27/04/2017, 11.59
ISRAELE - PALESTINA
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Marwan Barghouti, il ‘Nelson Mandela’ palestinese

di Uri Avnery

Il grande statista israeliano presenta la personalità del leader palestinese, in prigione da 15 anni. È il promotore dello sciopero della fame portato avanti dai detenuti, che richiedono migliori condizioni di vita nelle prigioni. Il suo carisma riunisce le divisioni palestinesi fra Fatah e Hamas. Forse è per questo che Israele non lo libera.

Gerusalemme (AsiaNews) – Ho una confessione da fare: Marwan Barghouti mi piace.

Sono andato a trovarlo nella sua modesta casa a Ramallah diverse volte. Durante le nostre conversazioni parlavamo della pace israelo-palestinese. Le nostre idee erano le stesse: creare lo Stato della Palestina accanto allo Stato di Israele, e stabilire la pace fra i due Stati, basata sui confini del 1967 (con piccoli aggiustamenti), con frontiere aperte e cooperazione.

Non era un accordo segreto: Barghouti ha ribadito questa proposta molte volte, sia in prigione che fuori.

Mi piace anche sua moglie, Fadwa, che si è formata come avvocato ma dedica il suo tempo a combattere per la liberazione di suo marito. All’affollato funerale di Yasser Arafat, mi è capitato di stare accanto a lei e l’ho vista con il viso rigato dalle lacrime.

Questa settimana, Barghouti, insieme a circa una migliaia di altri prigionieri palestinesi in Israele, hanno iniziato uno sciopero della fame senza fine. Ho appena firmato una petizione per il suo rilascio.

Marwan Barghouti è un leader nato. A dispetto della sua minuta statura fisica, emerge in qualsiasi riunione. Nel movimento di Fatah è diventato il leader della divisione giovanile. (La parola “Fatah” è composta dalle iniziali di Movimento di liberazione palestinese al contrario)

I Barghouti sono un clan diffuso, predominanti in diversi villaggi intorno Ramallah. Lo stesso Marwan nacque nel 1959 nel villaggio di Kobar. Un antenato, Abd-al-Jabir al-Barghouti, guidò una rivolta araba nel 1834. Ho conosciuto Mustafa Barghouti, un attivista per la democrazia, in molte manifestazioni e ho condiviso con lui gas lacrimogeni. Omar Barghouti è un leader del movimento per il boicottaggio anti-israeliano.

Forse la mia simpatia per Marwan è influenzata da alcune somiglianze fra le nostre giovinezze. Si unì al movimento di resistenza palestinese all’età di 15 anni, la stessa che avevo io quando mi unii al movimento sotterraneo ebraico, circa 35 anni prima. Io e i miei amici ci consideravamo combattenti per la libertà, ma eravamo considerati dalle autorità britanniche come “terroristi”. Lo stesso sta accadendo adesso a Marwan – un combattente per la libertà nei propri occhi e negli occhi della maggioranza del popolo palestinese, un “terrorista” negli occhi delle autorità israeliane.

Quando è stato processato nella Corte distrettuale di Tel Aviv, io e i miei amici, membri del movimento di pace Gush Shalom (Peace Bloc), abbiamo cercato di dimostrargli solidarietà in Corte. Siamo stati espulsi da guardie armate. Uno dei miei amici ha perso un’unghia del piede in questa gloriosa battaglia.

Anni fa chiamai Barghouti il “Mandela palestinese”. Nonostante le differenze nell’altezza e nel colore della pelle, ci sono delle similitudini basilari fra i due: entrambi sono uomini di pace, ma hanno giustificato l’uso della violenza contro i loro oppressori. Tuttavia, mentre il regime di apartheid si era accontentato di una condanna a vita, Barghouti è stato condannato a una ridicola pena di cinque ergastoli e ulteriori 40 anni – per atti di violenza compiuti dalla sua organizzazione Tanzim.

(Gush Shalom ha pubblicato una dichiarazione questa settimana, suggerendo che con la stessa logica, Menachem Begin avrebbe dovuto essere condannato dagli inglesi a una pena di 91 ergastoli per il bombardamento dell’hotel King David, nel quale 91 persone – di cui molti ebrei – persero la vita.)

C’è un’altra somiglianza fra Mandela e Barghouti: quando il regime di apartheid fu distrutto da una combinazione di “terrorismo”, attacchi violenti e boicottaggio mondiale, Mandela emerse come leader naturale del nuovo Sud Africa. Molte persone si aspettano che quando lo Stato palestinese verrà fondato, Barghouti ne diventerà presidente, dopo Mahmoud Abbas.

C’è qualcosa nella sua personalità che ispira sicurezza, trasformandolo in un naturale arbitro per i conflitti interni. Le personalità di Hamas, che sono opposte a Fatah, sono propense ad ascoltare Marwan. Egli è il conciliatore ideale fra i due movimenti.

Alcuni anni fa, sotto la guida di Marwan, un gran numero di prigionieri appartenenti alle due organizzazioni firmarono un appello comune per l’unità nazionale, stabilendo dei termini concreti. A nulla servì.

