18/05/2016, 13.54
COREA DEL SUD
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Letteratura e cinema, l’assalto della Corea alla cultura occidentale

La scrittrice Han Kang vince il prestigioso Man Booker International Prize, prima assoluta per una sudcoreana. E il mercato britannico viene “invaso” da opere asiatiche tradotte in inglese. Nel mondo della “settima arte” i registi e gli sceneggiatori della penisola sembrano destinati sempre più a giocare un ruolo da leoni. Il successo della “K-Culture”, che strizza l’occhio all’Occidente rimanendo fedele ai valori tradizionali.

Seoul (AsiaNews) – La vittoria del prestigioso Man Booker International Prize da parte di una scrittrice sudcoreana ha scatenato un comprensibile moto d’orgoglio nella stampa della sua madrepatria, che ora celebra Han Kang come “la grande promessa” della letteratura asiatica. Ma l’avanzata della cultura coreana – definita “K-Culture” – sembra inarrestabile: oltre ai libri, il cinema e la musica di tutto il mondo vedono sempre più protagonisti della penisola.

L’opera che ha vinto il premio britannico si intitola “The Vegetarian” e racconta la decisione di una donna di smettere di mangiare carne. Questo perché è disgustata dalla cattiveria degli esseri umani e crede di potersi lentamente trasformare in una pianta. Il racconto è stato definito “lirico e lacerante” dal presidente della giuria, Boyd Tonkin, che ha sottolineato la “maestria nell’unire poesia e prosa” da parte della scrittrice.

Han è poetessa, scrittrice e saggista. Nata nel 1970 a Gwangju, è figlia d’arte: il padre è infatti il famoso scrittore Han Seung-won. Dopo un master in Letteratura coreana alla Yonsei University, è emersa sulla scena letteraria nel 1993 con una rassegna di poesie. Molto famosa in patria, è quasi sconosciuta in Occidente. Ma la vittoria del Booker, dice la stampa britannica, ha confermato un trend che va avanti da circa tre anni: l’aumento delle vendite di opere coreane o cinesi tradotte in inglese. Si tratta, dice un libraio di Londra, “di una sorta di piacevole invasione che prosegue senza violenza da tempo, aprendo le nostre menti ad altre culture”.

Secondo il quotidiano Hankyoreh, il successo della Han rappresenta una “conferma attesa da tempo. Superato lo scoglio linguistico, il resto del mondo sta iniziando a rendersi conto di quello che sappiamo fare. Mantenere i nostri valori nelle nostre opere riuscendo allo stesso tempo a renderli comprensibili per il pubblico del resto del mondo”. Un successo già conclamato nel mondo della musica grazie al “K-Pop”, genere musicale che conta fra i suoi fan persino il presidente indonesiano “Joko” Widodo.

Ma la “K-Culture” ha una notevole rilevanza anche nella “settima arte”, l’industria cinematografica. Dopo il premio per la migliore sceneggiatura a Lee Chang-dong, assegnato a Cannes nel 2010, è arrivato il Leone d’Oro per il regista Kim Ki-duk al Festival di Venezia 2012. E l’edizione in corso del prestigioso concorso francese fa ben sperare: i film coreani presenti al momento a Cannes sono tre, di cui due in concorso.

Lo scorso 14 maggio, “Screen”, il quotidiano della competizione, ha pubblicato un lungo articolo intitolato “La prova di forza della Corea”. Nel testo si presentano i tre lungometraggi in visione ma si analizza anche la crescente industria cinematografica del Paese asiatico, definita “la sorpresa migliore dell’ultimo decennio”.

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