16/04/2010, 00.00
THAILANDIA
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Cattolici, buddisti e musulmani thai invitano al dialogo e alla pace

di Weena Kowitwanij
La Commissione nazionale per i diritti umani ha riunito l'arcivescovo di Bangkok, il rettore di un’università buddista e un esperto di legge islamica. I leader religiosi auspicano “un terzo incontro” fra governo e opposizione e chiedono un “Comitato speciale” di indagine sulle violenze del 10 aprile a Bangkok.
Bangkok (AsiaNews) – Il governo di Bangkok e le “camicie rosse”devono mantenere un atteggiamento consapevole e rispettoso, non cercare di prevalere l’uno sull’altro, pensare agli interessi nazionali e mettere fine alle violenze che feriscono il Paese. È quanto chiedono tre leader religiosi – cattolico, buddista e musulmano – in un incontro promosso dalla Commissione nazionale thai per i diritti umani (Nhrc).
 
Umara Phongsapitch, presidente Nhrc, ha voluto riunire tre personalità in rappresentanza delle principali fedi religiose della Thailandia, per discutere della crisi politica attraversata dal Paese e le possibili iniziative per una soluzione pacifica. Al vertice, tenuto ieri presso il dipartimento governativo di Nonthaburi, hanno partecipato mons. Francis Xavier Kirengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok, Phradhamakosajarn, leader buddista, e Imron Maluleem, esperto di islam.
 
I tre leader religiosi lanciano uniti un appello per “un terzo vertice fra governo e Udd”, il principale partito di opposizione, e la creazione di “un Comitato speciale di indagine” per analizzare i filmati relativi alle violenze del 10 aprile e la morte del cameraman giapponese. Un servizio ulteriore, spiegano, per “scoprire la verità” e accertare eventuale responsabilità delle parti in causa.
 
Mons. Francis Xavier Kirengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok e vice-presidente della Conferenza episcopale, sottolinea che il Paese può e deve “essere unito” nella diversità delle anime che lo costituiscono. “Dobbiamo spalancare i nostri cuori – afferma il prelato – e i manifestanti devono rispettare i diritti degli altri, visto che sono animati da nobili propositi, senza usare la violenza”. Egli invita le parti a “tornare al dialogo” perché i thailandesi e i cattolici in particolare sono sempre “animati dalla speranza”. L’arcivescovo di Bangkok esorta le parti a “mettere fine a violenze che feriscono il Paese” e confrontarsi all’insegna della “franchezza”, alla ricerca di un “compromesso”. “Vi è ancora speranza – aggiunge – per la società thai” perché “non siamo nemici, ma fratelli e sorelle”.
 
Phradhamakosajarn, rettore dell’università buddista Mahachulalongkornrajavidyalaya, non nasconde le sue preoccupazioni per l’attuale situazione politica e richiama i cittadini “a comportarsi in modo consono, senza puntare allo scontro frontale”. “La crisi sociale in Thailandia – sottolinea – va risolta secondo la Supremazia del Dharma, all’insegna della compassione e non della vendetta reciproca”. Il leader buddista aggiunge che è necessario adottare le virtù religiose della pazienza e del perdono. “Invito il popolo thai – conclude – a mettere fine all’anarchia, perché i sacri valori del diritto e della legalità vanno usati in modo appropriato”.
 
Imron Maluleem, musulmano e presidente di Sheikul Islam, invita a “non gettare benzina su fuoco” ma a “spargere acqua” per smorzare i toni delle polemiche. Egli spiega che è giunto il momento di trovare una “soluzione soddisfacente” per uscire dalla crisi. Priorità alla “giustizia”, ribadisce, perché “senza giustizia non esiste armonia”. Il leader islamico precisa che è tempo di “dar vita a una nuova cultura della politica… invece di aizzare la folla, si possono tenere proteste pacifiche nel rispetto della Costituzione”.
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