20/02/2007, 00.00
SIRIA
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Damasco verso le elezioni, tra arresti di oppositori e maggior controllo sui media

Tra marzo e novembre il voto per le politiche e le amministrative, ma soprattutto un annunciato referendum a favore di Assad, spingono il regime ad accrescere la stretta sulla società civile. Organizzazioni per i diritti umani denunciano incarceramenti e processi.

Damasco (AsiaNews) – Arresti di esponenti dei gruppi per la difesa dei diritti umani, convocazioni della polizia di persone politicamente “sospette”, ulteriori limitazioni ad internet, divieti di riunirsi e viaggiare. La Siria si prepara ad un triplo appuntamento elettorale: uno a fine marzo, per le politiche; uno in autunno per le amministrative ed il terzo, non si sa quando, per un referendum, “occasione nazionale e politica per esprimere appoggio alla politica” del presidente Bachar al-Assad.

Appuntamenti teoricamente importanti, soprattutto l’ultimo, che vede scendere in piazza l’uomo che dall’11 luglio del 2000 controlla il Paese, essendo succeduto al padre, Hafez, presidente della Siria dal 1970 alla morte. La successiva ascesa del giovane Bachar era stata accolta con esitanti speranze di possibili aperture in un Paese governato dallo stesso partito, il Baas, dal 1963. Il Baas, di ispirazione laica e vagamente socialista, ed i suoi alleati sono peraltro gli unici ad essere nella piena legalità. Le ripetute richieste di una legge che legalizzasse altri partiti, ed in particolare i sei riuniti nell’Unione nazionale democratica, sono cadute nel nulla. Continuano ad essere “tollerati”.

Arrivato al potere – unico candidato - con un plebiscito che gli aveva accreditato il 97,3% dei voti, Bachar al-Assad ha cercato di proseguire nella politica di cinico equilibrismo portata avanti dal padre, unita a qualche gesto di apertura, che suscitò le speranze delle opposizioni. A porre fine ai sogni, la crisi nella quale il regime è stato messo dalla situazione economica e soprattutto dalle conseguenze dell’accusa di essere politicamente coinvolto nell’attentato che il 14 febbraio 2005 è costato la vita all’ex premier libanese Rafic Hariri ed ad altre 22 persone. L’essere stato costretto dalla reazione internazionale a ritirare dal Libano le truppe siriane che vi stazionavano da 29 anni – dando vita ad un protettorato di fatto dai significativi risvolti anche economici – ha fatto ipotizzare una sua caduta, resa più possibile dal lavoro della commissione di inchiesta dell’Onu sull’assassinio Hariri, arrivata, con le indagini, ad esponenti di massimo livello della sicurezza ed allo stesso entourage familiare del presidente.

A marzo dell’anno scorso nasceva in Belgio il "Fronte di salvezza nazionale", su iniziativa dell'ex vice presidente siriano Abdul Halim Khaddam e del dirigente dei Fratelli musulmani, Bayanouni, con l'obiettivo di rovesciare pacificamente il regime del presidente Assad.

In questo quadro, sia le elezioni politiche - che saranno prevedibilmente boicottate dall’opposizione e quindi vedranno l’ennesima vittoria del Baas e dei suoi alleati – che l’annunciato referendum appaiono come una reazione sul fronte interno.

Su tale fronte, all’indomani della vicenda libanese, nel giugno 2005, il partito Baas aveva ipotizzato possibili riforme sulla legalizzazione dei partiti e la libertà di stampa. La pressione internazionale seguente, dipinta come “minaccia americana”, ha provocato, invece, il rilancio dello stato d’emergenza, in vigore dal 1963.

Con il pretesto della sicurezza, ci sono stati arresti di attivisti politici. Sono ancora in carcere tre dei dieci firmatari della “Dichiarazione di Damasco-Beirut” un documento che nel maggio 2006 chiedeva un cambiamento dei rapporti con il Libano e la pacifica fine del regime. Per aver appoggiato lo stesso documento, a giugno, sono stati rimossi dai loro posti 17 alti funzionari statali. L’Organizzazione per la difesa dei diritti dell’uomo in Siria (Adhs) ha fatto sapere che è stato ancora rinviato, al 5 marzo, il processo contro lo scrittore Michel Kilo, in prigione dal maggio 2006 per aver pubblicato un articolo sullo stesso argomento. E’ accusato di “indebolire il sentimento nazionale”.

Secondo alcune fonti, non controllabili, in Siria ci sarebbero 20mila prigionieri politici. Una protesta contro gli “arresti arbitrari" e la richiesta di liberare i prigionieri politici avanzate nel maggio scorso dall'Austria, nella sua qualità di presidente dell'Unione Europea, provocò una polemica risposta di Damasco. E nei giorni scorsi, intervistato da ABC, ad una domanda sui prigionieri politici, Assad ha risposto che “questo tipo di prigionieri non esiste. In Siria abbiamo due tipi di carcerati: coloro che sono implicati in attentati terroristici e quelli che hanno violato la legge”. (PD)

 

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