06/05/2025, 11.56
BANGLADESH
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Dhaka, estremisti islamici contro le riforme per la parità di genere: ‘Donne prostituite’

di Sumon Corraya

La Commissione del governo ad interim di Yunus sta elaborando leggi per promuovere “pari opportunità” in materia di successione, lavoro, famiglia. Per i fondamentalisti sono proposte che feriscono “i sentimenti religiosi”. La lotta pro-diritti di partiti e società civile. Sullo sfondo il ritorno in patria dell’ex premier Khaleda Zia.

Dhaka (AsiaNews) - Un dibattito sulla riforma della legge sulle “pari opportunità”, allo studio della Commissione per gli Affari femminili formata dal governo ad interim per promuovere l’uguaglianza di genere, ha innescato uno scontro durissimo che registra la ferma opposizione dei gruppi radicali islamici. Le proposte della commissione, volte a garantire la parità in materia di eredità, diritti del lavoro oltre a un diritto della famiglia uniforme, hanno suscitato una feroce reazione delle fazioni fondamentaliste che rivendicano una posizione improntata all’estremismo religioso. Una feroce battaglia interna, mentre proprio in queste ore ha fatto ritorno in Bangladesh l’ex premier Khaleda Zia dopo mesi di cure all’estero. 

La tensione si è acuita questa settimana, quando tre donne del Partito nazionale comunista (Ncp) e tre importanti personalità del mondo della cultura hanno presentato una diffida legale contro Hefazat-e-Islam Bangladesh, organizzazione islamista radicale. Nella mozione si attaccano i fondamentalisti per aver pubblicamente etichettato come “prostitute” le donne che sostengono le riforme durante una manifestazione del 3 maggio scorso. La nota, sottoscritta da Syeda Neelima Dola, DuteeAranya Chowdhury, Neela Afroz e dalle attiviste culturali UmmeRaihana, Umme Farhana e Camelia Sharmin Chura, condanna l’insulto come “incostituzionale e oppressivo” e una retorica misogina “non ha posto in un nuovo Bangladesh”.

La mossa arriva dopo che i leader di Hefazat, in un raduno di massa al Suhrawardy Udyan di Dhaka, hanno chiesto l’abolizione della Commissione per gli Affari femminili e hanno invocato azioni punitive contro i suoi membri, accusandoli di “ferire i sentimenti religiosi”. Il segretario generale Mamunul Haque ha quindi aggiunto che le raccomandazioni dei suoi membri sono “blasfeme” e ha promesso proteste a livello nazionale se il governo non eliminerà l’organismo.

Istituita nel novembre 2024 sotto la presidenza di Shirin Parveen Haque, la Commissione composta da 10 membri ha presentato un rapporto di 318 pagine al premier ad interim Muhammad Yunus il 19 aprile scorso. Al suo interno si delineano 423 raccomandazioni volte a smantellare le disparità sistemiche di genere, strutturate in tre fasi: riforme a breve termine realizzabili durante il mandato del governo ad interim; politiche a medio termine da attuare entro cinque anni sotto un governo eletto; una tabella di marcia a lungo termine per realizzare i “sogni del movimento delle donne”, tra cui emancipazione economica, i diritti di proprietà, equa rappresentanza pubblica e tutele per i gruppi emarginati. Fra questi ultimi vi sono anche le lavoratrici del sesso, in un quadro di fragile equilibrio e forti compromessi fra religiosi e laici. 

L'Hefazat-e-Islam, insieme ai movimenti religiosi radicali alleati, ha respinto in toto le riforme, bollandole come “anti-islamiche” e mobilitando i sostenitori per una marcia di protesta in programma il 23 maggio prossimo. Un’istanza di contestazione delle raccomandazioni è stata presentata anche all’Alta Corte. I critici sostengono che nella commissione mancano studiosi di religione e voci maschili, anche se omissioni simili in altri organismi di riforma, come il Comitato per la riforma della Costituzione, non hanno sollevato polemiche così feroci.

Inoltre, vi è una certa ironia nella battaglia dei fondamentalisti contro le donne che, va ricordato, hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella guerra di liberazione del Bangladesh del 1971 e nella rivolta di massa del 2024 contro l’autoritarismo: in quest’ultima occasione era possibile veder marciare fianco a fianco donne in jeans con altre che indossavano l’hijab, il velo islamico, ma entrambe unite per un vero cambiamento democratico. Oggi, quelle stesse donne sono attaccate per la loro battaglia finalizzata ad una parità giuridica e dei diritti con gli uomini. “Quando le figlie di questa terra chiedono l’uguaglianza, perché i loro vestiti o i loro slogan sono improvvisamente problematici” si chiede la scrittrice Umme Raihana interpellata dal Daily Star.

Tutti gli occhi sono ora puntati su Yunus, il consigliere capo ad interim peraltro famoso - e insignito del premio Nobel - per aver dato potere alle donne attraverso la micro-finanza. Mentre il Bangladesh naviga in questo dibattito polarizzante, la posta in gioco va oltre le riforme legali. Lo scontro simboleggia una lotta più ampia tra visioni progressiste della giustizia di genere e norme patriarcali radicate. Una donna cristiana, dietro anonimato, ha dichiarato ad AsiaNews che gli islamisti “non vogliono lo sviluppo delle donne e per questo sono contrari alla proposta della Commissione per la riforma degli affari femminili”.

In queste ore, infine, si registra il ritorno in Bangladesh dopo quattro mesi di assenza per cure mediche a Londra dell’ex premier Khaleda Zia; figura di primo piano della politica nazionale, la quasi 80enne leader del Partito nazionalista del Bangladesh è nemica numero uno dell’ex premier Sheikh Hasina, oggi in esilio in India dalle proteste di massa guidate dagli studenti dell’agosto scorso che l’hanno estromessa dal governo. Ad accoglierla all’aeroporto il segretario generale Bnp Mirza Fakhrul Islam Alamgir con altre figure di primo piano del partito, il quale ha espresso la speranza che possa “facilitare il ripristino e l’avanzamento della democrazia nel Paese”. Il suo rientro costituisce un’ulteriore arma di pressione verso l’attuale esecutivo pro-tempore e il premier ad interim Yunus perché si svolgano le tanto attese elezioni nazionali, al momento previste per dicembre o giugno del prossimo anno. In realtà la data resta tuttora incerta ed è legata alle molte riforme in atto, alcune delle quali controverse come quella sulla donna e il genere allo studio.

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