18/01/2010, 00.00
NEPAL
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Nepal: fra le proteste, inizia il reintegro dei maoisti

di Kalpit Parajuli
I militanti non riescono a vivere una vita senza politica attiva, e accusano l’Onu di aver sbagliato tutto nel processo di reintegro. Nel frattempo, sempre più vicina a Pechino, Kathmandu caccia dieci tibetani.

Kathmandu (AsiaNews) – La liberazione degli ex combattenti maoisti e il ritiro di tutte le accuse contro di loro procede in Nepal, ma molti dei “nuovi cittadini” sembrano incapaci di vivere bene senza lo scontro militare e politico. La decisione di “ripulire” i guerriglieri è stata presa dal nuovo governo subito dopo le elezioni del 2009, nell’ambito di un piano di riconciliazione nazionale simile a quello avvenuto in Sud Africa.

Da ieri sono dunque liberi 459 militanti, che però accusano le Nazioni Unite – che hanno materialmente condotto le indagini su di loro e hanno acconsentito al rilascio – di “aver sbagliato tutto”. Secondo Sita Thapa, 24 anni, “l’Onu non ha saputo capire il nostro desiderio di proteggere la nazione e garantire gli interessi nazionali. Non posso vivere senza politica, dopo anni di militanza”.

Chandra Prakash Khanal, vice comandante dell’Esercito maoista nepalese, spiega: “Abbiamo fatto tutto il possibile, iniziando da coloro che dimostravano onestà e volontà di pace. Ma il pacchetto che ci hanno dato non è soddisfacente: il governo deve consideralo”.

Il problema nasce all’inaugurazione della Repubblica nepalese (2006), quando viene decretato dall’Onu e dal governo ad interim il disarmo delle milizie maoiste e il loro assorbimento nell’esercito. Nel 2008, guidati dal loro leader Prachanda,  i maoisti hanno vinto le elezioni. Ma il presidente  Ram Baran Yadav, timoroso del troppo potere dei maoisti, si è rifiutato fino ad ora di integrare gli ex ribelli nell’esercito. Per questo, il 4 maggio 2009 Prachanda si è dimesso e guida ora le proteste.

Nel frattempo, il governo nepalese si conferma sempre più vicino a quello cinese. Dopo aver garantito il proprio sostegno alla politica “dell’unica Cina” (che di fatto esclude la possibilità di un Tibet libero), Kathmandu ha detto di “considerare” l’idea di deportare dieci tibetani, accusati di ingresso illegale in Nepal.

Negli ultimi decenni, invece, il Paese ha sempre permesso il transito e spesso concesso asilo agli esuli tibetani, tanto che al momento ospita una comunità di oltre 20mila persone. Il nuovo corso politico, e la crisi finanziaria, hanno convinto la piccola nazione schiacciata fra Cina e India a dare più sostegno diplomatico al gigante asiatico. Che, da parte sua, ha ringraziato firmando contatti commerciali per miliardi di dollari.

 

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