Alaska: l’incontro fra Trump e Putin nella terra di missione della Russia universale
Il valore “strategico” del luogo scelto per l’incontro “inconcludente” fra i presidenti russo e americano. Un territorio lontano dall’Ucraina e dalla “debole” Europa, che conferma la prevalenza dell’elemento “economico”. Nessuna svolta sulla guerra lanciata da Mosca a Kiev. È stata la prima visita del leader del Cremlino in territorio americano dal 2007.
Il luogo dell’incontro scenografico e inconcludente tra Donald Trump e Vladimir Putin ha avuto comunque un valore strategico per molti motivi, essendo l’Alaska un territorio che spalanca le porte dell’Artico, uno degli obiettivi cruciali per le trattative geopolitiche ed economiche in vista del futuro, tra i cambiamenti climatici e le grandi risorse naturali che può offrire. È una regione praticamente in comune tra la Russia e l’America, per i trascorsi storici e la vicinanza geografica con i confini fluttuanti tra i ghiacci che si sciolgono, ed è quanto di più lontano si possa pensare dall’Ucraina e dall’Europa, per evitare ogni interferenza con i piani degli imperatori che sovrappongono e suddividono in quella latitudine i domini dell’Oriente e dell’Occidente.
L’aspetto economico della trattativa, che non ha portato ad alcun risultato concreto, se non quello di rimandare ulteriori sanzioni contro la Russia, è stato sottolineato dalla composizione del gruppo che accompagnava il presidente russo: oltre al ministro degli esteri Sergej Lavrov e al consigliere Jurij Ušakov, vi erano il ministro della difesa Andrej Belousov, economista e suddiacono ortodosso, a cui è affidata tutta la “economia di guerra” della Russia, il ministro delle finanze Anton Siluanov e soprattutto il rappresentante speciale per i fondi di investimento e principale negoziatore per le prospettive commerciali, Kirill Dmitriev. Del resto, anche gli americani hanno inserito il ministro delle finanze Scott Bessent. Per Trump l’incontro “è andato benissimo”, segno che l’armistizio in Ucraina era davvero l’ultimo dei problemi, e contava solo la rappresentazione dei “grandi del mondo” che fanno i conti per mantenere le spese di un potere assoluto, e adesso “qualcosa dovranno fare gli europei e gli ucraini”, i sudditi recalcitranti che fingono di credere alla pace e alla democrazia.
Oltre ai grandi affari di cui si è discusso, non va dimenticata la forte dimensione spirituale della frescura estiva dell’Alaska, che ha evitato ai padroni del mondo di soffrire per le ondate di caldo africano che imperversano nei territori mediterranei e mediorientali. L’Alaska è la terra dove “è iniziata la diffusione della fede ortodossa nel Nuovo Mondo”, ha ricordato il protoierej Nikolaj Balašov, consigliere del patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev), e in cui “molti abitanti nativi della regione conservano tuttora le tradizioni ortodosse”, tanto che qui vi sono molti più ortodossi che in tutti gli altri Stati dell’Unione. Si tratta quindi a buon diritto di una parte significativa del “mondo russo”, espressione della missione della Santa Russia nel mondo intero.
La missionarietà, in senso specifico di diffusione del Vangelo in altre terre, è una caratteristica importante della storia della Chiesa russa, anche se non al livello delle missioni universali della cattolicità. I russi sono figli del cristianesimo bizantino, reinterpretato come il Vangelo del “popolo nuovo” del nascente Stato di Kiev, devastato due secoli dopo il Battesimo dalle orde tataro-mongole che non hanno imposto una nuova religione, lasciando sopravvivere l’Ortodossia russa in stato di passivo controllo da parte dei Khan. Con la rinascita della Moscovia, i santi russi hanno evangelizzato i popoli del nord nei territori europei fino agli Urali, e solo con le progressive conquiste asiatiche sono stati assoggettati i tanti popoli della Siberia, senza peraltro convertirli direttamente alla fede ortodossa. Gli abitanti di importanti regioni come la Calmucchia, Tuva e la Buriazia, di prevalente etnia mongola, sono in maggioranza fedeli alle tradizioni del buddismo, ed è ammesso perfino lo sciamanesimo come religione ufficiale.
Non sono mancati i tentativi di imporre la religione ortodossa con decisioni dall’alto e con l’arrivo dei missionari, ma di fatto gli ortodossi in Siberia sono per lo più i discendenti dei russi trasferiti nelle terre asiatiche per lavori forzati, confino e punizioni, o comunque per organizzare le difficili produzioni legate ai ricchi materiali energetici e ai minerali preziosi. L’unica vera “missione straniera” dell’Ortodossia russa è stata realizzata in Giappone, dove esiste una Chiesa “figlia” di quella moscovita, che non raccoglie certo una grande percentuale della popolazione locale. L’Alaska costituisce invece il vero orgoglio della missionarietà ortodossa russa, in una terra allo stesso tempo considerata come propria e come straniera, ai confini del mondo e al di sopra di tutte le altre.
