14/05/2015, 00.00
IRAQ - STATI UNITI
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Suora irakena: Lo Stato islamico vuole il genocidio umano e culturale dei cristiani

di suor Diana Momeka*
Davanti al Parlamento Usa, suor Diana racconta il dramma dei cristiani irakeni vittime delle violenze dei jihadisti. La religiosa parla di situazione “grave, ma non priva di speranza”. Un appello alla comunità internazionale e a Washington, perché sia garantito il futuro dell’Iraq e dei suoi figli. Continua la campagna di raccolta fondi promossa da AsiaNews.

Washington (AsiaNews) - I cristiani in Iraq sono vittime di un “genocidio umano e culturale” che rischia di trascinare “l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe”. È quanto ha detto ieri suor Diana Momeka, religiosa domenicana irakena, in un intervento davanti al Parlamento statunitense riunito a Washington. La religiosa, cui era stato rifiutato in un primo momento il visto dalle autorità Usa, ha raccontato il dramma della popolazione cristiana, vittima delle atrocità perpetrate dai jihadisti dello Stato islamico. 

La situazione del Paese e del suo popolo è “grave”, conferma la suora, “ma non priva di speranza”. Al termine dell’intervento suor Diana si è rivolta alla comunità internazionale e al governo degli Stati Uniti, perché “la diplomazia e non il genocidio, il bene comune e non le armi” possano determinare “il futuro dell’Iraq e di tutti i suoi figli”. 

Intanto continua la campagna promossa da AsiaNews “Adotta un cristiano di Mosul”, che ha permesso sinora la raccolta e l'invio di circa 1,3 milioni di euro per il fabbisogno quotidiano dei profughi irakeni fuggiti da Mosul sotto le minacce dello Stato islamico. Una risposta alla richiesta di papa Francesco a tutti i cristiani di una "preghiera intensa", una "partecipazione concreta" e un "aiuto tangibile" per tutti loro. 

La nostra agenzia invita lettori e amici a continuare la campagna "Adotta un cristiano di Mosul”, per fornire ai profughi - superata la prima emergenza - un alloggio più stabile. Il progetto prevede il trasferimento di tutti i rifugiati cristiani - circa 130mila persone, 21mila famiglie - in case da abitare, dove essi possono riprendere responsabilità della loro vita, trovare un lavoro, pensare a un futuro prossimo per i figli. Il costo si aggira sui 3,5 milioni di euro. 

Per comprendere la situazione in cui versano questi nostri fratelli e sorelle e per diffondere ancor più la campagna, AsiaNews ha prodotto un video, che potete vedere, scaricare e diffondere a questo indirizzo: http://www.asianews.it/index.php?l=it&page=69. Ecco, di seguito, l’intervento completo di suor Diana. Traduzione in italiano a cura di AsiaNews: 

La ringrazio presidente Royce e voi, distinti membri della Commissione, per avermi invitato qui oggi per condividere con voi la mia riflessione su comunità antiche ora finite sotto attacco: La guerra dello Stato islamico contro le minoranze religiose. Mi chiamo suor Diana Momeka, della congregazione delle Suore domenicane di Santa Caterina da Siena a Mosul, in Iraq. Vorrei anche chiedervi che la mia intera testimonianza venga registrata. 

Nel novembre 2009, una bomba è esplosa nel nostro convento a Mosul. All’epoca vi erano cinque suore all’interno dell’edificio e sono state fortunate a scampare all’attacco, senza riportare alcuna ferita. La nostra priora, suore Maria Hanna, ha chiesto protezione alle autorità civili locali ma la sua domanda è rimasta disattesa. Per questo, non ha avuto altra scelta se non quella di trasferirsi con tutte noi a Qaraqosh. 

In seguito, il 10 giugno 2014, il cosiddetto Stato islamico in Iraq e in Siria (Isis), ha invaso la piana di Ninive, al cui interno è situata Qaraqosh. Iniziando con la città di Mosul, l’Isis si è impadronita di una città dopo l’altra, dando ai cristiani della regione tre alternative: convertirsi all’islam; pagare un tributo (jizya) allo Stato islamico; abbandonare le città (come Mosul), con nient’altro che i propri vestiti. 

Mentre questa ondata di terrore si diffondeva per tutta la piana di Ninive, al 6 agosto 2014 la zona di Ninive era completamente svuotata della presenza cristiana; e, cosa ancor più triste, per la prima volta dal settimo secolo nessuna campana di una chiesa della piana di Ninive ha richiamato i fedeli alla messa. 

Dal giugno 2014 in avanti, più di 120mila persone si sono ritrovate sfollate e senza casa nella regione del Kurdistan irakeno, lasciandosi alle proprie spalle il loro patrimonio e tutto ciò per cui avevano lavorato nel corso dei secoli. Questo sradicamento, la depredazione di ogni bene appartenuto sino ad allora ai cristiani, li ha resi profughi nel corpo e nell’anima, strappando via la loro umanità e la loro dignità. 

