07/03/2018, 08.35
CINA
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Xi Jinping riporta indietro la Cina ai tempi di Mao Zedong

di Willy Wo-Lap Lam

Con la proposta del Partito di eliminare il limite di due mandati alla carica di presidente, Xi Jinping potrebbe governare la Cina fino al 2028, al 2032, e perfino al 2049, quando lui avrebbe 96 anni. La proposta verrà votata all’Assemblea nazionale del popolo, in corso a Pechino. Xi ha già eliminato molti interlocutori di fazioni avversarie, non ha scelto alcun possibile successore e ha lanciato il controllo del Partito su tutta la società e l’economia. Ma fare “l’imperatore a vita” è una formula che può portare a grandi disastri.

Hong Kong (AsiaNews) – La politica cinese ha subito una sbalorditiva retrocessione quando il 25 febbraio è emerso il limpido annuncio della Xinhua che un’imminente revisione della costituzione dello Stato avrebbe abrogato i limiti di tempo per i posti di presidente e vice-presidente. La leadership del partito, ha detto Xinhua, vuole “rimuovere dalla Costituzione del Paese le espressioni secondo cui il presidente e il vice-presidente… ‘dovranno servire non più di due mandati consecutivi” (Xinhua, 25 febbraio). Tale emendamento costituzionale, che sembra rendere il presidente Xi Jinping un leader a vita, significa che la Cina potrebbe tornare all’era del presidente Mao, quando il Grande Timoniere, che non aveva limiti di mandato, governava coi diktat. Intrighi politici e lotte interne fra le fazioni divennero cose quotidiane, mentre lo sviluppo sociale ed economico venne a fermarsi (Radio Free Asia, 29 dicembre 2016).

Da quando nel novembre 2012, al 18mo Congresso del Partito, Xi è divenuto segretario generale, una delle sue primarie preoccupazioni è stata la crescita del suo potere personale. Xi ha disprezzato le istruzioni di Deng Xiaoping, secondo cui nessun leader dovrebbe coltivare il culto della personalità, a che la Cina dovrebbe essere governata da una leadership collettiva, ossia il Comitato permanente del Politburo. Il successo dell’infaticabile auto-esaltazione di Xi è divenuto evidente al 19mo Congresso del Partito lo scorso ottobre, dove la fazione di Xi, che in massima parte consiste di suoi protetti dal Fujian e dal Zhejiang, sono stati elevati a posizioni elevate nel partito, nel governo e nell’esercito. Xi è diventato “il cuore della leadership del Partito” e il suo zuigaotongshuai (il comandante supremo), mentre “il Xi Jinping-pensiero” è stato inserito nella costituzione del Pcc come principio guida del partito e della nazione. E’ anche in programma che lo Xi-pensiero venga inserito nella costituzione del Pcc: una versione emendata di essa dovrebbe essere approvata alla sessione plenaria dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp), che si tiene ai primi di marzo (HK0I.com, 25 ottobre 2017; Apple Daily [Hong Kong], 24 ottobre 2017).

Cosa significa di preciso la cancellazione dei limiti di mandato per il posto di presidente? In un’editoriale, il giornale conservatore Global Times, nota che l’emendamento costituzione non significa necessariamente che “il presidente cinese avrà un incarico a vita”. Ma il Global Times cita ideologi del partito i quali dicono che la Cina ha bisogno di “una stabile, forte e consistente leadership”, soprattutto dal 2020 al 2035 (Global Times, 26 febbraio). Secondo un commento riportato nel People’s Daily Online, la tradizione del sanweiyiti (tre cariche in una sola persona) – un riferimento alle tre posizioni di segretario generale, presidente e direttore della Commissione militare centrale, tutte tenute dalla stessa persona – hanno mostrato “effetti benefici nel mantenimento e nella salvaguardia dell’autorità delle autorità centrali e nella concentrazione unificata della leadership”. La voce del Partito afferma che la revisione costituzionale faciliterà la continuazione della tradizione del sanweiyiti (People’s Daily Online, 26 febbraio).

Ammettendo che la salute di Xi tenga, è ora quasi certo che egli rimarrà presidente fino al 2028 e forse 2033, quando avrà 80 anni. Il 63enne nativo dello Shaanxi manterrà anche due poltrone molto potenti – la segreteria generale del Pcc e la direzione della Commissione militare centrale – fino al 2027, o forse fino al 2032. La Costituzione del Pcc non ha restrizioni sull’età o sui mandati del segretario generale o del comandante supremo. Zhang Lifan, stimato storico del partito, è arrivato a dire che “Xi Jinping potrebbe perfino mantenere un ruolo decisivo [nel governo] fino al 2049, il centenario della fondazione della Repubblica popolare, quando egli avrà 96 anni” ((Duowei News, 26 febbraio). A parte le evidenti tendenze alla megalomania di Xi, l’indicazione più chiara che egli aspira ad essere il “Mao Zedong del 21mo secolo” è la sua mancanza di interesse nello scegliere un successore. Secondo le riforme politiche iniziate da Deng nei primi anni ’80, il partito deve stabilire un protocollo della successione in modo istituzionalizzato e non violento. Nonostante temporanei alti e bassi, il potere è passato in modo pacifico e ordinato da Deng a Jiang Zemin e a Hu Jintao (Ming Pao [Hong Kong], 8 novembre 2017).

