17/03/2015, 00.00
CINA-VATICANO
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Niente brindisi fra Cina e Vaticano: Pechino vuole il dominio assoluto

di Bernardo Cervellera
Per il Global Times (Quotidiano del popolo) alla Cina non piacciono le ordinazioni episcopali concordate, "modello Vietnam". Imbarazzo del Ministero cinese degli esteri di fronte ai mille passi della Santa Sede. La Cina vuole che il Vaticano accetti tutti i vescovi scomunicati e faccia silenzio su quelli sotterranei e imprigionati. Il caso di mons. Cosma Shi Enxiang. Senza libertà religiosa non vale la pena avere rapporti diplomatici. Lavorare per la missione e l'unità dei cattolici in Cina. Un lavoro per Xi Jinping: attuare la campagna anti-corruzione verso il ministero degli affari religiosi e l'Associazione patriottica, arricchitisi in questi decenni alle spalle dei cristiani.

Roma (AsiaNews) - Non sappiamo se ridere o piangere, se brindare o rattristarci per la dichiarazione espressa da Hong Lei, portavoce del ministero cinese degli esteri, pubblicata su Global Times del 13 marzo scorso. Global Times è il magazine del "Quotidiano del popolo", il giornale ufficiale del Partito comunista cinese.

La dichiarazione suona così: "La Cina è sempre sincera nel [voler] migliorare con il Vaticano e ha fatto continui sforzi per questo scopo. Noi vogliamo avere un dialogo costruttivo con il Vaticano... Speriamo che il Vaticano possa creare condizioni favorevoli per il miglioramento delle relazioni".

A queste parole c'è chi ha subito esultato. Secondo questi entusiasti esse rappresentano un segno conciliante, un evidente desiderio della Cina a volersi implicare in un dialogo con la Santa Sede per giungere ai tanto sospirati rapporti diplomatici.

Ma forse non è ancora tempo di stappare le bottiglie di spumante. Va detto che Hong Lei ha parlato dopo che p. Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana ha avuto una lunga intervista con la Phoenix Tv, un canale televisivo di Hong Kong, ma imparentato con ambienti vicini al potere di Pechino.

Nell'intervista, p. Federico Lombardi ricordava che la Santa Sede è desiderosa di giungere a un consenso sul tema delle ordinazioni episcopali e suggeriva alla Cina di prendere in considerazione il modo in cui esse avvengono nel rapporto fra Vaticano e Vietnam, pur ammettendo che "la Cina non è il Vietnam".

Il modello "vietnamita" per le ordinazioni episcopali si basa su una ricerca dei candidati ad opera del Vaticano, che poi presenta al governo un nome per la sua approvazione; se Hanoi l'approva, la Santa Sede nomina ufficialmente il vescovo; se il Vietnam rifiuta, il Vaticano è costretto a presentare un altro nome, e così via fino a che non si raggiunge il consenso bilaterale.

A quanto pare, Pechino rifiuta anche questa modalità e anzi, esige che la Santa Sede accetti a scatola chiusa lo stile di auto-elezione e auto-nomina dei vescovi varato in Cina subito dopo l'ascesa di Mao Zedong al potere: i vescovi vengono eletti e nominati da un comitato diocesano formato da preti, laici e suore, ma il nome viene "suggerito" - e possiamo dire: imposto - dall'Associazione patriottica.

In effetti il Global Times riporta questa frase molto significativa: "Giovedì [12 marzo], Pechino ha spinto il Vaticano a fronteggiare [rendersi conto, farsene una ragione] la tradizione storica e la realtà dei cattolici in Cina, dopo che il Vaticano ha suggerito una revisione congiunta sulle ordinazioni episcopali".

Nei resoconti di diversi ottimisti osservatori manca del tutto questa frase, che non solo rappresenta una condanna del metodo "vietnamita", ma è un'ulteriore affermazione che la Cina, pur volendo - almeno a parole - entrare in dialogo col Vaticano, non transige sul fatto che le elezioni episcopali devono rimanere in mano alla Cina, secondo lo stile della "auto-nomina, auto-elezione".

Nascondendo la frase citata, restano soltanto le belle parole sulla volontà della Cina di "avere un dialogo costruttivo con il Vaticano".

Vale la pena pesare anche tali belle parole. Esse fanno parte delle frasi fatte ad uso dei portavoce del ministero degli esteri. Frasi simili sono state usate quando papa Francesco, tornando dalla Corea del sud, lo scorso agosto, ha inviato un telegramma al presidente Xi Jinping (v. la dichiarazione di Hua Chunying, portavoce del Ministero degli esteri, espressa il 19 agosto), o quella dopo il viaggio del pontefice nelle Filippine, rilasciata sempre da Hua Chunying (riportata da Xinhua il 21 gennaio 2015). Tutte dicono che la Cina "è desiderosa di avere un dialogo costruttivo con il Vaticano".

In cosa consiste questo "desiderio"? La mia impressione è che dietro le risposte preconfezionate del ministero degli esteri vi sia un forte imbarazzo davanti a tutti i segnali che la Santa Sede e il papa in persona stanno lanciando da diversi mesi: i telegrammi di papa Francesco a Xi Jinping; le sue esternazioni sul voler andare "anche domani" a Pechino; il suo apprezzamento per il "nobile popolo cinese"; il suo desiderio di instaurare rapporti fraterni anche "non diplomatici" con la Cina... A questo vale la pena aggiungere "i segnali" dei papi precedenti, anch'essi pieni di amore al "nobile popolo cinese" (Giovanni Paolo II e Benedetto XVI); un'apertura al dialogo con le autorità sulle ordinazioni episcopali e sulla collaborazione nella società, come si legge nella Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI, che Francesco ha definito "attuale" e non sorpassata (come alcuni pensano).

