19/08/2014, 00.00
MYANMAR
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Vescovi Kachin: soluzione “duratura” al conflitto, per una “pace possibile” in Myanmar

di Francis Khoo Thwe
I vescovi di Banmaw, Myitkyina e Lashio rilanciano il progetto di un “autentico federalismo” che rispetti “etnie, culture e risorse”. Essi denunciano il traffico di vite umane e il problema tossicodipendenza che ha colpito i giovani. Spiragli di un cessate il fuoco nazionale nei colloqui fra governo e milizie etniche.

Yangon (AsiaNews) - "La pace è possibile in questo Paese" ed è per questo che governo birmano, esercito, minoranze etniche e gruppi ribelli, in particolare nello Stato Kachin teatro da tre anni di una guerra sanguinosa, sono chiamati a trovare una "soluzione duratura al conflitto". È quanto sottolineano i vescovi delle diocesi di Banmaw, Myitkyina e Lashio, in una dichiarazione congiunta pubblicata in accordo con rappresentanti Kachin, Shan e degli sfollati a causa della guerra. Nella nota, diffusa nei giorni scorsi e inviata ad AsiaNews, mons. Raymond Sumlut Gam, mons. Francis Daw Tang e mons. Philip Zahawng rilanciano il progetto di un "autentico federalismo" per il Myanmar, che assicuri il rispetto "dell'appartenenza etnica, della cultura e delle risorse" racchiuse nel sottosuolo.

Il Myanmar è composto da oltre 135 etnie, che hanno sempre faticato a convivere in maniera pacifica, in particolare con il governo centrale e la sua componente di maggioranza birmana. In passato la giunta militare ha usato il pugno di ferro contro i più riottosi, fra cui i Kachin nell'omonimo territorio a nord, lungo il confine con la Cina. Divampata nel giugno 2011 dopo 17 anni di relativa calma, la guerra ha causato decine di vittime civili e almeno 200mila sfollati, come confermano i vescovi nel loro appello.

I prelati Kachin ricordano di essere stati testimoni diretti delle sofferenze "del nostro popolo", di aver visto "centinaia di persone innocenti ammazzate e sepolte in fosse comuni", migliaia di rifugiati "stipati in centri di accoglienza disumani". Essi parlano di "conflitto brutale", che ha inflitto pesanti "effetti collaterali" all'integrità del territorio e del suo popolo. Fra questi il "traffico di vite umane", che ha ridotto le donne in condizioni di schiavitù e "intrappolato" centinaia di giovani nella dipendenza alle droghe. 

Si tratta di un "tentativo deliberato" di "distruggere i giovani della nostra terra", oltre che "uno spossessamento indiscriminato" delle risorse naturali appartenenti al popolo. Anche la questione terriera, con gli espropri forzati e la ricollocazione di interi villaggi, "può determinare il futuro di pace" nella regione. Inoltre, entrambi i fronti - esercito birmano e gruppi ribelli del Kachin Indipendence Army (Kia) - hanno il dovere di "proteggere i diritti di base dei civili" e di procede all'opera di "sminamento dei terreni", passaggio imprescindibile per il "ritorno" della popolazione nei territori di origine. "La Chiesa prega per una pace duratura - concludono i tre prelati nel loro appello - e assicura tutti che lavorerà con tutte le componenti della società del Myanmar, per raggiungere uno scopo tanto agognato". 

Intanto prende sempre più corpo la possibilità di un cessate il fuoco a livello nazionale, al termine della tre giorni di colloqui che si è svolta nel fine settimana scorso a Yangon, fra i rappresentanti del governo di Naypyidaw e gli esponenti delle minoranze etniche del Myanmar. Si è trattato del quinto incontro ufficiale fra le due delegazioni e avrebbe aperto spiragli importanti per mettere fine a oltre 60 anni di scontri e divisioni. Restano ancora posizioni distanti circa il reclutamento forzoso fra le file dell'esercito, ma si sono registrati passi in avanti significativi in tema di sistemazione dei rifugiati, stanziamento delle truppe e la possibilità di una forza congiunta di pace. 

 

 

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