23/09/2009, 00.00
CINA
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Ripresa cinese affermata da tutti, ma non confermata nei fatti

Da mesi Pechino afferma di avere superato la crisi economica, parla persino di penuria di mano d’opera e si accredita come motore trainante dell’economia mondiale. Ma ciò contrasta con i dati, pure ufficiali, sulle decine di milioni di migranti disoccupati. E’ forte il rischio di inflazione, ma nessuno ne parla.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Le autorità cinesi celebrano la rapida ripresa dell’economia, trainata dai finanziamenti statali e dall’aumento delle esportazioni. Ma fonti locali indicano che la disoccupazione permane elevata e che i prezzi salgono di nuovo. Il parere di esperti.

Dall’estate Pechino afferma che sono riprese le esportazioni e la crescita economica, soprattutto grazie al finanziamento per 4mila miliardi di yuan (oltre 400 miliardi di euro) erogato dal governo. Ieri la Banca asiatica per lo sviluppo (Adb) ha previsto per la Cina una crescita dell’8,2% per il 2009 e ancora maggiore per il 2010.

Le autorità locali parlano addirittura di penuria di mano d’opera. A Shenzhen dicono che rimangono non coperti oltre 120mila posti di lavoro. La statale China Central Television ha parlato ieri di scarsità di forza-lavoro nel Guangdong e nel Zhejiang (250mila posti scoperti nel solo Zhejiang).

Ma fonti locali e industriali hanno prospettato al South China Morning Post una situazione ben differente. Chai Kwongwah, presidente della Hong Kong Small and Medium Enterprises General Association, ricorda che tra il 2008 e i primi mesi del 2009 hanno chiuso migliaia di fabbriche e ogni ditta ha licenziato centinaia o migliaia di lavoratori. E' vero che ora in alcuni settori vi sono nuove assunzioni e più ordini dall’estero, “ma sono solo stagionali e per il Natale”. Chai spiega che è elevato il rischio che le esportazioni scendano poi di nuovo.

Il dottor Liu Zhenjie dell’Accademia  delle Scienze sociali dell’Henan osserva che la minor domanda di lavoro nelle regioni costiere dipende dal forte aumento del costo della vita nella zona, così che molti operai licenziati hanno preferito tornare a casa o cercare lavoro nelle regioni centrali e occidentali, dove c’è stata forte richiesta di mano d’opera proprio per le opere finanziate dal governo.

Gli fa eco Robert Wihtol, direttore per la Cina della stessa Adb, il quale indica che “c’è un limite all’investimento pubblico e all’espansione monetaria” e che milioni di migranti disoccupati possono cadere in povertà per la mancanza di sussidi pubblici.

Fonti locali confermano ad AsiaNews che nel Paese sono in forte aumento i prezzi al consumo, nonostante i dati ufficiali sull’inflazione che prevedono, all’opposto, un lieve declino dello 0,5% dei prezzi nel 2009.

La previsione di una diminuzione dei prezzi “solo” dello 0,5% è in apparente contrasto con i dati ufficiali, che affermano che i prezzi al consumo sono in discesa da mesi. Tutti gli esperti però concordano che in Cina nei prossimi mesi aumenterà l’inflazione  in modo indipendente dalla crescita economica . Essa sarebbe conseguenza dell’attuale politica finanziaria e delle robuste immissioni di capitale nel mercato tramite la concessione indiscriminata di prestiti bancari, peraltro in gran parte usati per operazioni di pura speculazione.

Yolanda Fernandez Lommen, esperta finanziaria a Pechino, osserva che in tutti i maggiori Paesi “i tassi di interesse [bancario] sono vicini allo zero, mentre in Cina sono sopra il 5%”.

Zhou Xiaochuan, governatore della centrale Banca di Cina, ha spiegato che i Paesi in via di sviluppo possono sopportare un tasso di inflazione superiore al 2%, senza però spiegare quale sia il limite accettabile e senza indicare previsioni.

Forte dei dati ufficiali, la Cina si appresta all’incontro dei G20 a Pittsburgh, nei prossimi giorni, come Paese che può trainare l’economia mondiale al di fuori della crisi e del rischio di recessione, che tuttora attanaglia Stati Uniti ed Europa. Zhou osserva oggi che il suo Paese, grazie alla forte ripresa, avrà maggior peso nel sistema finanziario internazionale, anche quale “voce di tutti i Paesi emergenti”. Questo si traduce nella richiesta di maggior potere negli organismi finanziari mondiali, come il Fondo monetario internazionale, per il quale gli Usa hanno proposto di dare un potere di voto del 5% ai Paesi emergenti, mentre la Cina e gli altri chiedono non meno del 7%.

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