Se Xi avesse voluto seguire la norma ormai tradizionale del partito di stare solo per due mandati come segretario generale e presidente, egli avrebbe già preparato alcuni giovani talenti per succedere a lui e al premier Li Keqiang. Questo avrebbe implicato che durante il 19mo Congresso del Partito, si introducessero almeno uno o due della cosiddetta “Sesta generazione di leader (i nati dalla fine del 1950 alla fine del 1960)” all’interno del Comitato permanente del Politburo  (V. (China Brief, 13 febbraio). Dopo tutto, se Xi è intenzionato a mantenere il potere fino al 2027/2028 o 2032/2033, non c’è alcuna ragione da parte sua a scegliere un successore così in anticipo.

Oltre ad accrescere il suo potere, Xi ha tolto ogni freno per garantire al Pcc lo stretto controllo di ogni aspetto della vita dei cinesi. La macchina della propaganda si è surriscaldata nel sottolineare la quasi onnipotenza del partito e il suo dominio totale su ogni settore della politica. Il Terzo Plenum del 19mo Comitato centrale ha deliberato sul tema chiave della “riforma dei sistemi del partito e dello Stato”. Il comunicato del Plenum dice che la leadership spera che le riforme – i cui dettagli non sono stati annunciati – garantiranno che le unità del partito e del governo avranno “istituzioni ben equipaggiate, regole e paradigmi scientifici, e operazioni ad alta efficienza”. Nello stesso tempo, comunque, il comunicato sottolinea che il fine ultimo della riforma del partito e delle istituzioni statali è “migliorare e sostenere l’istituzione della leader comprensiva del Partito… rafforzando la leadership del Partito sul lavoro di tutti i settori [della politica] e garantire che la leadership del Partito sia più forte e più impetuosa” (People’s Daily, 28 febbraio; Phoenix Television [Beijing], 28 febbraio).

In effetti, uno dei punti riguardanti i cambiamenti costituzionali è l’inserimento nel suo primo articolo della clausola: “la leadership del Pcc è la caratteristica più fondamentale del socialismo con caratteristiche cinesi”. E dato che i quadri seniori continuano a ripetere che tutti i membri del Partito devono “essere in totale unisono in pensieri e azioni con ‘il cuore’ Xi Jinping”, sostenere il partito significa, in pratica, professare fedeltà a Xi (Cable News Hong Kong, 28 febbraio; People’s Daily, 28 ottobre 2017).

Xi e i suoi consiglieri erano nervosi su una possibile negativa accoglienza del suo tentativo di leadership a vita. Questo è evidente dal fatto che dopo l’annuncio della revisione costituzionale il 25 febbraio scorso, i formidabili apparati di propaganda e di controllo dell’IT nel Pcc si sono lanciati subito nell’azione. Dalle piattaforme di chat e dai social media, l’algoritmo ha cancellato tutte le parole sensibili, compresi “imperatore”, “incoronazione”, “Mao Zedong”, “mandato a vita”, “dinastia”, “regressione”, e “emigrazione” (con riferimento a chi vuole lasciare il Paese). Perfino la frase “non sono d’accordo” è stata bandita. Un’altra parola tabù era “Yuan Shikai”, il generale signore feudale della guerra che ha cercato di auto-incoronarsi imperatore dopo la rivoluzione del 1911, guidata da Sun Yat-sen, e che ha posto fine alla dinastia Qing (Voice of America, 27 febbraio; China Digital Times, 25 febbraio).

Eppure, nonostante la censura sui media, diversi intellettuali liberali piuttosto coraggiosi hanno espresso la loro opposizione all’apparente ritorno del governo dittatoriale maoista. Un esempio è stato l’appello pubblico dell’intellettuale Li Datong, già editore di China Youth Daily, che ha chiesto ai membri dell’Anp di non approvare l’emendamento costituzionale. Li dimostra che la decisione di Deng Xiaoping sul limite dei mandati – inserita nella presente costituzione – rappresentava un tentativo di imparare l’amara lezione del passato data dalla tirannia di Mao e il culto della personalità. “L’abolizione dei limiti di mandato dei leader dello Stato diventerà la barzelletta delle nazioni civilizzate in tutto il mondo” ha detto Li. “Questa regressione storica porta con sé i semi di una Cina che scivola verso il disordine” (Radio French International, 27 febbraio; BBC Chinese Service, 26 febbraio).

