20/07/2022, 10.02
LIBANO
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Arcivescovo maronita fermato, messaggio di Hezbollah al patriarca Rai

di Fady Noun

Il presule di Haifa e Gerusalemme Moussa el-Hage bloccato al valico mentre rientrava nel Paese. Sequestrati passaporto e cellulare, oltre al denaro affidatogli dalle famiglie dei libanesi fuggiti nel 2000. Provvedimento disposto da un magistrato vicino al movimento filo-iraniano che non ha digerito gli appelli del patriarca maronita per un capo dello Stato "al di sopra dei partiti". Il nunzio: precedente preoccupante.

Beirut (AsiaNews) - Ha destato viva indignazione nella comunità maronita il temporaneo fermo dell’arcivescovo di Haifa e Gerusalemme (Terra Santa), Moussa el-Hage, avvenuto lunedì presso la sede della Sicurezza generale di Nakoura, nel sud del Libano, mentre il presule stava rientrando via terra nel Paese. Sia la tempistica sia la natura senza precedenti del caso danno l'impressione che Hezbollah abbia voluto mandare un messaggio al patriarca maronita Béchara Raï, lasciando all'opinione pubblica il sapore amaro di una strumentalizzazione della giustizia a fini politici. In una dichiarazione alla televisione locale, il nunzio apostolico in Libano, mons. Josef Spiteri, ha definito l’episodio un precedente "pericoloso".

L'arcivescovo maronita, proveniente dalla sua sede episcopale di Haifa, è stato arrestato dalla Sicurezza Generale al valico di frontiera di Ras Naqoura, riservato agli ecclesiastici e al corpo diplomatico. Arrivato alle 11.30 scortato come di consueto da un distaccamento della Forza internazionale di pace delle Nazioni Unite (UNIFIL), il vescovo è stato sottoposto a lunghe ore di interrogatorio sui suoi rapporti con la comunità libanese rifugiatasi in Israele dopo il ritiro dell'esercito israeliano dalla fascia di confine che controllava fino al maggio 2000. Ha potuto continuare il suo viaggio solo grazie all'intervento del patriarca maronita e delle massime autorità giudiziarie del Paese. Tuttavia, è stato convocato per oggi davanti al tribunale militare.

Secondo fonti attendibili, la Sicurezza generale ha confiscato il passaporto e il cellulare del presule, al quale è stato vietato di viaggiare. Dopo un'accurata perquisizione dei suoi effetti personali, gli è stato confiscato anche del denaro affidatogli dai libanesi fuggiti in Israele (circa 485mila dollari) e un quantitativo ingente di medicinali che trasportava anche per i suoi familiari in Libano.

Il veicolo è stato intercettato sulla base di un mandato di arresto emesso dal giudice istruttore militare, Fadi Akiki. Sposato con la nipote di Nabih Berry, presidente della Camera e leader del movimento Amal, Akiki ha controllato a distanza l'interrogatorio da Beirut. Il vescovo ha protestato con forza contro il fermo sostenendo che la sua missione era puramente umanitaria e consisteva nel permettere alle famiglie separate dalla guerra di rimanere in contatto, nella speranza di poter tornare un giorno nel Paese e registrare le nascite dei loro figli (diritto di cui sono privati, ma che è fondamentale per la successione).

Lo sceicco druso Akl Sami Aboul Mouna ha contattato ieri il patriarca Rai per denunciare l'accaduto. In effetti, una parte significativa del denaro confiscato dalla Sicurezza generale era destinata a famiglie druse.

In considerazione della gravità dei fatti e dopo aver ascoltato la testimonianza del vescovo el-Hage, il Patriarca maronita ha deciso ieri di rinviare la sua risposta a questo incidente senza precedenti, in attesa della riunione di oggi del Sinodo maronita ristretto. Per Bkerke l’incidente è un grave allontanamento dalle regole etiche che hanno sempre governato i rapporti tra lo Stato libanese e la Chiesa maronita, e tradisce una preoccupante deriva nel corso della giustizia. Il patriarca maronita avrebbe anche chiesto al vescovo di non rispondere alla convocazione del tribunale militare.

L'incidente ha tutta l’aria di essere un affare eminentemente politico, in un contesto in cui il patriarca maronita sta moltiplicando le sue critiche a Hezbollah, insistendo a invocare un profilo “al di sopra dei partiti” per il prossimo capo di Stato. Una condizione, questa, che esclude dalla corsa presidenziale sia il capo del Marada, Sleiman Frangié, sia il capo del Movimento Patriottico Libero, Gebran Bassil, i due attuali "cavalli" del partito filo-iraniano.

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