26/10/2007, 00.00
IRAQ - TURCHIA
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Alla Turchia non conviene attaccare il Kurdistan

Lo sostiene in un’intervista ad AsiaNews il rappresentante del Kurdistan iracheno in Europa, Saywan Barzani, secondo il quale un intervento su “vasta scala” sarebbe inutile e dannoso prima di tutto per Ankara stessa. Agitando il vessillo della guerra al PKK il governo e l’esercito mirano ad una “campagna di rilancio su un tema unificante in Turchia”: l’annosa questione curda.
Parigi (AsiaNews) – La Turchia non ha interesse ad invadere il Kurdistan, perché avrebbe per conseguenza la distruzione dell'economia e la destabilizzazione dell'intera regione ed inoltre un attacco in forze dell'esercito avrebbe scarse o nulle possibilità di successo, data la configurazione del terreno e la distribuzione dei combattenti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che sono presenti in tutti i Paesi della zona e possono facilmente rifugiarsi in Iran o nella stessa Turchia.E' quanto sostiene in un'intervista ad AsiaNews Saywan Barzani, rappresentante curdo in Europa e nipote del presidente del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani. Egli sostiene che il PKK è un problema interno della Turchia, frutto del contrasto tra esercito laico e governo islamico e nasce dal fatto che Ankara soffoca ogni spazio di vita dei curdi, dei quali in qualche modo nega persino l'esistenza, e conduce una politica che tende a lasciare la regione nel sottosviluppo.
 
Come spiega la recente escalation di tensione tra Turchia e Iraq?
 
L'attuale escalation turca è dovuta in gran parte alle lotte interne che si combattono tra l'esercito turco, molto influente, ed il governo islamico eletto. Ognuno dei due campi, laico ed islamico, tenta di condurre una campagna di rilancio su un tema unificante in Turchia, quello che riguarda la questione curda. L'espandersi della violenza verso i Paesi vicini è uno scacco della politica di Ankara che dal momento della sua nascita fa fronte a rivolte curde, che chiedono un minimo di diritti: culturale, politico ed economico. Non è colpa del governo del Kurdistan iracheno se c'è una estrema povertà nelle zone curde della Turchia, che l'esistenza stessa dei curdi sia negata, che l'esercito e i ribelli curdi si combattano una vera guerra della quale le vittime sono i civili e che le zone curde della Turchia si trovino di fronte ad un sottosviluppo evidente, anche a confronto con il resto del Paese, e che circa 4mila villaggi siano stati evacuati e distrutti e che questa regione orientale della Turchia è divenuta una zona di non-diritto nella quale fiorisce ogni genere di traffici. A cominciare da miliardi di dollari di droga fino al contrabbando di armi ed alcol con il vicino Iran.
 
Quali sono i rapporti tra Ankara e il Kurdistan iracheno?
 
La creazione del governo del Kurdistan iracheno, nel 1992, era un'occasione per la Turchia. All'inizio la violenza è calata almeno dell'80 per cento. Più di 32mila camion lavorano per esportare beni verso il Kurdistan iracheno e tutta la regione sud-orientale della Turchia vive essenzialmente grazie agli scambi ufficiali con la nostra regione. L'anno scorso la Turchia ha fatto esportazioni per più di cinque miliardi di dollari verso la nostra regione, dove lavorano più di 700 compagnie turche.
Siamo d'accordo che il PKK deve smettere la lotta armata, non perché ha ottenuto dei diritti per il popolo curdo, ma perché oggi in Turchia può utilizzare delle vie democratiche per aiutare a realizzare con mezzi pacifici delle riforme strutturali.
 
Crede realistiche le minacce di un intervento militare turco su “vasta scala” in territorio iracheno?
 
L'escalation e le minacce militari di altri tempi non hanno alcun fondamento e non presentano alcun interesse per la Turchia se non per la salvaguardia del sentimento nazionalista dell'inizio del XX secolo che è la dottrina dello Stato e dell'esercito. In primo luogo l'obiettivo ufficiale, ossia di sradicare il PKK, non sarà raggiunto, perché molto semplicemente l'esercito turco negli ultimi anni ha compiuto più di 25 incursioni in Iraq, senza alcun risultato. I combattenti curdi turchi si trovano a più di 130 chilometri dalla frontiera turca, a 3400 metri di altezza. Un carrarmato turco ci metterebbe 15 giorni ad arrivarci ed ai guerriglieri del PKK bastano due ore di macia per rifugiarsi in Iran. E poi, anche se la Turchia uccide qualche migliaio di combattenti, cosa che è impossibile, altri prenderanno il loro posto. Ci sono migliaia di uomini del PKK in Iran, in Turchia, Azerbaijan, Armenia e Georgia. La questione va regolata politicamente e non con le minacce di sterminio, che fino ad oggi non sono servite. Qualsiasi grande incursione militare turca avrà per conseguenza di rovinare le economie turca e irachena e di destabilizzare tutta la regione limitrofa.
 
Come potrebbe contribuire alla soluzione della crisi la comunità internazionale?
 
La sola soluzione è il negoziato e la non interferenza degli uni negli affari interni degli altri. I Paesi vicini dell'Iraq non debbono, ad esempio, attribuirsi il diritto di un intervento sulla questione dei confini geografici del Kurdistan del referendum per Kirkuk. Dal canto loro, gli Stati Uniti, essendo i "protettori" delle frontiere dell'Iraq debbono far intendere chiaramente la loro posizione ai turchi e rifiutare le loro argomentazioni, che non hanno alcun fondamento, debbono imporre la pace e chiedere al PKK ed al governo di Ankara di allontanarsi dal Kurdistan iracheno che esce da 40 anni di guerra e ha subito un genocidio.
L'opinione pubblica ed i governi occidentali sono i soli a poter imporre ai turchi di seguire una politica pacifica e di smettere di minacciare la giovane democrazia in formazione nel Kurdistan iracheno e trovare una sistemazione al suo problema curdo, che dura da 80 anni. (MA)
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