A livello pratico, un certo numero di cinesi e di analisti basati all’estero citano il pericolo di una quasi totale assenza di verifiche ed equilibri. Nemmeno uno degli aiuti più fidati oserà sfidare le decisioni di Xi, ora che il suo status è salito al livello del semidio Mao (United Daily News [Taipei], 26 febbraio; New York Times Chinese Edition, 25 febbraio). Secondo Hu Ping, dissidente in esilio a New York, l’aspirazione di Xi di divenire un altro Mao Zedong e Stalin potrebbe portare a un “leader a vita” che fa un errore dopo l’altro. Hu fa notare che nel contesto politico cinese, per definizione un leader supremo sostiene le corrette linee del partito e della politica – e non è possibile per lui fare errori. “Per evitare di essere gettato via – afferma Li - un leader supremo non ammetterà mai di aver fatto degli errori … e commetterà errori ancora più grandi per nascondere gli errori passati” (Radio Free Asia, 26 febbraio).

La caparbia gonfiatura di Xi, insieme alla sua insistenza sul principio maoista che il Partito domina ogni cosa, potrebbe avere anche serie conseguenze sulla società e l’economia. Wu Qiang, già professore di politica all’università Tsinghua, ha detto ai media di Hong Kong che le proposte del Partito per la “la riforma del partito e delle istituzioni statali” potrebbero condurre alla diffusione del potere del Partito in ogni angolo della società. “Il partito eserciterà il controllo sulle imprese, le organizzazioni sociali, le compagnie straniere… [compresi] tutti i settori che un tempo erano sotto la giurisdizione dell’economia di mercato”. Wu ha detto che saranno costituite cellule del Partito perfino in imprese cinesi all’estero, come pure in organizzazioni studentesche all’estero per manifestare “il management istituzionale da parte del Partito” (Cable News Hong Kong, March 1).

La determinazione di Xi nel gestire la Cina a suo modo – bandendo tutte le voci dell’opposizione – è confermata da una serie di cambi di personale nelle due scorse settimane.  Membri della fazione di Xi Jinping hanno continuato ad essere promossi in posti al vertice dell’apparato di sicurezza. Sono stati invece penalizzati affiliati della fazione rivale, la Lega della gioventù comunista, una volta guidata dal presidente Hu Jintao. Per esempio, Wang Xiaohong, vice-ministro della polizia, che aveva lavorato insieme con Xi a Fuzhou (Fujian) negli anni ’90, divenuto anche capo della polizia della municipalità di Pechino, alla fine di febbraio è stato promosso ministro della Sicurezza di Stato, incaricato di tutti gli apparati di intelligence del Paese. Il consigliere di Stato Yang Jing, che era segretario generale del Consiglio di Stato, e un fedele membro della fazione della Lega della gioventù comunista, è stato ridotto allo status ministeriale ordinario, a causa di “infrazioni disciplinari” non rese note. Compagnie sostenute dai principini, che hanno fallito nel convincere Xi della loro lealtà, sono state obbligate a restrizioni normative. Anbang Insurance, ad esempio, che gode del sostegno di almeno due delle famiglie più in vista del Partito, è stata assorbita dalla China Insurance Regulatory Commission (Apple Daily, 29 febbraio; Ta Kung Pao [Hong Kong], 25 febbraio).

Secondo Zhang Lifan, non c’è dubbio che “il Pcc sta rotolando giù sulla strada del dominio degli uomini e che l’autorità del massimo leader sarà rafforzata”. Zhang è preoccupato che il Partito e i suoi quadri superiori potrebbero cadere vittime della corruzione per “la mancanza di supervisione da parte di altre forze politiche, dei media e del pubblico” (Ming Pao, 1° marzo). Nel suo Rapporto politico al 19mo Congresso del Partito, quattro mesi fa, Xi ha chiesto al mondo di pensare ad adottare elementi della “sapienza cinese e l’agenda cinese”, che – egli dice – produrrà “una grande e moderna nazione socialista… che è prospera, forte, democratica, avanzata dal punto di vista culturale, armoniosa e bella” (Xinhua, 27 ottobre 2017). La sete di potere del presidente e la sua evidente determinatezza a riprendere le tanto criticate norme del presidente Mao, spingono tanti a domandarsi se questi obiettivi così elevati potranno mai essere raggiunti sotto la guardia del nuovo “imperatore cinese a vita”.

(Per gentile concessione della Jamestown Foundation. Traduzione dall’inglese a cura di AsiaNews)

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