25/05/2007, 00.00
SRI LANKA
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Rajapakse per la tutela dei lavoratori migranti nel Golfo, “redditizi” ma umiliati

di Melani Manel Perera
Nella sua prima visita nella regione il presidente chiede alle autorità locali di garantire diritti e assistenza sociale ai migliaia di immigrati dallo Sri Lanka. Solo il Kuwait ne ospita 135mila, di cui la maggior parte donne; proprio le donne rappresentano l’80% della forza lavoro migrante dell’ex Ceylon e costituiscono la seconda voce degli scambi con l’estero. Ma continuano a subire soprusi e discriminazioni.

Colombo (AsiaNews) – Il tentativo di attirare maggiori investimenti esteri e potenziare la prostrata industria del turismo nazionale hanno spinto il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapakse, a compiere la sua prima visita nel Golfo. Il viaggio, 18 – 23 maggio, è stato però anche occasione di discutere sulla tutela e i diritti delle migliaia di lavoratori e lavoratrici migranti dall’ex Ceylon presenti nel Paese.

Fonti governative hanno reso noto che Rajapakse, “durante un lungo incontro con gli immigrati srilankesi, ha assicurato loro la sua attenzione ai problemi che sono costretti ad affrontare”. Nei colloqui con il premier del Kuwait ed altre autorità locali, il capo di Stato ha poi discusso delle “prospettive per offrire ai concittadini emigrati migliore assistenza sociale, arginare il fenomeno dello sfruttamento e garantire un’adeguata retribuzione salariale”.

Più di 135mila srilankesi lavorano attualmente in Kuwait. La Giordania, invece, ne ospita tra i 55mila e i 65mila, di cui 45mila sono donne. Secondo il Rapporto Mondiale sulle Migrazioni 2005 dell’Organizzazione internazionale migranti, le donne ammontano all’80% della forza lavoro migrante dello Sri Lanka. Molte emigrano in Medio oriente con contratti temporanei come lavoratrici domestiche e le loro rimesse in denaro costituiscono per l’ex Ceylon la seconda voce degli scambi con l’estero. Nel 1999, le sole donne emigrate dallo Sri Lanka contribuivano già per il 62% dell’oltre un miliardo di dollari di rimesse.

Tuttavia, il contributo delle donne allo sviluppo economico dei Paesi d’origine potrebbe essere ancora più significativo, se queste non fossero oggetto di discriminazione in termini di stipendi e di accesso a lavori qualificati, come pure o a prestiti per l’avvio di attività imprenditoriali.

 

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