24/03/2022, 12.23
LANTERNE ROSSE
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Boom di armi cinesi al Pakistan: l’India nel mirino

di Li Qiang

Consegnati jet da combattimento e una fregata, in attesa del possibile arrivo di 8 sottomarini. In 10 anni la Cina ha venduto ai pakistani armamenti per quasi 6 miliardi di dollari. Pechino sfrutta la guerra in Ucraina, e la distrazione Usa, per avanzare in Asia meridionale. Rimangono le tensioni di confine con Delhi.

Pechino (AsiaNews) – Con il comune rivale indiano nel mirino, la Cina ha accresciuto la vendita di armi al Pakistan. I rapporti tra i due Paesi continuano ad allargarsi, andando oltre la cooperazione economica per lo sviluppo della Belt and Road Initiative, il megaprogetto infrastrutturale di Xi Jinping per ampliare l’influenza globale della Cina.

In un incontro il 22 marzo con il premier pakistano Imran Khan, il ministro cinese degli Esteri Wang Yi ha dichiarato che in base alle proprie possibilità Pechino “è pronta ad aiutare il Pakistan a superare le difficoltà e a recuperare sul piano economico”. Da parte sua, secondo il comunicato cinese, il leader di Islamabad ha espresso l’auspicio di arrivare a conquiste comuni e cooperare “in tutti gli ambiti”.

La Cina è il primo fornitore di armi al Pakistan. Lo Stockholm International Peace Research Institute ha calcolato che tra il 2012 e il 2021 Pechino ha venduto ai pakistani armamenti per quasi sei miliardi di dollari, con un picco lo scorso anno di 753 milioni.

Questo mese i cinesi hanno consegnato ai pakistani sei jet da combattimento J-10CE, che l’aeronautica di Pechino usa spesso per le sue incursioni nei pressi di Taiwan. Islamabad ha aggiunto al proprio arsenale 50 caccia JF-17, sviluppati insieme alla Cina. A gennaio la Marina pakistana è entrata in possesso di una fregata di costruzione cinese. Media internazionali hanno rivelato che il Pakistan vuole acquistare dalla Cina anche otto sottomarini, quattro dei quali verrebbero costruiti nei propri cantieri navali.

Secondo diversi osservatori, la Cina sfrutta la distrazione degli Usa sull’Ucraina per rafforzare la sua posizione in Asia meridionale. Il Pakistan è da sempre il fulcro di questi tentativi in chiave anti-indiana: dalla partizione del 1947, finita l’epoca coloniale britannica, Islamabad e Delhi hanno combattuto diverse guerre, soprattutto per la sovranità sul Kashmir.

Cina e India condividono un confine di 3.488 km nell’Himalaya, per il quale hanno combattuto un breve ma sanguinoso conflitto nel 1962. Delhi rivendica ampi settori dell’Aksai Chin (che i cinesi hanno ottenuto dal Pakistan); Pechino avanza pretese sullo Stato indiano dell’Arunachal Pradesh.

Dal 1975 anni le due Forze armate si sono fronteggiate diverse volte, spesso senza registrare vittime. Il 15 giugno 2020 truppe indiane e cinesi si sono affrontate però nella valle di Galwan, tra il Ladakh indiano e l’Aksai Chin cinese: 20 soldati indiani sono morti; fonti non confermate all’inizio parlavano di 45 vittime fra i cinesi.

Dopo quello scontro, comandanti militari delle due parti hanno tenuto 15 incontri per abbassare la tensione. I progressi raggiunti sono stati minimi, con il ritiro congiunto di truppe da tre punti di “attrito” lungo il confine conteso: accordi che non hanno impedito lo scoppio di ulteriori schermaglie.

Lo stallo nei negoziati ha portato a una crescente militarizzazione del confine sino-indiano. Ai due lati della frontiera sono schierate migliaia di truppe pesantemente armate. I contendenti sono anche impegnati a estendere le proprie infrastrutture frontaliere per favorire eventuali operazioni belliche.

È da osservare che larga parte dell’armamentario indiano è di produzione russa, una condizione che nel medio-lungo periodo può mettere  a dura prova “l’amicizia senza limiti” che Cina e Russia hanno forgiato contro gli Usa e i suoi alleati. A ciò si aggiunge l’acquisto fatto in gennaio dalle Filippine di tre batterie di missili da crociera supersonici Brahmos, sviluppati dall’India in collaborazione con la Russia. Tra i possibili acquirenti dei vettori russo-indiani vi sono anche Vietnam e Indonesia: Manila, Hanoi e in parte Jakarta contestano le pretese territoriali di Pechino su quasi tutto il Mar Cinese meridionale.

 

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