Davanti a tutti questi passi di amicizia e apertura, il ministero degli esteri è impacciato perché capisce che la Cina rifiutando i rapporti col Vaticano si mostra totalmente fuori della storia. Ma in Cina vi è anche una frangia che usa lo stalinismo come un paravento e minaccia di continuo ordinazioni illecite di vescovi, rimbrotti sul rapporto con Taiwan, rivendicazioni di autonomia ecclesiale che sono - per dirla con Benedetto XVI - "incompatibili con la dottrina cattolica". Tale frangia fa parte del Fronte unito, dell'Associazione patriottica, del ministero degli affari religiosi che solo qualche mese fa ha dichiarato di programmare per il 2015 una serie di nuove ordinazioni episcopali senza mandato papale ("indipendenti").

Secondo informazioni provenienti dalla Cina, il ministero degli esteri, pur con belle parole diplomatiche, ha proposto in questi mesi al Vaticano una cosa simile: varare l'inizio dei dialoghi per i rapporti diplomatici in cambio di un silenzio della Santa Sede sulle ordinazioni episcopali; un silenzio sui vescovi sotterranei; un'accettazione a scatola chiusa dei vescovi già ordinati dal Partito e che si trovano in situazione di scomunica.

In particolare, il Vaticano dovrebbe tacere sui vescovi imprigionati per decenni a causa della loro fedeltà al pontefice, scomparsi nelle mani della polizia, probabilmente morti, per i quali il governo non si cura nemmeno di consegnare il cadavere o le ceneri ai parenti, come è il caso di mons. Cosma Shi Enxiang. E questo proprio mentre papa Francesco non passa settimana senza ricordare i martiri, coloro che sono uccisi "perché cristiani", coloro che sono privati della libertà di esprimere la loro fede. Ancora all'Angelus del 15 marzo, ha sottolineato che "i cristiani sono perseguitati e il mondo cerca di nasconderlo".

Quanto la Cina tenga alla vita dei suoi cittadini è evidente da un fatto: da oltre un mese AsiaNews ha chiesto all'ambasciatore della Cina presso l'Italia un'intervista per avere notizie su mons. Cosma Shi Enxiang. Finora non ha ricevuto alcuna risposta, insieme a motivazioni e scuse per il ritardo del tipo: "Ora siamo impegnati con il Capodanno cinese" (sic!); "Ora l'ambasciatore è molto impegnato"; "Ora non c'è il responsabile dell'Ufficio stampa".

A quanto pare, con la proposta cinese verso la Santa Sede, il Vaticano non è solo invitato a fare un "primo passo" verso i dialoghi (e ne ha fatti già molti!), ma a fare il passo definitivo, consegnando la Chiesa cinese in mano al governo, in nome dell'instaurazione dei rapporti diplomatici.

Alcuni vescovi della Cina, interrogati da AsiaNews, hanno detto con semplicità che senza vera libertà religiosa (compresa la libertà di incontrare il papa e di ordinare vescovi senza l'influenza del Partito) i rapporti diplomatici non servono. Meglio è potenziare i fedeli cinesi nella loro missione nella società, arrivando anche a ordinazioni sotterranee, rimandando a tempi migliori i rapporti diplomatici. Del resto, è lo stesso papa Francesco ad aver chiesto ai nunzi e alla Curia di utilizzare la loro diplomazia per la missione della Chiesa e non per qualche successo passeggero, di cui possono parlare i giornali e le tivu.

Dovremo allora girare i pollici nell'attesa del futuro? No, c'è un lavoro che noi cattolici possiamo fare già da ora: aiutare l'unità della Chiesa in Cina, riconciliando le comunità non ufficiali e quelle ufficiali; aiutare l'unità di questi fedeli con la Chiesa universale, visitandoli, sostenendoli, e denunciando le violenze che essi subiscono. Bisogna infatti tenere presente che la Cina ha firmato da tempo le Convenzioni Onu sulle libertà civili per cui, quando si chiede di rispettare la libertà religiosa, si domanda qualcosa a cui Pechino ha già aderito in via di principio. C'è anche molto da fare nel campo della formazione di laici e sacerdoti, soprattutto assimilando gli elementi base della dottrina sociale della Chiesa e dell'ecclesiologia.

Anche per la Cina e in particolare per Xi Jinping c'è un compito: nella sua lotta contro la corruzione dovrebbe spingersi a indagare sul modo in cui membri del Fronte unito, del ministero degli affari religiosi e dell'Associazione patriottica si sono arricchiti alle spalle della Chiesa, nascondendo dietro una cortina fumogena di radicalismo stalinista, un pragmatico senso degli affari e dell'esproprio.

Come già mostrato molte volte, l'Associazione patriottica e il ministero degli affari religiosi hanno sequestrato alla Chiesa beni e denaro per almeno 13 miliardi di euro, che in ossequio alle leggi cinesi dovrebbero essere ridati indietro ai legittimi proprietari. Ormai da molto tempo la persecuzione in Cina non avviene più per motivi ideologici, ma in nome dell'avidità e dell'idolo della ricchezza ingiusta. Proprio quello che papa Francesco e Xi Jinping condannano.

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