08/09/2017, 08.32
VATICANO-COLOMBIA
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Papa al Celam: La speranza nel volto di giovani, donne, laici

Nell’incontro coi vescovi di tutto il continente latinoamericano, papa Francesco invita a non vivere di ricordi del grande passato, ma a “concretizzare” la speranza che viene dalla fede. “Incontro con Cristo vivo”, “uscire”, valorizzare la “religiosità del popolo”, “passione per l’evangelizzazione”. Accompagnare i giovani; valorizzare le donne; spingere i laici all’impegno sociale.

Bogotà (AsiaNews) - L’America latina, il “continente della speranza” ha bisogno di vescovi che aiutino alla “concretizzazione di questa speranza” valorizzando i segni di essa nel volto dei giovani, delle donne, dei laici di questo continente “meticcio: non unicamente indigeno, né ispanico, né lusitano, né afroamericano, ma meticcio, latinoamericano!”. Papa Francesco si è rivolto così ieri pomeriggio ai vescovi del Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), che raduna i pastori dell’America latina e dei Caraibi.

Dalla fine degli anni ’60 alla fine del XX secolo le riflessioni del Celam - nei diversi raduni di Medellin, Puebla, Santo Domingo, Aparecida - hanno rappresentato quasi delle parole d’ordine per tutta la Chiesa: liberazione, comunità di base, opzione per i poveri, indigeni…

Incontrando i vescovi alla nunziatura di Bogotà, Francesco li ha messi in guardia da una sterile celebrazione del passato: “Le realtà indispensabili della vita umana e della Chiesa non sono mai un monumento ma un patrimonio vivo. Risulta molto più comodo trasformarle in ricordi di cui si celebrano gli anniversari – 50 anni di Medellín!, 20 di Ecclesia in America!, 10 di Aparecida! Invece è un’altra cosa: custodire e fare scorrere la ricchezza di tale patrimonio (pater- munus) costituiscono il munus della nostra paternità episcopale verso la Chiesa del nostro Continente”.

Egli ha anche elencato delle “tentazioni” di ridurre il Vangelo “a un programma al servizio di uno gnosticismo di moda, a un progetto di ascesa sociale o a una visione della Chiesa come burocrazia che si autopromuove, né tantomeno questa si può ridurre a un’organizzazione diretta, con moderni criteri aziendali, da una casta clericale”. In più, nel mondo contemporaneo è facile “la dispersione”, la “frammentazione”.

L’antidoto di tutto questo è “l’incontro con Cristo vivo”, che fonda anche l’unità della vita: “Dove si trova l’unità? Sempre in Gesù. Ciò che rende permanente la missione non è l’entusiasmo che infiamma il cuore generoso del missionario, benché sempre necessario; piuttosto è la compagnia di Gesù mediante il suo Spirito. Se non partiamo con Lui in missione, ben presto perderemo la strada, rischiando di confondere le nostre vane necessità con la sua causa. Se la ragione del nostro andare non è Lui, sarà facile scoraggiarsi in mezzo alla fatica del cammino, o di fronte alla resistenza dei destinatari della missione, o davanti ai mutevoli scenari delle circostanze che segnano la storia, o per la stanchezza dei piedi dovuta all’insidioso logorio provocato dal ‘nemico’”.

Contro le “sterili speculazioni” e i “bizantinismi dei dottori della legge”, Francesco propone di “uscire, partire con Gesù”.

“Il Vangelo parla di Gesù che, uscito dal Padre, percorre con i suoi i campi e i villaggi di Galilea. Non si tratta di un percorso inutile del Signore. Mentre cammina, incontra; quando incontra, si avvicina; quando si avvicina, parla; quando parla, tocca col suo potere; quando tocca, cura e salva. Condurre al Padre coloro che incontra è la meta del suo permanente uscire, sul quale dobbiamo riflettere continuamente. La Chiesa deve riappropriarsi dei verbi che il Verbo di Dio coniuga nella sua missione divina. Uscire per incontrare, senza passare oltre; chinarsi senza noncuranza; toccare senza paura. Si tratta di mettersi giorno per giorno nel lavoro sul campo, lì dove vive il Popolo di Dio che vi è stato affidato. Non ci è lecito lasciarci paralizzare dall’aria condizionata degli uffici, dalle statistiche e dalle strategie astratte. Bisogna rivolgersi alla persona nella sua situazione concreta; da essa non possiamo distogliere lo sguardo. La missione si realizza in un corpo a corpo”.

