02/12/2025, 13.16
PORTA D'ORIENTE
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Al porto di Beirut, l'abbraccio di papa Leone al Libano che vuole verità e giustizia

di Chiara Zappa

La preghiera silenziosa di fronte al monumento con i nomi delle oltre 200 vittime dell'esplosione del 2020. In ginocchio davanti a un bambino con l'immagine del padre morto nella tragedia. Dopo cinque anni ancora ostacoli alle indagini. La storia di Nation Station, una cucina nata in quei giorni per dare da mangiare a chi aveva perso tutto e che prova a essere laboratorio di futuro.

Beirut (AsiaNews) - La preghiera silenziosa davanti al monumento con i nomi delle vittime. E l’incontro personale e toccante con le famiglie che hanno perso i propri cari e continuano a non trovare risposte alla loro domanda di giustizia. A oltre cinque anni dal giorno più tragico della storia recente del Libano, è stata questa mattina la sosta all’area del porto di Beirut dove sono rimaste le macerie e i silos sventrati il momento più toccante dell’ultimo giorno della visita di papa Leone XIV in Libano.

Era il 4 agosto 2020 quando quella che è stata definita come una delle più potenti esplosioni non nucleari della storia uccise oltre 200 persone, ferendone altre 7mila e lasciando senza casa 300mila individui. Fu il nitrato di ammonio confiscato nel 2014 dalla nave abbandonata MV Rhosus, e depositato nel porto senza misure di sicurezza, a seminare morte e distruzione. Ma anche tante colpe e responsabilità che pesanti coperture politiche - prima fra tutte l’ostilità di Hezbollah - hanno finora impedito di definire a livello processuale. Solo nel febbraio di quest’anno, dopo anni di sospensione, le indagini condotte dal giudice Tarek Bitar sono potute ripartite, ma restano le incognite legate a ostacoli e interferenze da parte di leader politici e funzionari statali, che si sono rifiutati di comparire agli interrogatori, denunciando lo stesso giudice.

In questo contesto il papa ha deposto una corona di rose rosse davanti al monumento e si è fermato a pregare in silenzio per le vittime di quella tragedia. Per poi fermarsi a incontrare alcune delle famiglie che portavano le immagini dei loro cari uccisi dall’esplosione. Leone XIV ha benedetto, stretto mani, si è inginocchiato davanti a un bambino che teneva sul petto la foto del papà. “Sono contenta – ha commentato a VaticaNews Antonella Hitti, una di queste familiari esprimendo il sentimento di tutti - la presenza del Papa è una piccola dose di speranza. Noi preghiamo con lui. E preghiamo per la giustizia, la verità e le responsabilità”.

Il porto di Beirut è oggi il simbolo più chiaro delle sofferenze del Libano. Ma anche l’icona di quella resilienza del suo popolo, a cui tante volte in questi giorni Leone XIV ha fatto riferimento. È quanto accade, ad esempio, alla Nation Station, nel quartiere di Achrafieh dove proprio in occasione dell’esplosione la comunità è ripartita intorno a una cucina. “Nei primi giorni di emergenza, con un gruppo di vicini abbiamo avuto la reazione spontanea di fare qualcosa insieme per il quartiere - racconta Josephine Abou Abdo, food designer 35enne che è stata tra i fondatori di questa iniziativa umanitaria trasformatasi col tempo anche in un esperimento culturale -. Così ci siamo ritrovati in questo edificio, che era una stazione di servizio abbandonata, e l’abbiamo trasformato in un luogo di incontro per sostenerci a vicenda. Non avevamo programmato niente, ma presto abbiamo sperimentato un enorme supporto da parte di amici, familiari o persone che semplicemente passavano di qua e decidevano di entrare per dare una mano”. Quello che un tempo era il lavaggio auto è diventata una cucina comunitaria: “fin dall’inizio, abbiamo distribuito dai due ai trecento pasti al giorno”, ricorda Josephine.

Attualmente le distribuzioni sono tre a settimana: le persone vengono e portano a casa le scorte. E siccome la situazione economica dei libanesi si è deteriorata sempre di più, la coda sotto l’insegna dalle tinte vivaci non manca mai. Grazie anche a donazioni, finanziamenti di progetti e crowdfunding, in questi anni i giovani di Nation Station sono stati in prima linea in tutti i momenti di emergenza, a cominciare dal conflitto con Israele che l’anno scorso ha provocato uno sfollamento di massa dalle regioni bersagliate dai bombardamenti. Fin dall’inizio, tuttavia, l’idea era andare oltre la beneficenza: “Il nostro obiettivo – spiega la food designer – resta far crescere il quartiere e renderlo protagonista. Per questo abbiamo cominciato ad assumere residenti per cucinare per i propri vicini, e cerchiamo di fare capire ai beneficiari che questo posto è anche loro. Il nostro movimento è partito dal cibo, ma si tratta di un mezzo per creare un confronto. Una formula che ci piacerebbe replicare anche in altre parti del Libano”.

 

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