29/07/2025, 11.41
PAKISTAN
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Cristiani relegati a pulire le fogne in Pakistan: anche Amnesty International denuncia

di Lisa Bongiovanni

Diffuso oggi un rapporto dettagliato sull'annoso fenomeno: mestiere "impuro" da riservare ai non musulmani. Nonostante siano solo il 2% della popolazione i netturbini sono per l'80% cristiani, gli altri sono indù. Almeno 84 sono morti negli ultimi cinque anni per l'arretratezza delle infrastrutture e delle tecniche utilizzate: la loro vita non vale la spesa per l'ammodernamento. Amnesty: "Il Pakistan riconosca la discriminazione di casta come una forma di razzismo".

Milano (AsiaNews/Agenzie) - Shafiq ha 44 anni e vive in Pakistan. Ogni giorno, per non perdere il lavoro, si cala nella profondità delle fogne cittadine sfidando i gas tossici, i rifiuti industriali e gli escrementi; liberando manualmente gli scarichi ostruiti. “Quando scendi nella fognatura devi mettere da parte un po’ di amor proprio - racconta all’agenzia Afp -. La gente va in bagno, tira lo sciacquone e tutta la sporcizia ci viene scaricata addosso”. Shafiq è un netturbino e si occupa della rete fognaria, come una buona parte dei cristiani in Pakistan. Diversamente dai colleghi nel resto del mondo, nel Paese dove lavora lui, a questo mestiere non viene associata alcun tipo di tutela o dignità, costringendoli a condizioni inutilmente rischiose o umilianti. È quanto Amnesty International ricorda in un nuovo report per denunciare la loro situazione: l’obiettivo è quello di garantire anche a questo mestiere gli standard minimi di dignità e sicurezza.

Ci sono diversi motivi per cui Shafiq è costretto a fare questo lavoro e per cui questo mestiere è ancora così arretrato. La principale è la perdurante discriminazione ad opera della maggioranza musulmana contro le minoranze cristiane e indù. Infatti, riporta Amnesty, l’80% dei netturbini è cristiano - nonostante rappresentino meno del 2% della popolazione pakistana - mentre il restante 20% è indù. Per la maggioranza musulmana pulire le fogne è un compito “impuro” da riservare agli ultimi. Nonostante il sistema delle caste non esista ufficialmente più, la discriminazione istituzionalizzata resta dilagante: su molti annunci di lavoro per la pulizia delle fogne compare ancora la dicitura solo non musulmani”. Il Centre for Law and Justice (una ong locale) ha raccolto quasi 300 annunci di questo tipo nell'ultimo decennio. Un uomo di Bahawalpur, una grande città del Paese, ha raccontato ad Amnesty di aver sostenuto un colloquio da elettricista, ma quando hanno scoperto che era cristiano, gli hanno offerto solo un posto da netturbino. Ha accettato perché deve mantenere la famiglia. Lo stigma è confermato nel linguaggio: chuhra”, che tradizionalmente indicava chi lavorava nella nettezza urbana, è ora sinonimo di cristiano. Altri termini, come bhangi” (nome storico di una casta dalit), jamadar” (parola in urdu – la lingua pakistana scritta con un alfabeto simile a quello arabo - che si può tradurre come bidello, ma nella percezione sociale pakistana assume caratteristiche dispregiative che richiamano allo sporco), issai” (dispregiativo per cristiani) o addirittura "kutta" (cane) rafforzano la marginalizzazione di questi lavoratori.

La discriminazione si riflette anche nelle condizioni sprezzanti in cui i netturbini cristiani e indù sono costretti a lavorare. Anche il quotidiano pakistano The Dawn, ha raccolto diverse testimonianze tra gli addetti alla rete fognaria. Tra questi, Adil Masih, 22 anni, che negli ultimi due anni si è immerso nelle fogne di Karachi almeno cento volte. Il suo obiettivo è quello di far bene il suo lavoro, sperando di passare da kachha (non formalmente impiegato) a pucca (regolare a tempo indeterminato) presso l’azienda statale per cui lavora. Ora ha uno stipendio di 25mila rupie (circa 82 euro ndr) al mese, che diventeranno 32mila (circa 105 euro ndr) - il salario minimo legalmente stabilito - quando diventerà regolare. “Bisogna stare attenti quando si scende. Non per l'esercito di scarafaggi e la puzza che ti accoglie quando apri il tombino o i topi che nuotano nell'acqua sporca - specifica Adil -, ma bisogna fare attenzione alle lame e alle siringhe che galleggiano o stanno in profondità”. Ovviamente, scendere nelle fogne è l’ultima spiaggia. Quando le fogne si intasano, si cerca prima di sturarle con un lungo manico di bambù; se non funziona si prova con le mani. Gli addetti lavorano in squadra: uno si cala con un'imbragatura legata a una corda, se qualcosa non va o ha finito, tira la corda e quelli dal lato opposto della fune lo ritirano su.

Secondo l’organizzazione Sweepers Are Superheroes, almeno 84 netturbini sono morti negli ultimi cinque anni in Pakistan. Ma il problema non è isolato nei soli confini del Paese: in India, muore un netturbino ogni cinque giorni secondo un rapporto del 2018 della Commissione Nazionale per i Safai Karamcharis (commissione apposita per monitorare le condizioni di questi lavoratori).

Tra i motivi per cui sturare le fogne in Pakistan è così pericoloso c’è, innanzitutto, l’arretratezza del sistema che ancora non fa affidamento su macchinari. Questo ritardo potrebbe legarsi a convinzioni sociali retrograde che - oltre a mantenere queste mansioni appannaggio degli ultimi - scoraggiano l'ammodernamento delle infrastrutture fognarie e delle tecniche utilizzate. Secondo alcuni, infatti, è giusto riservare alle caste più basse questo trattamento. Il 76% degli intervistati - riporta Amnesty - teme un licenziamento improvviso, e il 70% dichiara di non potersi permettere di rifiutare nemmeno i compiti più pericolosi.

Il trattamento profondamente ingiusto riservato agli operatori ecologici in Pakistan costituisce una violazione dei diritti umani,” afferma Isabelle Lassée, vicedirettrice regionale per lAsia meridionale di Amnesty International. Molti membri delle minoranze sono costretti a fare questo lavoro a causa di pregiudizi radicati che non lasciano loro alcuna alternativa. Il problema è che il sistema legale del Paese non riconosce ancora la discriminazione di casta come una forma di razzismo.” A oggi, infatti, il Pakistan non dispone di una legge antidiscriminatoria in linea con le convenzioni internazionali che ha sottoscritto. Amnesty chiede quindi al governo di approvare una normativa specifica contro la discriminazione basata sulla casta, per garantire a questi lavoratori almeno il rispetto degli standard minimi di dignità, sicurezza e giustizia sociale.

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