24/09/2025, 10.19
LIBANO - ONU
Invia ad un amico

Aoun all'Onu: preservare il modello libanese per salvare il Medio oriente

di Fady Noun

Intervenendo all’Assemblea generale il presidente ha difeso il valore della “convivenza” di fronte alle crisi “maligne” che lo colpiscono. L’appello per la “cessazione immediata” delle aggressioni di Israele e la tutela dei confini e integrità territoriale. Il tema del disarmo di Hezbollah e il pericolo di una “nuova guerra civile”. 

Beirut (AsiaNews) - È il suo “modello unico di convivenza”, prima ancora del suo clima, della varietà dei suoi paesaggi, della sua cucina o della sua ospitalità, che il presidente Joseph Aoun ha difeso ieri intervenendo dal palco dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il capo dello Stato libanese ha quindi esortato la comunità internazionale a sostenere il Paese dei cedri di fronte alle crisi “maligne” che puntano a “colpire” proprio il suo “modello unico di convivenza”. Questo appello si inserisce, come è ovvio, sulla falsariga di quanto papa san Giovanni Paolo II ha affermato riguardo al Libano in diversi momenti dei 15 anni di guerra civile, fra il 1975 e il 1990. Infatti, il pontefice polacco lo ha più volte presentato come un “Paese-messaggio, un modello di tolleranza e libertà” la cui scomparsa sarebbe “uno dei rimorsi del mondo”.

Denunciando le fratture globali tra un Occidente “ossessionato dall’islamofobia e dalla paura dell’altro” e un Oriente “tormentato dal ricordo coloniale”, il presidente ha presentato il Libano come un modello unico di convivenza religiosa tra musulmani e cristiani. Vi è un “dovere umano” di preservare il Paese, ha proseguito il capo dello Stato. Perché se questo modello di convivenza tra due comunità - diverse sul piano religioso, ma in tutto uguali nella sostanza - crolla, “nessun altro luogo sulla terra potrà riprodurre questa esperienza“. A suo avviso ”molte delle guerre nascoste contro il Libano“ hanno ”obiettivi malevoli” e mirano proprio a “colpire questo modello”.

Cessazione immediata delle aggressioni

Del resto, nel Paese dei cedri non è raro sentire dire che lo Stato pluralista libanese è agli antipodi rispetto allo Stato di Israele, il quale è fondato sull’ebraismo. “Ciò che è necessario per salvarlo [il Libano] è semplicemente una posizione chiara, che sostenga concretamente e sul campo - ha aggiunto Aoun - la liberazione dei suoi territori e l’imposizione della sovranità in via esclusiva dello Stato su di essi, contando solo sulle proprie forze conformi alla legge e senza altri interventi esterni”. Il presidente ha poi ricordato che questi principi sono oggetto di consenso in Libano dal cessate il fuoco del 27 novembre 2024, concluso “col sostegno degli Stati Uniti, della Francia e di questa organizzazione [Onu], come meccanismo di applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza”. “Continuiamo a rispettare i suoi obiettivi e speriamo - ha proseguito - che le parti interessate li rispettino ai nostri confini. Questo è tutto ciò che chiede il Libano”.

Il presidente ha poi presentato le riforme avviate dal proprio governo, tra cui “un audit finanziario trasparente, una ristrutturazione bancaria equa, la modernizzazione dell’amministrazione e la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata”. A questo si aggiunge un “aggiornamento legislativo” che “rafforza l’indipendenza delle autorità di regolazione e del potere giudiziario”, unito alla “conformità del Libano alle norme internazionali contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo”. Joseph Aoun avrebbe potuto, a questo proposito, soffermarsi sui recenti successi ottenuti nella lotta contro la criminalità organizzata e il traffico di droga, in particolare lo smantellamento delle fabbriche di “captagon”, un’anfetamina sintetica. Questi laboratori clandestini proliferavano all’epoca dell'egemonia di Hezbollah, quando il Libano, insieme alla Siria, era diventato un “crocevia” del traffico di droga, in particolare verso l’Arabia Saudita.

