelle società occidentali

Il discorso semplice, umile e coraggioso del papa, dà il benvenuto alla scienza, allo spirito critico, alla libertà, domandando a tutti di cercare quello che è bello, nobile e giusto. Allo stesso tempo, egli proclama il diritto di manifestare la fede, spingendo il mondo non religioso a trovare dei fondamenti etici. Per me questo messaggio di Benedetto XVI è un prolungamento del discorso di Regensburg sul rapporto fra fede e ragione. Lì, egli aveva sviluppato il tema in ambiente cristiano e occidentale; qui lo ha ampliato in un ambiente musulmano.

Ridurre questo messaggio a “qualcosa che serve solo per i musulmani” significa essere miopi. Il papa ha parlato per tutto il mondo, anche per quello occidentale, che continua ad annegare nel relativismo, nella mancanza di fede e nel disprezzo per le religioni. A questo proposito, nel suo discorso alla Moschea al-Hussein bin-Talal egli ha messo in guardia dal pericolo del laicismo: “non possiamo non essere preoccupati  – ha detto – per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è”.

Questa è una critica chiarissima al relativismo e all’ateismo dell’occidente. Ma egli corregge anche i musulmani, riconoscendo che c’è qualche verità in questa posizione laica: “Tuttavia – aggiunge - non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società?”. Ma precisa che non è la religione tout court il problema, ma “la manipolazione della religione”.

Musulmani e cristiani – egli dice infine – devono oggi impegnarsi per essere individuati e riconosciuti come adoratori di Dio fedeli alla preghiera, desiderosi di comportarsi e vivere secondo le disposizioni dell’Onnipotente, misericordiosi e compassionevoli, coerenti nel dare testimonianza di tutto ciò che è giusto e buono, sempre memori della comune origine e dignità di ogni persona umana, che resta al vertice del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia”.

In ciò vi è l’affermazione che  adorare Dio nella società è un diritto. Come c’è un diritto di praticare la non religione, così c’è anche il diritto di praticare la religione.

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