03/05/2023, 12.08
LIBANO - SIRIA
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Beirut e la missione impossibile sul rimpatrio dei rifugiati siriani

di Fady Noun

Il peso economico e umano degli sfollati siriani in Libano è diventato insostenibile. Il governo sta facendo ogni sforzo per identificare e rimpatriare circa due milioni di rifugiati. Una questione irrisolta che rischia di mettere in pericolo l’equilibrio demografico del Paese dei cedri. Ma alla prospettiva del rientro si oppongono quanti sono fuggiti da Assad e non credono alle rassicurazioni di oggi. 

Beirut (AsiaNews) - Da settimane i rifugiati siriani in Libano vivono nel timore di essere rimpatriati. “La luna di miele è finita” racconta Mahmoud, preoccupato di dover regolarizzare i propri documenti, fra qualche giorno, negli uffici della Sicurezza generale e che non nasconde il timore di essere espulso in modo arbitrario dal Paese. 

Nel tentativo di controllare la presenza e la circolazione di rifugiati di guerra siriani - oltre due milioni e quasi la metà del totale della popolazione pari a 4,5 milioni di libanesi - il ministero degli Interni ha da poco ordinato un censimento nei circa 4mila centri di accoglienza che li ospitano. Dei “campi” che vanno da poche tende a vere e proprie città in tela, come a Ersal nella Békaa in cui i siriani sono circa 80mila su una popolazione locale di 20mila abitanti. 

Al contempo, approfittando del disgelo diplomatico fra la Siria e il mondo arabo una commissione ministeriale da poco nata è chiamata a intavolare un dialogo ufficiale con il regime siriano. E che avrà come obiettivo quello di finalizzare il rimpatrio di questa enorme popolazione di sfollati il cui peso si sta facendo insostenibile e che la stessa Siria, per una serie di motivi, “non vuole”. 

Questo sforzo per controllare la presenza siriana si accompagna a una campagna politica e mediatica che ne sottolinea il peso economico, demografico e in termini di sicurezza. Oltre al pericolo che rappresentano, in caso di naturalizzazione, per l’equilibrio confessionale fra cristiani e musulmani, ben sapendo che gli sfollati siriani sono al 90% sunniti, e pure in costante aumento, visto il loro tasso di fecondità assai elevato (circa 220mila nuovi nati dal 2011). 

La presa di coscienza, seppur tardiva, delle autorità libanesi si accompagna a livello mediatico ad una campagna di xenofobia, e non si sa quale dei due abbia preceduto l’altra. Quel che è certo è che l’opinione pubblica si sente sempre più frustrata dall’aumento dei reati e dei crimini commessi dai siriani (un terzo della popolazione carceraria è di nazionalità siriana). E persino gli aiuti che ricevono dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e da una nutrita schiera di ong straniere li fanno apparire come “privilegiati” rispetto alla classe povera libanese, frustrata dalla concorrenza illegale che si trovano ad affrontare sul mercato del lavoro. 

Al tempo stesso si avverte un vento di terrore, soprattutto in ambienti cristiani, all’idea che questa marea umana possa comprendere molti uomini che hanno svolto il servizio militare, trasformandosi in una forza armata al soldo di qualsiasi “piano” di sostituzione o annessione. Quando è scoppiata la guerra civile nel 2011 ed è iniziata la repressione della Primavera siriana, il Libano ha aperto le sue porte ai rifugiati provenienti da zone di guerra senza restrizioni, a differenza di Turchia e Giordania. 

La prospettiva di vedere i siriani integrati nella popolazione libanese è alimentata da orientamenti Onu e dall’Unione europea che, per scongiurare ondate migratorie dal Libano, lavorano attivamente anche attraverso aiuti in denaro e sussidi, per migliorare le condizioni di vita degli sfollati. Il tutto però ha innescato una guerra traq poveri in Libano. A prescindere dalle diverse posizioni in materia è ovvio che il rimpatrio di questa massa umana ponga innumerevoli problemi politici e logistici. Dopo aver congelato a lungo i rapporti con il regime siriano, come altre nazioni arabe, il Libano è oggi costretto a rivedere questa posizione. Un passaggio inevitabile, anche se la stessa Damasco è accusata di non volere il ritorno degli sfollati per la carenza di alimenti e prodotti essenziali, per le sanzioni e il Caesar Act statunitense che priva il Paese dei fondi necessari per la ricostruzione post-bellica. 

In ogni caso, gli stessi rifugiati siriani resistono all’idea di tornare in Siria, ossessionati dall’idea di poter essere arrestati o costretti al servizio militare da un regime che considerano autoritario. Denunciano la pratica delle “sparizioni forzate”: “Ancora oggi oltre 110mila persone risultano scomparse in Siria, la maggior parte delle quali per mano del regime di Assad” assicura assicura Jean-Pierre Filiu, professore all’università Sciences-Po, in Francia. In ogni caso, la situazione generale è in fase di evoluzione e il Libano vive una in una situazione di incertezza circa gli sviluppi finali.  

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