18/06/2021, 09.28
COREA DEL SUD
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Seoul premia il missionario dei lavoratori delle periferie

di Alessandra De Poli

All'irlandese p. Donal O'Keeffe il riconoscimento come "immigrato dell'anno". Dagli anni '80 si è speso per gli operai meno qualificati che vivono nelle baraccopoli. Il suo racconto: "Oggi il Paese è cambiato; le povertà sono più nascoste, ma le persone si sentono ancora più isolate".

Seoul (AsiaNews) - Ogni anno la Corea del Sud assegna un premio agli “immigrati dell’anno”, un riconoscimento per chi si spende per il progresso del Paese in campo sociale. Quest'anno è andato a un missionario irlandese di San Colombano, p. Donal O’Keeffe, che da più di 40 anni si spende per dare dignità ai lavoratori nelle periferie della capitale.

O'Keeffe, che oggi a 70 anni, è arrivato in Corea nel 1976, quando il Paese era ancora segnato dalla dittatura militare e da una forte repressione: “È la cosa che mi ha colpito di più”, ha raccontato ad AsiaNews il sacerdote. In una nazione ancora oggi influenzata dal confucianesimo, dove il grado di istruzione determina il prestigio sociale, a partire dagli anni ‘80 p. O’Keeffe si è speso per i lavoratori che dalle baraccopoli si spostano nei distretti industriali delle città coreane. “Qualunque tipo di associazione - spiega il religioso - era vietata al tempo, l’unico posto dove ci si poteva riunire erano le chiese”.

Con le suore del Sacro Cuore, p. O'Keeffe ha dato vita a una “casa aperta”, un luogo dove i lavoratori, a volte anche giovanissimi di 15 o 16 anni, possono incontrarsi e condividere problemi, sogni, aspirazioni. “La maggior parte di loro - continua il missionario - aveva abbandonato gli studi dopo le scuole medie. Erano persone che si sentivano terribilmente inferiori perchè non avevano studiato, con una scarsissima autostima a causa delle pressioni sociali. Abbiamo cominciato con programmi di crescita personale, creato gruppi dove i giovani potessero fare amicizia o dedicarsi a varie attività, dall’imparare a suonare la chitarra all’andare a camminare in montagna”.

La cosa più bella è stata veder crescere i ragazzi, “vederli fiorire”, dice p. O'Keeffe. In parallelo anche la Corea si è trasformata. La situazione è cambiata poco prima delle Olimpiadi di Seoul del 1988, quando ci si è resi conto che per poter ospitare i Giochi il Paese doveva essere più stabile. Il movimento democratico aveva organizzato manifestazioni in tutta la nazione per chiedere libere elezioni e diritti civili. Nel 1987 si sono svolte le prime elezioni presidenziali e da quel momento, con quella che viene chiamata la sesta Repubblica, la Corea del Sud è diventata sempre più ricca, libera e aperta.

Le sfide sociali non sono finite però. Con lo sviluppo economico degli anni ‘90 la classe media ha iniziato a spostarsi nelle periferie, dove si trovavano le “moon town”, baraccopoli ai lati delle colline da dove si poteva vedere la luna. Le persone che vivevano lì sono state fatte sgomberare per costruire appartamenti che poi sarebbero stati affittati a prezzi proibitivi. “Hanno iniziato a sorgere quei grandi palazzi dove le persone più ricche vivono in cima e i più poveri negli scantinati. Come si vede nel film 'Parasite'. Anche se prima quando c’erano le baraccopoli la vita poteva sembrare peggiore, la qualità delle relazioni in realtà era migliore. La povertà è stata nascosta, ma le persone si sono isolate sempre più”.

Ora i problemi della società coreana sono altri. Anche qui, come in Cina, le donne sono molto meno degli uomini, soprattutto nelle zone rurali. E le donne non sono così attratte dal matrimonio, visto che riescono ad essere indipendenti dal punto di vista economico. Per cui alcuni uomini coreani “ordinano” le mogli dall’estero. Sono le cosiddette “mail order bride” e vengono soprattutto dalle Filippine, dal Vietnam e dalla Cina. “In molti casi non si rivelano buone relazioni. Nei villaggi le condizioni di vita di queste donne non sono facili; i loro figli vengono esclusi perché la società coreana è molto orgogliosa di essere etnicamente pura”. Una nuova sfida per il governo ma anche per la Chiesa.

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