Aggiungendo anche l’insulto alla ferita, le iniziative e le azioni intraprese tanto dal governo irakeno quanto dal governo regionale curdo sono state - volendo essere ottimisti - modeste e lente. Oltre a consentire l’ingresso dei cristiani nella regione, il governo del Kurdistan non ha offerto alcun aiuto di tipo finanziario o materiale. Posso capire il grande sconvolgimento che questi eventi hanno provocato a Baghdad ed Erbil, detto questo è passato quasi un anno e i cittadini cristiani irakeni sono ancora in una situazione di piena emergenza e bisognosi di aiuto. Molte persone hanno trascorso intere giornate o settimane nelle strade, prima di trovare riparo in tende, scuole e saloni. Grazie a Dio, la Chiesa nella regione del Kurdistan si è fatta avanti e ha curato in prima persona i cristiani sfollati, facendo davvero del proprio meglio per far fronte al disastro. Gli edifici appartenenti alla Chiesa sono stati aperti e messi a disposizione per fornire un riparo agli sfollati; hanno fornito loro cibo e altri generi di prima necessità, per far fronte ai bisogni immediati della gente; hanno anche fornito assistenza sanitaria gratuita. Inoltre, la Chiesa ha lanciato appelli cui hanno risposto molte organizzazioni umanitarie, le quali hanno fornito aiuti alle migliaia di persone in situazione di estremo bisogno. 

Oggi siamo grati per tutto ciò che è stato fatto, con la maggior parte delle persone che hanno trovato un riparo in piccoli container prefabbricati o in alcune case. Una soluzione di certo migliore rispetto alla prospettiva di vivere in strada o edifici abbandonati, queste piccole unità sono poche e sovraffollate, ciascuna al suo interno contiene almeno tre famiglie, composte da diverse persone, che devono condividere un solo alloggio. Questo, come ovvio, è fonte di tensioni e conflitti, persino all’interno della stessa famiglia. Vi sono molti che dicono “Perché i cristiano non lasciano l’Iraq e vanno in un altro Paese e ricominciano da capo?”. A questa domanda, vorrei rispondere in questo modo: “Perché mai dovremmo abbandonare il nostro Paese, cosa avremmo fatto per meritarcelo?”. 

I cristiani d’Iraq sono le prime persone che hanno abitato questa terra. Potete leggere di noi fin dall’Antico Testamento nella Bibbia. Il cristianesimo ha fatto il suo ingresso in Iraq fin dai primi momenti, attraverso la preghiera e la testimonianza di San Tommaso e degli altri apostoli della Chiesa degli albori. 

Sebbene i nostri antenati abbiano sperimentato ogni genere di persecuzione, essi sono rimasti sulla loro terra, dando vita a una cultura per secoli al servizio dell’umanità. E noi, in quanto cristiani, non vogliamo, né meritiamo di lasciare o essere costretti ad abbandonare il nostro Paese, più di quanto non possiate esserlo voi ad abbandonare i vostri.

La persecuzione che la nostra comunità si trova oggi a fronteggiare è la più brutale della nostra storia. Non solo siamo stati derubati delle nostre case, proprietà e terre, ma è stato distrutto anche il nostro patrimonio. Lo SI ha distrutto e continua a demolire e bombardare le nostre chiese, i reperti archeologici e luoghi sacri come Mar Behnam e Sara, un monastero del quarto secolo e il monastero di San Giorgio a Mosul. 

Sradicati e cacciati a forza, abbiamo capito che il piano dello Stato islamico è di svuotare la terra dai cristiani e ripulire il terreno di ogni minima prova che testimoni la nostra esistenza nel passato. Questo è un genocidio umano e culturale. I soli cristiani che sono rimasti nella piana di Ninive sono quelli che sono stati trattenuti come ostaggi. 

La perdita subita dalla comunità cristiana nella piana di Ninive ha portato l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe. I cristiani per centinaia di anni sono stati il ponte che ha permesso di unire le culture di Occidente e Oriente. Distruggere questo ponte significa lasciare una zona di conflitto isolata e priva di cultura, svuotata della diversità religiosa e culturale. Attraverso la nostra presenza in quanto cristiani, noi siamo chiamati a essere una forza di bene, pace e connessione tra culture. 

Per ripristinare, riparare e ricostruire la comunità cristiana in Iraq, bisogna adottare con la massima urgenza le seguenti iniziative: 

1 - Liberare le nostre case dalla presenza dello Stato islamico e favorire il nostro rientro. 

2 - Promuovere uno sforzo comune e coordinato per ricostruire ciò che è stato distrutto - strade, acqua, forniture elettriche, ivi compresi i nostri monasteri e le nostre chiese. 

3 - Incoraggiare le imprese per contribuire alla ricostruzione dell’Iraq e del dialogo interreligioso. Questo può essere fatto attraverso le scuole, le accademie e progetti pedagogici ed educativi mirati. 

Sono solo una piccola persona, umile - io stessa vittima dello Stato islamico e delle sue brutalità. Venire qui è stato difficile per me, in quanto religiosa e suora non mi sento a mio agio con i media e con una così grande attenzione. Tuttavia ho voluto essere qui, e sono venuta per chiedervi, per implorarvi per il bene della nostra comune appartenenza al genere umano, di aiutarci. Abbiamo bisogno della vostra vicinanza, perché noi in quanto cristiani siamo accanto a tutti i popoli del mondo. E aiutateci! Vogliamo solo ritornare alle nostre vite di prima; non vogliamo nient’altro che fare ritorno alle nostre case.  

Vi ringrazio e che Dio benedica tutti voi!

* Suora domenicana di Santa Caterina da Siena a Mosul.

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