07/05/2007, 00.00
TURCHIA
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Bocciato dal Parlamento, Gul mira alle elezioni dirette per divenire capo dello Stato

di Mavi Zambak
L’Akp appare rinforzato dal buon andamento dell’economia e sicuro di sé tenterà di riproporre nuovamente il suo unico candidato. I partiti di opposizione tendono a fondersi per superare lo sbarramento del 10%.

Ankara (AsiaNews) – Battuto per la seconda volta nel voto parlamentare per la elezione del presidente della Repubblica, Abdullah Gul, attuale ministro degli Esteri, non ha potuto fare altro se non rinunciare a questo tipo di elezione, ma non alla presunzione di poter essere capo dello Stato, se passerà il progetto di riforma costituzionale che permetterà l’elezione diretta. “Inutile una nuova votazione in Parlamento, ritiro la mia candidatura. – ha affermato Gul in una conferenza stampa ieri - Ormai la decisione tocca al popolo. Il candidato sarò sempre ancora io, ma ora mi affido alla volontà della gente”. E’ con questo spirito di sfida e di fiducia nella forza del suo partito e della sua figura, nonostante il braccio di ferro con i suoi avversari politici, che si riproporrà ora il 22 luglio se, come sembra, si voterà sia per le elezioni amministrative che per quelle presidenziali.

La nazione turca è chiamata, dunque, alle elezioni anticipate per stemperare la tensione e trovare una via d’uscita a questo empasse. Ma per ora non vengono proposti altri nomi di candidati, magari più imparziali e che possano accontentare anche i laici e i militari.

Paradossalmente, nonostante la crisi politica e sociale di questo ultimo periodo, l’Akp sembra sempre più rafforzato e sicuro di sé e così tenterà di riproporre nuovamente il suo unico candidato.

Anche per quanto riguarda le elezioni amministrative il premier Erdogan sa di fatto di poter contare non solo sui ceti popolari delle grandi città e della periferia anatolica, ma anche sulla nuova classe dei piccoli imprenditori e artigiani che dall’inizio di questo governo hanno visto rafforzata la propria economia e i propri interessi. Di fatto non si può negare che lo sviluppo economico del Paese ha subito una notevole impennata sotto il governo dello scaltro primo ministro filo islamico ed europeista.

Il premier inoltre, ben sa che, se rimane il 10% di sbarramento, i risultati elettorali saranno simili a quelli del 2002 e quindi nello scenario politico turco poco cambierebbe e il suo partito ne uscirebbe ancora avvantaggiato.

Proprio per questo gli avversari politici si stanno muovendo per creare nuove alleanze e nuove contrapposizioni.

L’Anap (il Partito della Madre Patria) e il Dyp (il Partito della Giusta Via), i due partiti di centro destra che attualmente contano solo su 24 deputati, sabato 5 maggio hanno deciso di fondersi e costituire una nuova formazione che si chiamerà Partito Democratico. I sondaggi danno questo partito sul 12,5% e così potrebbe superare più facilmente lo sbarramento della legge elettorale proporzionale con soglia minima. Anche a sinistra si cercano alleanze. Il Chp, partito social democratico che è ricorso alla Corte Costituzionale per invalidare il voto presidenziale di Gul, si è unito con il Dsp, partito laico fondato dal carismatico Bulent Ecevit, da poco scomparso e rimpianto da una folla oceanica di persone.

In questo modo la speranza è di poter avere almeno quattro differenti partiti in parlamento contro i due che vinsero nel novembre 2002, con schiacciante maggioranza del partito islamico AKP che ottenne quasi il 70% dei seggi.

Sempre ieri, intanto è stata organizzata la terza grande manifestazione pacifica da parte dei kemalisti, in difesa della laicità del Paese contro il partito filoislamico di Erdogan. La marcia, sostenuta dalla borghesia kemalista di Istanbul e sostenuta dall’esercito che proclama il nazionalismo militarista, è avvenuta a Manisa - città natale dell’attuale presidente del parlamento Bulent Arinc, l’esponente più radicale del partito AKP - si è svolta in clima gioioso e senza scontri, sotto la stretta sorveglianza della polizia. Gli slogan più urlati, ancora una volta: “La Turchia è laica e resterà laica” e “No alla sharia al palazzo presidenziale”.

Inutile negarlo, un presidente con la moglie che porta il velo fa ancora paura sia ai militari che al grosso della classe dirigente kemalista. Soprattutto ben sapendo che il presidente della Repubblica è anche il capo dell’esercito.

Tutti dunque con il fiato in sospeso in questa estate che già si prospetta torrida.

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