03/05/2025, 09.28
VERSO IL CONCLAVE/15
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Sako: mantenere viva la presenza dei cristiani iracheni nella terra di Abramo

di Dario Salvi

Il porporato ha legato la propria opera a difesa di una comunità che è parte del Paese e della sua storia. Il principio di cittadinanza, il dialogo fraterno, ma schietto, con l’islam e il coraggio della “trasparenza” capisaldi della sua missione. Fra i momenti più significativi la visita del pontefice in Iraq. Per il Conclave l’auspicio di un papa capace, come Francesco, di “cogliere i segni dei tempi”. 

Città del Vaticano (AsiaNews) - Un pastore per una comunità perseguitata, che da anni si batte per mantenere viva la presenza cristiana nella “terra di Abramo” rivendicando pari diritti fra tutti gli iracheni secondo il principio della “cittadinanza” e fautore di un dialogo schietto, ma sincero, con il mondo musulmano. Il card. Louis Raphael Sako, patriarca di Baghdad dei caldei, sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk - la nomina risale al 2003, anno dell’invasione statunitense con la caduta di Saddam Hussein - ha sperimentato nella missione difficoltà e sfide di una nazione martoriata da guerre e jihadismo. Ciononostante ha saputo rispondere con coraggio e fedeltà, tanto da accogliere papa Francesco nel primo viaggio apostolico post pandemia nel marzo 2021, quando ancora il Covid-19 rappresentava una minaccia sanitaria ed economia globale. Da quella storica visita del pontefice con tappa a Mosul - un tempo roccaforte Isis - e l’incontro con la massima autorità sciita Ali al-Sistani è nata una chiesa a Ur, inaugurata di recente, testimonianza della radice comune delle tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islam.

Nato il 4 luglio del 1948 a Zakho, nel nord dell’Iraq, egli ha compiuto i primi studi a Mosul per poi entrare nel locale seminario di san Giovanni fondato dai domenicani; l’ordinazione sacerdotale risale al primo giugno 1974 a Mosul, dove resta fino al 1979 a servizio della cattedrale. Si trasferisce poi a Roma e a Parigi dove consegue due dottorati in patristica orientale e in storia, per poi tornare in Iraq come rettore del seminario patriarcale dal 1979 al 2002. Richiamato a Mosul, il futuro primate guida la parrocchia di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, fino all’elezione ad arcivescovo di Kirkuk nel 2003.

Dieci anni più tardi viene eletto patriarca caldeo nel Sinodo indetto a Roma da Benedetto XVI, succedendo al predecessore Emmanuel Delly III dimissionario per limiti di età. Da presule prima, quindi da massima autorità della Chiesa irakena, ha più volte denunciato l’esodo dei cristiani e lanciato appelli all’esecutivo centrale e alle amministrazioni locali per garantire loro un futuro nella terra di origine. Papa Francesco lo ha elevato al rango cardinalizio nel Concistoro del 28 giugno 2018 ed è attualmente membro dei dicasteri per le Chiese orientali, per la Cultura e l’educazione e per il Dialogo interreligioso, oltre a far parte del Consiglio per l’economia. 

Nel febbraio scorso, parlando dell’imminente inaugurazione della chiesa a Ur dei caldei, la Ibrahim Al-Khalil Church, il porporato definiva il luogo di culto un “messaggio”, un “segno di apertura” e un “luogo di pellegrinaggio internazionale” per cristiani e musulmani. Come la chiesa del Battesimo sul Giordano e la Casa Abramitica negli Emirati Arabi Uniti (Eau), essa rappresenta un “segno” di cui “abbiamo bisogno oggi” perché “uniscono l’umanità e rappresentano un punto di incontro per tutte le religioni”. L’edificio polivalente - è anche centro sociale e culturale - vuole essere al contempo un incoraggiamento per la comunità cristiana irachena, decimata nell’ultimo ventennio tanto che, se in passato si contavano almeno 1,5 milioni di fedeli, oggi ne sono rimaste poche centinaia di migliaia.

