21/05/2012, 00.00
PAKISTAN
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Lahore, coniugi cristiani prosciolti da false accuse di blasfemia

di Jibran Khan
L’incriminazione risale al dicembre 2008. In primo grado sono stati condannati all’ergastolo; prima di riconquistare la libertà hanno trascorso quattro anni in galera. A denunciarli un musulmano, che voleva vendicarsi per un diverbio fra figli. Per i giudici si è trattato di accuse inconsistenti montate ad arte per “divergenze personali”.

Lahore (AsiaNews) - Una decisione "coraggiosa" dei giudici, che restituisce piena libertà a una coppia di coniugi con sei figli, "accusata ingiustamente e sbattuta in galera, per un reato mai commesso". È il commento sollevato di p. John Mall, sacerdote della diocesi di Lahore, che accoglie con soddisfazione la sentenza emessa nei giorni scorsi dell'Alta corte della città. Il tribunale ha prosciolto in secondo grado "per mancanza di prove" Munir Masih e sua moglie Ruqayya, finiti in galera per aver profanato il Corano e condannati all'ergastolo. Già i magistrati di Kasur, dove si è tenuto il primo procedimento nel 2010, avevano fatto decadere la denuncia di insulto al profeta Maometto, per il quale è prevista la pena di morte. Era infatti evidente che i due coniugi non avessero commesso alcun crimine. Tuttavia, sono serviti quasi quattro anni di carcere - l'episodio risale al dicembre 2008 - per far decadere anche la seconda accusa e ottenere piena giustizia.

Chaudhry Naeem Shakir, legale dei coniugi cristiani, spiega che "durante il processo nessuno ha testimoniato contro la coppia, in merito all'accusa di blasfemia". E sono emerse anche "contraddizioni" nella denuncia sporta contro il 32enne Munir e la moglie, frutto di capi di accusa (come l'uso del Corano per compiere "esorcismi") definiti inconsistenti e con il solo obiettivo di colpire due persone innocenti per "divergenze personali". Dietro la denuncia per blasfemia, vi è infatti un diverbio fra i figli della coppia cristiana e della famiglia di Muhammad Yousaf - originaria del distretto di Kasur, nel Punjab - che ha cercato di vendicarsi sfruttando la famigerata "legge nera". Egli ha costretto il proprio autista Nawaz a denunciare i Masih per blasfemia, in base agli articoli 295 B e C del Codice penale pakistano, raccogliendo anche le (false) testimonianze di altre sette persone.

Munir Masih è stato rilasciato nei giorni scorsi su cauzione, dopo il parere favorevole espresso dai giudici dell'Alta corte di Lahore. Fin dall'inizio, infatti, le accuse a suo carico erano definite "deboli". La moglie dovrebbe invece lasciare oggi il carcere di Sahiwal, per poi ricongiungersi col marito e i sei figli, due maschi e quattro femmine.

"Questa decisione del tribunale è davvero coraggiosa" commenta ad AsiaNews p. John, secondo cui in Pakistan "le leggi sulla blasfemia sono sfruttate per dirimere controversie personali, in special modo nel Punjab". Egli ricorda che "la Chiesa cattolica si è più volte appellata al governo, perché intervenga contro gli abusi". P. Amir Romail, sacerdote a Kasur, teatro della vicenda, aggiunge che nell'area "si sono verificati molti casi di blasfemia e di violenze contro le minoranze". Il prete auspica che "simili decisioni" vengano prese dai giudici anche "in altri casi che sono da anni in attesa di giudizio", mentre gli accusati languiscono in prigione.

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