Peraltro, questa potrebbe essere una ragione aggiuntiva al rigetto del governo israeliano di qualsiasi suggerimento di liberare Barghouti, perfino quando uno scambio di prigionieri ne aveva fornito un’opportunità conveniente.

Un Barghouti libero potrebbe diventare un potente agente per l’unità palestinese, l’ultima cosa che i padroni israeliani desiderano.

Divide et impera – “dividi e domina” – sin dai tempi romani è stato un principio guida di tutti i regimi che hanno oppresso altri popoli. In questo le autorità israeliane hanno avuto un incredibile successo. La geografia politica ha fornito lo scenario ideale: la Cisgiordania è lontana dalla Striscia di Gaza per circa 50 km di territorio israeliano.

Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza con le elezioni e la violenza, e si rifiuta di accettare la guida dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), l’unione delle organizzazioni più laiche che governa in Cisgiordania.

Questa non è una circostanza insolita nelle organizzazioni di liberazione nazionale. Esse si spaccano spesso in rami più o meno estremi, con grande compiacimento dell’oppressore. L’ultima cosa che le autorità israeliane hanno intenzione di fare è rilasciare Barghouti e permettergli di risanare l’unità nazionale palestinese. Dio non voglia.

Coloro che scioperano la fame non richiedono il loro stesso rilascio, ma domandano migliori condizioni di prigionia. Vogliono, tra le varie cose, più frequenti e lunghe visite di mogli e famiglie, la fine della tortura, cibo decente, e cose simili. Ci ricordano anche che per il diritto internazionale un “potere occupante” non può spostare prigionieri dal territorio occupato al proprio territorio nazionale. Proprio quanto accade a quasi tutti i “prigionieri per sicurezza” palestinesi.

La scorsa settimana Barghouti ha avanzato queste richieste in un editoriale pubblicato dal New York Times (Nyt), un atto che dimostra il lato migliore del quotidiano. La nota editoriale descriveva l’autore come un politico palestinese e un membro del parlamento. È stato un gesto coraggioso del quotidiano (che in qualche modo lo ha riabilitato ai miei occhi dopo aver condannato Bashar al-Assad per il gas velenoso senza un briciolo di prova.)

Ma il coraggio ha i suoi limiti. Appena il giorno dopo il Nyt ha pubblicato una nota editoriale affermando che Barghouti è accusato di omicidio. È stata una spregevole resa alle pressioni sioniste.

L’uomo che ha rivendicato questa vittoria è un individuo che io trovo in special modo odioso. Si chiama Michael Oren ed è ora viceministro in Israele, ma è nato negli Usa e appartiene al sottogruppo degli ebrei americani che sono super-super-patrioti di Israele. Ha adottato cittadinanza e nome israeliani per poter servire come ambasciatore israeliano negli Usa. In questo ruolo ha attirato l’attenzione utilizzando una retorica anti-araba in particolar modo aggressiva, così estrema da far sembrare moderato lo stesso Benjamin Netanyahu.

Dubito che questa persona abbia mai sacrificato niente per il suo patriottismo, anzi, ne ha fatto piuttosto una carriera. E tuttavia parla con sprezzo di Barghouti, che ha passato molto della sua vita in prigione ed esilio. Egli descrive l’articolo di Barghouti sul New York Times come un “atto di terrorismo giornalistico”. Senti chi parla.

Uno sciopero della fame è un gesto molto coraggioso. È l’ultima arma delle persone meno tutelate sulla terra – i detenuti. L’abominevole Margaret Thatcher lasciò che gli scioperanti della fame irlandesi morissero di fame.

Le autorità israeliane volevano nutrire a forza gli scioperanti della fame palestinesi. La Israeli Physicians Association, a suo credito, si è rifiutata di cooperare poiché questi atti avevano portato in passato alla morte le loro vittime. Ciò ha messo fine a questo tipo di tortura.

Barghouti chiede che i prigionieri politici palestinesi siano trattati come prigionieri di guerra. Neanche per sogno.

In ogni modo, bisognerebbe pretendere che i detenuti di qualsiasi genere siano trattati con umanità. Questo significa che l’unica punizione imposta è la privazione della libertà, e che nelle prigioni sono accordate le più dignitose delle condizioni.

In alcune prigioni israeliane, un qualche modus vivendi tra le autorità detentive e i prigionieri palestinesi sembra essersi stabilito. Non altrettanto in altre. Si ha l’impressione che il servizio carcerario sia il nemico dei detenuti, rendendo la loro vita il più miserabile possibile. Ciò è anche peggiorato ora, in risposta allo sciopero.

Questa politica è crudele, illegale e controproducente. Non c’è possibilità di vittoria contro uno sciopero della fame. I carcerati sono destinati a vincere, soprattutto quando la brava gente di tutto il mondo osserva. Forse anche il Nyt.

Sto aspettando il giorno in cui potrò tornare a far visita a Marwan come uomo libero nella sua casa, a Ramallah. A maggior ragione se Ramallah sarà, per allora, una città nello Stato libero della Palestina.

 

(da Gush Shalom)

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