06/10/2009, 00.00
CINA - UE
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Presidente della Banca europea: lo yuan deve essere riapprezzato

Per Trichet le valute dei Paesi emergenti vanno apprezzate in modo progressivo ma costante, nei confronti di euro e dollaro. Ma la Cina non intende farlo, anche per non deprimere le esportazioni e aumentare la disoccupazione. Esperti: sempre più si profila uno scontro tra Paesi sviluppati ed emergenti.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet sollecita Pechino a riapprezzare lo yuan e portarlo all’effettivo valore. Cresce la richiesta mondiale perché la Cina lasci fluttuare lo yuan secondo le leggi di mercato, ma Pechino continua a rifiutare una scelta che vorrebbe dire accollarsi buona parte del prezzo per il miglioramento dell’economia mondiale.

Nel corso dell’annuale incontro del Fondo monetario internazionale, la scorsa settimana a Istanbul, economisti di tutto il mondo hanno discusso se la ristrutturazione dell’economia mondiale implichi un minor peso del dollaro e un rinforzamento dell’euro. L’euro ha guadagnato circa il 16% contro il dollaro dal marzo 2009.

Robert Zoellick, presidente della Banca mondiale ed ex Segretario di Stato Usa, ha rilevato che il dollaro è sempre meno valuta di riferimento e ha indicato quali valide alternative l’euro e lo yuan.

A sua volta Trichet, in un’intervista trasmessa ieri dalla televisione turca, ha indicato che le valute di diversi Paesi emergenti sono molto sottostimante e che “un numero di valute deve apprezzarsi, in modo progressivo e ordinario, sia nei confronti del dollaro che dell’euro”. Anche se Trichet non ha specificato meglio, le nazioni sviluppate da tempo sollecitano la Cina a riapprezzare lo yuan, che ritengono tenuto basso in modo artificiale.

Pechino è molto criticata perché non ha consentito alcun apprezzamento dello yuan dall’estate 2008 quando è esplosa la crisi finanziaria globale. Un suo allineamento ai valori effettivi consentirebbe agli Stati Uniti e agli altri Paesi sviluppati di diminuire il disavanzo negli scambi commerciali e causerebbe un aumento del prezzo delle merci cinesi, cosa che porterebbe i Paesi occidentali a diminuire il consumo e a favorire la scelta di prodotti locali.

L’Istituto Peterson, negli Usa, ritiene che il renminbi sia sottostimato di circa il 40% rispetto al valore reale.

Seppure tutti concordano sulla necessità di riformare le istituzioni economiche internazionali e riconoscere loro un maggior ruolo di controllo, sempre più si delinea un confronto tra Paesi sviluppati e Paesi emergenti su quanto ognuno dovrà fare per favorire il superamento della crisi globale.

Peraltro l’economia cinese è ancora fondata in gran parte sull’esportazione e conta proprio in una sua ripresa per diminuire la disoccupazione e riprendere la produzione. Né può consentirsi elevati tassi di disoccupazione che potrebbero causare diffusi disordini sociali, anche considerate la mancanza di ammortizzatori sociali e la situazione di povertà di parte della popolazione. Per tutto questo Pechino non intende consentire uno yuan più forte, che colpirebbe le esportazioni, come da Istanbul ha ribadito Yi Gang, vicegovernatore della centrale Banca di Cina.

Esperti osservano che Pechino non intende fare alcuna concessione senza prima avere ottenuto adeguate contropartite, anzitutto in ordine alla sua importanza negli organismi finanziari internazionali e alla posizione dello yuan tra le valute mondiali. In questa battaglia è spalleggiata da altri Paesi emergenti, come India e Brasile.

Questa politica richiede però tempi non brevi, anche perché Pechino deve prima riorientare il suo modello di sviluppo e renderlo meno dipendente dalle esportazioni. Invece gli Stati occidentali vogliono ottenere risultati in tempi rapidi, anche per le esigenze delle loro industrie e del mondo del lavoro. Ora il confronto si sposterà alla prossima riunione dei G20, che i leader mondiali hanno deciso che sarà la sede principale per discutere di politica economica, perché vi sono rappresentati la Cina e altri Stati emergenti assenti invece dal G7.

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