02/07/2014, 00.00
SUDAN
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Meriam: Ogni giorno mi creano un problema che mi impedisce di partire

La donna è stata arrestata per la seconda volta mentre aspettava il volo per gli Stati Uniti, con l'accusa di viaggiare con documenti falsi e di dare false informazioni. Meriam si difende: "I documenti sono legali al 100%, sono stati approvati dall'ambasciatore del Sud Sudan e dall'ambasciatore americano". Durante un'intervista telefonica racconta il suo parto, avvenuto in carcere mentre era incatenata a un tavolo.

Khartum (AsiaNews/Agenzie) - "Ogni giorno mi creano un problema che mi impedisce di partire". E' quanto afferma Mariam Yehya Ibrahim durante un'intervista telefonica rilasciata alla CNN. La donna e suo marito Daniel Wani, sono stati liberati giovedì, dopo essere stati arrestati per la seconda volta  al loro arrivo all'aeroporto di Khartoum, mentre cercavano di raggiungere gli Stati Uniti con i loro bambini. Ora, i due sono in attesa di vedere cosa succederà alla luce delle ultime accuse contro la donna, è accusata di aver viaggiato con documenti falsificati e di aver dato false informazioni.

Difatti, le autorità sudanesi hanno accusato Mariam di aver tentato di lasciare il Paese senza la documentazione corretta. La National Intelligence del Sudan afferma che la donna possiede documenti di viaggio del Sud Sudan, pur non essendo un cittadino del Sud Sudan, e si stava dirigendo verso l'America con dei permessi falsi.

La donna si difende: "Non ho mai falsificato alcun documento. Come possono essere sbagliati? Sono legali al 100%, sono stati approvati dall'ambasciatore del Sud Sudan e dall'ambasciatore americano. E' l'ambasciata del Sud Sudan che si è presa la responsabilità di rilasciare le carte. È nel mio diritto utilizzare questi documenti e avere un passaporto sudanese del sud, perché mio marito è un cittadino del Sud Sudan. Ha un passaporto americano e il passaporto sud sudanese".

Meriam ha descritto come "terrorizzante" il modo in cui gli agenti di polizia sudanesi hanno fermato lei e suo marito, nella sala partenze mentre aspettavano il check-in per il volo: "Eravamo spaventati e ci chiedevamo cosa fosse sbagliato. Ci hanno chiuso in quella stanza per 4-5 ore e per tutto il tempo abbiamo cercato di capire quale fosse il problema".

Inoltre, la donna sostiene che le accuse contro di loro sono state depositate in tribunale prima che la polizia potesse verificarne la veridicità. Quando finalmente sono riusciti a capire il presunto reato da loro commesso, è rimasta scioccata: "Non riesco nemmeno a decidere cosa devo fare adesso. Voglio viaggiare, ma allo stesso tempo non lo voglio. Lo stato in cui mi trovo in questo momento mi costringe a farlo per forza. C'è un problema nuovo ogni giorno che mi impedisce di partire".

"Sono attualmente in un luogo sicuro, ma non confortevole" conferma Meriam durante l'intervista telefonica, nella quale ha anche raccontato del suo parto avvenuto in carcere: "Mi è stato negato l'accesso ad un ospedale e l'unica cosa a cui pensavo era al figlio che stavo per partorire, ero spaventata di doverlo fare in carcere. Ho dato alla luce il mio bambino incatenata, non avevo le manette, ma avevo le catene alle gambe. Non potevo aprire le gambe, quindi le donne che mi assistevano dovevano sollevarmi dal tavolo". I medici temono che le circostanze della nascita del bambino possa avere conseguenze durature. "Non so in futuro se avrà bisogno di un sostegno per camminare o no".

Intanto continuano gli attacchi contro le comunità cristiane del Paese. Le forze del governo militari sudanesi lunedì hanno distrutto una chiesa cristiana. "L'attacco è avvenuto un giorno dopo che le autorità hanno inviato una lettera nella quale comunicavano che avrebbero demolito la chiesa" afferma il parroco p. Kuoa Shimal. La minaccia della violenza provoca lo svuotamento chiese del Sudan. Un attivista cristiano conclude: "La Chiesa è terrorizzata. Non ti senti sicuro a pregare".

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