Padre Balašov ha ricordato i grandi santi evangelizzatori come German Alaskinskij (“dell’Alaska”), che nella prima metà dell’Ottocento organizzò una missione nell’isola eschimese di Kodiak, presso la riva meridionale dell’Alaska, battezzando molti abitanti locali “aleutini”, tanto da essere venerato dai russi come il “santo patrono dell’America”. Ancor più famoso è il santo metropolita Innokentij (Venjaminov) anch’egli ricordato col titolo “dell’Alaska”, che dalla sede moscovita si recò nelle terre asiatiche diventando vescovo di Kamčatka, Jacuzia, Primorje e America del Nord, sostenendo con la sua autorità spirituale il generale e governatore della Siberia orientale, il conte Nikolaj Murav’ev-Amurskij, nella conquista dei territori dell’Estremo Oriente e nella fondazione di Blagoveščensk, la prima grande città russa ai confini con la Cina. Nel 1864 egli benedisse la cattedrale dell’Annunciazione nella nuova città della Kamčatka, consacrando quindi tutti questi territori alla Madre di Dio secondo la variante russa dell’Ortodossia, e fu quindi richiamato trionfalmente come metropolita di Mosca, allora il capo di tutta la Chiesa russa. Innokentij fu uno dei pochi santi russi ad essere canonizzato in piena epoca sovietica nel 1977, per una circostanza di particolare convergenza politico-ecclesiastica: pochi anni prima era stata istituita la Chiesa ortodossa d’America per iniziativa del grande teologo russo Aleksandr Šmeman, esprimendo una speciale “missione ortodossa” del patriarcato di Mosca nel sostenere la “lotta mondiale per la pace” del regime sovietico di Leonid Brežnev, e la figura di Innokentij d’Alaska funse da immagine simbolica di questa unione universale dei mondi.
L’Alaska fu venduta all’America nel 1867, subito dopo la missione di Innokentij, per decisione dello zar Aleksandr II, ma l’Ortodossia si conservò e si diffuse ulteriormente anche negli anni successivi, diventando uno dei fattori decisivi nell’approvazione della nuova giurisdizione ecclesiastica russa in America, e in attesa del grande ritorno attuale dello zar Putin. Un abitante della città di Petropavlovsk-Kamčatskij, Pavel Šalimov, che aveva abitato per anni a Juneau, la capitale dell’Alaska, ha dichiarato a Ria-Novosti che “l’incontro tra i due presidenti è l’inizio di una nuova amicizia tra la Russia e l’America, per questo l’incontro è avvenuto là dove gli abitanti amano molto la Russia”. Rientrando in Alaska, la Russia di Putin segna una nuova tappa dell’invasione dell’Occidente, ben più significativa del faticoso avanzare sul fronte del Donbass, che del resto controlla da anni senza ottenere grandi vantaggi e provocando immani devastazioni.
L’incontro degli imperatori ha ricordato in qualche modo quello del papa Francesco con il patriarca Kirill nel 2016, su una terra che in teoria si riferiva più al pontefice cattolico e sudamericano, ma dove la parte del padrone di casa era affidata al gerarca russo ortodosso. Per molti commentatori “l’unico luogo dove Putin si sarebbe sentito meglio che in Alaska è Mosca”, e a 55 miglia dalle rive dell’Alaska si vedono bene le coste russe, dove “i barbari cupi in copricapi pesanti cantano il ritornello Riportate indietro l’Alaska”, ricordano alcuni citando dei versi del poeta rivoluzionario Andrej Belyj. Molti esaltano perfino la data significativa del 15 agosto, il giorno del 1945 in cui l’imperatore Hirohito annunciò la capitolazione del Giappone, nel 1947 venne annunciata l’indipendenza dell’India, nel 1973 gli americani si ritirarono dal Vietnam, perfino la fondazione dell’ordine dei Gesuiti nel 1534. L’evento più simbolico del Ferragosto storico fu quando l’imperatrice bizantina Irina accecò il figlio co-imperatore, Costantino VI, come Putin ha fatto con Trump per assicurarsi la capitolazione dell’Ucraina, e ai fedeli cattolici non rimaneva che affidarsi all’intercessione della Madonna Assunta in cielo.
È stata la prima visita del leader russo in territorio americano dal 2007, a parte le assemblee dell’Onu, ed ha evidentemente aperto una nuova fase di incontri reciproci, con il desiderio di Trump di varcare la soglia del Cremlino per entrare nella storia, passando proprio dall’Alaska, il luogo dell’accordo per il funerale politico di Volodymyr Zelenskyj. In un quarto di secolo al potere, Putin ha avuto 48 incontri con i presidenti americani: con Bill Clinton ha firmato nel 2000 un accordo per le informazioni missilistiche, nel 2005 ha posato con George W. Bush insieme all’italiano Silvio Berlusconi, al cinese Hu Jintao e all’europeo Jean-Claude Juncker al Cremlino, per festeggiare i 60 anni dalla fine della II guerra mondiale. Nel 2005 ha discusso con Barack Obama al G20 di Antalya, incontrando una prima volta Donald Trump ad Amburgo nel 2017, per poi vedere Joe Biden al summit Usa-Russia di Ginevra a giugno del 2021, due mesi prima del ritiro americano dall’Afghanistan che ha ispirato la nuova guerra mondiale della Russia putiniana.
Putin ha vinto la guerra prima ancora dell’incontro, sedendosi al tavolo delle trattative nel ruolo di vincitore e di nuovo padrone del mondo, sancito dalla “nuova Yalta” dell’Alaska in condivisione con Trump, e nessuna protesta degli ucraini potrà cambiare la prospettiva della divisione dei territori e del controllo incrociato di russi e americani. L’Unione europea (Ue) non ha evidentemente la forza per sostenere Kiev e garantire condizioni giuste di conclusioni del conflitto, e perfino il più acceso “russofobo”, il segretario generale della Nato Mark Rutte, ha parlato di “definizione giuridica necessaria” per i territori occupati dalla Russia. Il diritto internazionale che s’impone è quello della legge del più forte, e quello della missione di chi si sente inviato da Dio a unire il mondo dall’Artico all’Antartico, dall’Atlantico al Pacifico, dal presente al ritorno nel passato.
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16/09/2023 09:00