20/01/2021, 09.06
USA-CINA
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Pompeo: Uiguri vittime di genocidio da parte di Pechino. Il suo successore concorda

Il segretario di Stato uscente attacca i cinesi per la repressione dei musulmani nello Xinjiang. Le sue accuse sono confermate dall’Onu, da ricerche indipendenti e da diversi media. I cinesi rispondono con ironia. Antony Blinken: corretta la politica “dura” di Trump verso la Cina.

Washington (AsiaNews) – La repressione degli uiguri e delle altre minoranze islamiche che vivono nello Xinjiang “è genocidio”. Lo ha affermato ieri il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, il suo ultimo atto prima del passaggio di consegne dall’amministrazione Trump a quella Biden, che si celebra oggi.

Secondo Pompeo, il mondo “sta assistendo al sistematico tentativo da parte del Partito comunista cinese di distruggere gli uiguri”. Alla sua dichiarazione non è seguita però l’imposizione di nuove sanzioni su Pechino.

Da più parti la Cina è accusata di aver organizzato un sistema di campi d’internamento per tenere sotto controllo la popolazione uigura e kazaka. Secondo dati degli esperti, confermati dalle Nazioni Unite, oltre un milione di uiguri e altre minoranze turcofone di fede islamica sono detenuti in modo arbitrario nello Xinjiang, che la locale popolazione chiama “Turkestan orientale”.

Recenti rivelazioni di stampa hanno messo in luce anche l’esistenza di campi di lavoro nello Xinjiang, dove centinaia di migliaia di musulmani sarebbero impiegati con la forza, soprattutto nella raccolta del cotone. La Cina produce il 20% del cotone mondiale, la maggior parte proprio in questa regione nordoccidentale.

Secondo il ricercatore tedesco Adrian Zenz, il governo cinese sta conducendo inoltre una campagna di sterilizzazioni forzate per controllare la crescita della popolazione di origine uigura. Il suo lavoro si basa su dati ufficiali, documenti governativi e testimonianze dirette.

Anche AsiaNews ha raccolto testimonianze sul trattamento riservato ai musulmani dello Xinjiang. Lo scorso marzo l’intellettuale dissidente uiguro Abdürreşit Celil Karluk ha raccontato che il governo cinese ha internato diversi suoi familiari per ridurlo al silenzio: un suo fratello è rimasto paralizzato per le torture subite in prigionia.

I cinesi negano ogni accusa, sostenendo che quelli nello Xinjiang sono centri di avviamento professionale e progetti per la riduzione della povertà. I media di Stato hanno risposto alle accuse di Pompeo sostenendo che il governo Trump è responsabile di genocidio nei confronti della popolazione Usa, avendo gestito in modo disastroso la pandemia. Attacchi sono arrivati anche dai “wolf warrior”, la nuova e più aggressiva generazione cinese di diplomatici. Li Yang, console generale di Pechino in Brasile ha usato il sarcasmo. Egli ha definito Pompeo il miglior segretario di Stato della storia, capace di “distruggere l’immagine” degli Stati Uniti e rendere la Cina ancora “più grande”.

Il gigante asiatico realizzerà presto che il cambio di guardia a Washington non porterà a un mutamento di atteggiamento nei suoi confronti. Per gli analisti, l’uscita di Pompeo mette ora pressione su Joe Biden, che dovrà articolare una concreta posizione politica sullo Xinjiang. Antony Blinken, il nuovo capo della diplomazia Usa, ha detto di condividere la dichiarazione di Pompeo. Durante la sua udienza di conferma al Senato, egli ha dichiarato di ritenere “giusto” l’approccio duro adottato da Trump contro la Cina: mantenuta la sostanza, egli ha sottolineato, a cambiare sarà il modo in cui saranno gestite le relazioni con Pechino.  

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