14/10/2005, 00.00
Pakistan
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Pakistan, la paura è più forte del freddo

I sopravvissuti al terremoto hanno visto crollare, la sera della tragedia, un edificio con dentro molte persone che vi avevano cercato rifugio. Ora dormono tutti all'aperto anche se è inverno. In un'intervista ad AsiaNews un operatore cattolico che lavora nella zona spiega situazione e necessità.

Islamabad (AsiaNews) – La prima emergenza in Pakistan è avere tende. Qui infatti sta arrivando l'inverno e la gente non usa più le costruzioni risparmiate dal terremoto perché, la sera dell'8 ottobre, un edificio è crollato uccidendo tutti coloro che vi avevano cercato rifugio.

Lo dice ad AsiaNews Jack Norman, rappresentante del Catholic Relief Service (Crs) agenzia umanitaria internazionale che opera in 99 Paesi del mondo: il Crs opera in Pakistan da circa 50 anni ed in India da oltre 60. Norman è al momento ad Islamabad ma fa la spola con il Kashmir pakistano, dove porta "solo tende e vestiti caldi".

"Il giorno del terremoto – racconta - la popolazione era per le strade e cercava di riprendersi dallo shock e dalla paura. In serata ha iniziato a piovere, una tempesta fortissima, e moltissime persone si sono accalcate all'interno di un edificio rimasto in piedi dove si sono fermate per dormire". "Durante la notte – continua - una scossa di magnitudo 5.6 della scala Richter ha fatto crollare le mura: le persone all'interno sono tutte morte. La voce si è sparsa fra i sopravvissuti e nessuno vuole più entrare negli edifici rimasti in piedi". "La gente ha freddo – dice poi - ma dorme lo stesso sotto le tende perché continuano le scosse. Questa notte ne abbiamo avuta un'altra, di magnitudo 5,3. Qui trema tutto".

Il Crs si è adattato ed ha riconvertito i beni acquistati in tende: "Oramai portiamo solo quelle – spiega - ed al momento ne abbiamo distribuite circa 30 mila. In ogni tenda trovano posto 8/10 persone, ma con tutti coloro che sono rimasti senza casa vi è molto da lavorare".

La distribuzione ed il lavoro di soccorso è fatto "in stretta collaborazione con la Caritas Internationalis e con quella pakistana, ma anche con l' Islamic Relief e la Mezzaluna Rossa, i primi interlocutori, per dimensione degli aiuti e conoscenza del luogo, che abbiamo qui". "Abbiamo definito importantissimo – sottolinea – trovare fondi comuni ed evitare ogni spreco. Non vi sono differenze fra le nostre fedi quando si tratta di salvare vite umane". In quest'ottica la raccolta di fondi congiunta "procede: per ora, come Crs, abbiamo ricevuto ed investito circa 500 mila dollari donati da privati, ma speriamo di arrivare a 5 milioni".

Altro grande problema è dato dai collegamenti: i soccorritori non governativi cercano tutti di usare le strade, anche se a rischio frane e smottamenti. "Gli elicotteri – spiega – sono utili per raggiungere le montagne, ma portano poco carico e spesso non possono atterrare. In più la gente del posto ne ha paura, perché ha sempre visto scendere dal cielo uomini armati. Cerchiamo quindi di usare le strade che esistono".

Più a lungo termine la preoccupazione del Crs è data "dal sistema educativo". "Qui la gente ha visto morire i bambini nelle scuole e le donne nelle case – spiega – e non vuole sentire più parlare di queste cose. Non vogliono mandare mai più i figli nelle scuole né rimettere in piedi le case".

"Superata la prima emergenza - conclude - dobbiamo stare attenti a non farli crollare nel baratro dell'assistenzialismo: dobbiamo ridare loro la speranza ed i mezzi per ricominciare a vivere da soli".

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