Oltretutto la chiesa a Ur richiama uno dei momenti più significativi vissuti dai cristiani iracheni - e dallo stesso patriarca - nell’ultimo ventennio: la visita di Francesco, primo papa pellegrino nella terra di Abramo e messaggero di pace, di dialogo e di speranza per una comunità che cercava di risollevarsi dalla follia jihadista dello Stato islamico (SI, ex Isis). “Con la sua presenza - raccontava il patriarca caldeo - il Santo Padre ha restituito dignità, e visibilità, a una popolazione cristiana che negli ultimi 20 anni è stata decimata a causa delle guerre, dello sfollamento e dell’emigrazione forzata”. “Venendo fra noi - prosegue - egli ha inviato un messaggio agli iracheni e a tutte le nazioni della regione mediorientale: basta guerre, basta violenza. E ha affermato una volta di più il bisogno di rispettare la dignità umana e la libertà delle persone, unita all’incoraggiamento alla minoranza cristiana esortandola a rimanere nella propria terra. Francesco era per noi un profeta che è venuto a dirci coraggio, non abbiate paura”. 

In questi anni il card. Sako ha sperimentato in prima persona le sfide di una nazione in cui i cristiani sono vittime di interessi esterni e di lotte politiche coperte dal manto della religione, che lo hanno spinto a compiere anche gesti clamorosi. Il caso più evidente si è consumato due anni fa quando il primate caldeo ha deciso di trasferire la sede patriarcale da Baghdad a Erbil, in risposta alla campagna “deliberata e umiliante” del presidente Abdul Latif Rashid di annullare il riconoscimento del decreto patriarcale; un provvedimento che minava il ruolo e l’autorità del porporato stesso, sconfessando una tradizione secolare per colpire la massima autorità cattolica. Dietro la decisione del presidente vi era una “guerra per il potere” lanciata un sedicente leader cristiano il quale, sostenuto da milizie filo-iraniane attive in Iraq, aveva come obiettivo di assumere il controllo di beni e proprietà cristiane.

In una intervista ad AsiaNews il card. Sako aveva definito il ritiro del decreto un “assassinio morale” e il trasferimento della sede patriarcale una “protesta estrema”. “A Baghdad - aveva aggiunto - farò ritorno solo quando verrà ritirato”. La vicenda si è risolta fra aprile e giugno del 2024 quando il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani ha restituito “pieni poteri” e autorità al porporato. “È stato molto bello rientrare - ricorda il cardinale - dopo aver portato avanti questa battaglia, fondata sulla giustizia”. Da questa protesta “ferma e pacifica” [concetti alla base della decisione e che egli ha ribadito più volte e con forza] emerge che la Chiesa “non deve avere paura” e deve essere al tempo stesso “trasparente”.

Un approccio, quello improntato al rigore e alla trasparenza, che gli sono valsi anche il rispetto e, in alcuni casi, una vera amicizia con leader religiosi musulmani, sunniti e sciiti. Un rapporto che si può costruire salvaguardando la presenza e testimoniando la propria fede, senza per questo farsi trascinare dal proselitismo che è l’approccio di alcune sette protestanti. In quest’ottica è stata fondamentale, ancora una volta, la visita di papa Francesco in Iraq che “ha cambiato la mentalità musulmana” osserva il porporato, fornendo anche le chiavi “per una maggiore comprensione della nostra fede”. In un’ottica di dialogo interreligioso, aggiungeva, “l’incontro con al-Sistani penso possa dare una ulteriore spinta. Vi è qualcosa che si muove dentro l’islam e i passi compiuti con il mondo sunnita ad al-Azhar possono essere ripercorsi con l’islam sciita a Najaf. Un dialogo che non sia basato solo sulle parole, ma sull’amicizia e sull’amore. Il papa ha seminato, ora tocca a noi come Chiesa locale e come cristiani irrigare e far crescere questo seme”. 

Un’ultima riflessione, il card. Sako la dedica al ricordo di papa Francesco e al loro ultimo incontro nell’ottobre dello scorso anno, in cui “mi ha detto che l’Iraq è nel suo cuore. Una frase che mi ha colpito molto, perché ha parlato di tutto il Paese, dei cristiani e degli iracheni in generale”. “Le parole di Francesco - conclude il porporato, che si appresta a partecipare al Conclave - sono un richiamo anche per il futuro papa: deve essere per tutti, non solo per cristiani ma anche per quanti non credono. Deve essere un messaggero di pace e di fratellanza. Papa Francesco ha saputo leggere e cogliere meglio di chiunque altro i segni dei tempi”. 

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