06/04/2009, 00.00
THAILANDIA
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Pasqua di speranza per i bambini di strada a Bangkok

P. Adriano Pelosin lavora da più di dieci anni a favore di minori orfani o abbandonati. Il sacerdote ha avviato case famiglia e centri di accoglienza per salvarli da violenze sessuali e narcotrafficanti, dando loro un alloggio e istruzione. Tre bambini raccontano la loro storia.
Bangkok (AsiaNews) – Salvare i bambini dalle violenze sessuali, tenerli lontani dai narcotrafficanti e dalla criminalità organizzata, garantire loro una formazione scolastica e agevolare l’inserimento sociale e lavorativo. È la missione di p. Adriano Pelosin, sacerdote del Pime da 28 anni in Thailandia; nel 1998 il sacerdote ha avviato un’opera  nelle baraccopoli della periferia di Bangkok dedicata a bambini e ragazzi orfani o abbandonati dai genitori.
 
L’opera caritativa avviata da p. Pelosin è caratterizzata da otto case famiglia che ospitano più di 100 bambini. La Casa degli Angeli, in particolare, è dedicata ai bambini con disabilità gravi.
La cura di cinque case famiglia è affidata alle suore della carità di Ottawa, assistite da una ventina di laici thailandesi che si occupano di cucina, formazione ed educazione dei ragazzi. Le case si trovano nel distretto di Pak Kret, a circa 30 km da Bangkok. Padre Pelosin, assieme a volontari, suore ed educatori, fornisce anche assistenza a 800 bambini che vivono in situazioni di difficoltà o disagio nelle baraccopoli.
 
Riportiamo di seguito tre testimonianze dei bambini ospiti delle case famiglia, raccolte da p. Pelosin e raccontate in prima persona:
 
Io mi chiamo Bat. Ho sempre tanta fame perchè quando ero piccolo, mia mamma si dimenticava spesso di me, mi lasciava solo in casa... Poi la mia mamma mi ha venduto ad un’altra donna per ventimila Bat (400 Euro). La mia nonna materna quando ha saputo della cosa è andata da un usuraio a chiedere in prestito 20mila Bat e mi ha ricomperato. Un giorno un uomo straniero è venuto a trovare mia nonna e poi ha parlato anche con mio nonno che dormiva con me. Mi guardava con due occhi pieni di affetto e preoccupazione per me. Durante tutto il viaggio guardavo fuori del finestrino, volevo rendermi conto dove stavamo andando. Sono stato bravo, non ho pianto. Dopo un’ora di viaggio siamo arrivati in una casa. C’erano altri bambini un po’ più grandi me. Uno di loro, si chiama Nung, mi ha preso per mano e mi ha offerto un giocatolo. Io ho fissato bene il mio nuovo amico – ho imparato a non fidarmi facilmente degli altri – e poi mi e’ sfuggito un sorriso. Non avevo sorriso da tanto tempo. Ora tutto mi sembrava diverso, pulito, amichevole, sereno e soprattutto c’è da mangiare. Sono alla casa famiglia di Santa Maria da un mese e sono già cresciuto due chili.
 
Io sono Nung, quello che ha dato il giocatolo a Bat. Ho tanti giocattoli eppure non li darei a nessuno; ma Bat mi sembrava tanto solo e pieno di paura che gli ho dato volentieri il mio orsacchiotto preferito. Prima avevo paura di tutti e di tutto, ero sempre attaccato alle gonne della signora Samnian, che mi ha allevato da quando avevo quattro mesi. Mia mamma e mio papà erano drogati; loro mi mettevano la bottiglia del latte in bocca, ma quella cadeva e non riuscivo a riprenderla, allora piangevo finché non avevo più fiato e mi addormentavo. A tre mesi pesavo solo un chilo. Un giorno le assistenti sociali del Centro San Martino mi hanno visto così magro e moribondo da chiedere alla mia mamma di lasciarmi andare con loro. Mentre le signore mi prendevano, la mia mamma si girava da un’altra parte e le scendevano le lacrime. Un po’ alla volta mi sono come svegliato da un lungo sogno, ho aperto gli occhi, ho visto la luce e i sorrisi di tanti bambini. La signora Samnian mi chiamava Jesu Noi (Piccolo Gesù) perchè nessuno sapeva il mio vero nome poi mi hanno chiamato Nung, che vuol dire “Uno”. Forse perché, da ultimo che ero, devo diventare il primo.
 
Io sono Gi e ho quasi tre anni, ma faccio fatica a parlare. Mio papà è morto prima che io nascessi, la mia mamma è morta dopo pochi giorni che ero nato. Avevano uno brutta malattia. Tutti pensavano che anch’io avessi quella malattia. Già da quando ero nel seno di mia mamma avevo paura di morire. All’inizio sono stato con mia zia Kek alla casa famiglia di Tuek Deng, poi qui a Santa Maria. Adesso sto bene e non ho più paura della gente, mi piace tanto quando mi prendono in braccio. Però quando mi sveglio dal sonno piango ancora; non so perché… poi mi passa e vado a giocare con Nung e Bat.
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