Ritiro israeliano dal territorio

“Chiediamo l’immediata cessazione delle aggressioni israeliane, il ritiro dell’occupazione di tutto il nostro territorio e la liberazione dei nostri prigionieri”, ha dichiarato il capo dello Stato libanese, auspicando “la piena e completa applicazione della risoluzione 1701”. Una risoluzione, avverte, che l’esercito israeliano viola ogni giorno e di cui Hezbollah vuole limitare al massimo l’applicazione, fintanto che lo Stato ebraico non la rispetta. Tale risoluzione, lo ricordiamo, prevede in particolare lo smantellamento di tutte le milizie combattenti libanesi e quindi la scomparsa di Hezbollah come forza armata, in riferimento alla risoluzione 1559 delle Nazioni Unite. Essa comporta anche il rispetto dell’integrità territoriale del Libano, mentre Israele mantiene diversi avamposti di osservazione e rimane vago sulle sue intenzioni di lungo periodo.

A questo proposito, in un’intervista concessa nei giorni scorsi a Sky News Arabia Tom Barrack, inviato regionale degli Stati Uniti (e ambasciatore ad Ankara), con l’intento di esercitare pressioni su Beirut ha agitato la minaccia di un’azione militare di Israele contro il Libano. Il diplomatico americano ha sottolineato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu “non si cura né dei confini, né delle linee rosse”. Queste dichiarazioni hanno fatto seguito a un giudizio sommario in cui affermava che tutto ciò che il Libano sta facendo in materia di disarmo di Hezbollah “si riduce a parole, senza azioni concrete”. Il capo del governo e il presidente della Camera si sono ribellati a queste affermazioni, che non tengono conto della delicata situazione di un esercito in fase di rafforzamento che ha ancora bisogno di uomini e attrezzature per svolgere il proprio compito. 

Da parte sua, il presidente Aoun ha discusso l’argomento con il segretario Usa alla Difesa Marco Rubio, a margine della sessione dell’Onu. Gli ha ricordato che, di fronte alla prospettiva di un disarmo immediato e forzato di Hezbollah, il comandante in capo dell’esercito gen. Rodolphe Haykal aveva minacciato lo scorso agosto di dimettersi. Al contempo, egli ha tenuto a sottolineare che tali considerazioni non mettono in discussione la decisione del governo libanese di disarmare Hezbollah, pur dilazionandola nel tempo. Questa situazione ha spinto l’editorialista Michaël Young, del Carnegie Malcolm Kerr Institute di Beirut, a consigliare ai responsabili “di non regalare a Israele una nuova guerra civile libanese, in nome di una presunta ricerca di stabilità” regionale.

Tornando al suo discorso davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il capo dello Stato ha anche evocato il pesante fardello umanitario del Libano, che deve affrontare “il più grande afflusso di rifugiati della sua storia, in proporzione alla sua popolazione”. Al riguardo, il presidente ha chiesto una cooperazione rafforzata con l’Onu e negoziati diretti con la Siria, sotto l’egida dell’Arabia Saudita, per consentire il ritorno dei siriani e ripristinare un “buon vicinato che superi le ambiguità del passato”. Infine, Joseph Aoun ha insistito sulla necessità di ricostruire le zone colpite dall’aggressione israeliana . “Il Libano non chiede alcun privilegio” ha concluso, ma invoca “una responsabilità internazionale giusta ed equa”. 

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Votata la risoluzione Onu, ma Israele ed Hezbollah si combattono ancora
12/08/2006
Annan – Olmert: i passi per attuare la risoluzione 1701
30/08/2006
Israele, no alla tregua Onu
29/07/2006
Lettera aperta al re saudita Salman sul destino del Libano
24/02/2016 12:24
Maria Voce all’Onu: “L’estremismo del dialogo” per sconfiggere la “religione della guerra”
23/04/2015


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”