Contro le “utopie forti” che “hanno promesso soluzioni magiche, risposte istantanee, effetti immediati”, e contro una visione della vita che serve a “colonizzare” l’anima latinoamericana, il pontefice torna a valorizzare la religiosità popolare, l’anima spirituale dei popoli del continente: “fa parte della sua singolarità antropologica; è un dono con cui Dio ha voluto farsi conoscere alla nostra gente. Le pagine più luminose della storia della nostra Chiesa sono state scritte proprio quando abbiamo saputo nutrirci di questa ricchezza, parlare a questo cuore nascosto che palpita custodendo, come una piccola luce accesa sotto apparenti ceneri, il senso di Dio e della sua trascendenza, la sacralità della vita, il rispetto per il creato, i legami di solidarietà, la gioia di vivere, la capacità di essere felici senza condizioni”.

Invitando a cacciare via una certa “ombrosità lamentosa”, dovuta a un “deficit di speranza nell’America Latina di oggi” propone alcune piste per la “concretizzazione della speranza” nel continente. Tali piste sono già dei segni di novità e insieme delle sfide da perseguire.

Anzitutto, il mondo dei giovani: “Si parla spesso dei giovani – si declamano statistiche sul continente del futuro –; alcuni riportano notizie sulla loro presunta decadenza e su quanto siano assopiti, altri approfittano del loro potenziale come consumatori, non pochi propongono loro il ruolo di manovalanza dello spaccio e della violenza. Non lasciatevi catturare da simili caricature sui giovani. Guardateli negli occhi e cercate in loro il coraggio della speranza…. Non accontentatevi della retorica o di scelte scritte nei piani pastorali e mai messe in pratica”. Il papa spiega che proprio su questa pista ha deciso che la Giornata mondiale della gioventù del 2019 sia celebrata a Panama.

Un’altra pista è quella del mondo femminile, frenato nella Chiesa da un “recalcitrante clericalismo”. “Penso alle madri indigene o ‘morenas’, penso alle donne delle città con il loro triplo turno di lavoro, penso alle nonne catechiste, penso alle consacrate e alle così discrete ‘artigiane’ del bene. Senza le donne la Chiesa del continente perderebbe la forza di rinascere continuamente. Sono le donne che, con meticolosa pazienza, accendono e riaccendono la fiamma della fede. È un serio dovere comprendere, rispettare, valorizzare, promuovere la forza ecclesiale e sociale di quanto realizzano. Hanno accompagnato Gesù missionario; non si sono allontanate dai piedi della croce; in solitudine hanno aspettato che la notte della morte restituisse il Signore della vita; hanno inondato il mondo con la sua presenza risuscitata”.

La terza pista consigliata è quella della valorizzazione dei laici, la cui missione si esprime non in modo clericali, ma nell’impegno sociale: “nei processi di un autentico sviluppo umano, nel consolidamento della democrazia politica e sociale, nel superamento strutturale della povertà endemica, nella costruzione di una prosperità inclusiva fondata su riforme durature e capaci di tutelare il bene sociale, nel superare le disuguaglianze e salvaguardare la stabilità, nel delineare modelli di sviluppo economico sostenibili che rispettino la natura e il vero futuro dell’uomo – che non si esaurisce nel consumismo illimitato –, come pure nel rifiuto della violenza e nella difesa della pace”.

Legato al mondo dei laici, vi è l’attenzione ai poveri. Occorre, dice il papa “vedere il mondo con gli occhi dei poveri” per trovare soluzioni alla vita sociale: “La ricchezza autosufficiente spesso priva la mente umana della capacità di vedere… le soluzioni dei problemi complessi che ci sfidano nascono dalla semplicità cristiana che si nasconde ai potenti e si mostra agli umili”.

Infine, Francesco ha invitato tutti i vescovi a vivere “con passione” il proprio servizio pastorale: “Oggi c’è bisogno di passione. Mettere il cuore in tutto quello che facciamo… Fratelli, per favore, vi chiedo passione, passione evangelizzatrice”. E ha proposto come modello san Turibio di Mogrovejo (1538-1606), che in 24 anni di episcopato a Lima (Perù), “18 li passò nei paesi della sua diocesi”.

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