05/08/2025, 10.30
BANGLADESH
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Dhaka: le promesse inattese a un anno dalla fine del governo Hasina

di Sumon Corraya

Il 5 agosto 2024 fa segnò la fine di 15 anni di potere autoritario della Lega Awami. Ma a un anno da quella che oggi viene chiamata la “Giornata della Liberazione”, le promesse di giustizia e inclusione restano in gran parte disattese. Stasera il capo di governo Muhammad Yunus leggerà la Dichiarazione di luglio davanti al Parlamento.

 

Dhaka (AsiaNews) – A un anno esatto dalla caduta del governo autoritario guidato da Sheikh Hasina, il Bangladesh celebra oggi il primo anniversario di quella che molti cittadini hanno ribattezzato la “Giornata della Liberazione”. Il 5 agosto 2024, dopo settimane di proteste guidate dagli studenti e represse nel sangue migliaia di persone scesero in piazza nella capitale, Dhaka, e nel resto del Paese, sventolando bandiere e cantando slogan di libertà, mentre la premier fuggiva in elicottero verso l’India.

Le manifestazioni nacquero come una protesta contro le quote nei concorsi pubblici, ma presto si trasformarono in un vasto movimento di opposizione al regime dell’Awami League, accusato di repressioni, arresti arbitrari e violazioni dei diritti umani. L’episodio che fece esplodere la rabbia popolare fu l’uccisione dello studente Abu Sayeed a Rangpur, seguita da quella del giovane Wasim, leader di Chhatra Dal (l'ala studentesca del Partito Nazionalista del Bangladesh),  a Chittagong. I video delle violenze provocarono un’ondata di indignazione collettiva.

Il 3 agosto il movimento respinse il dialogo con la premier. Lo stesso giorno, l’esercito prese le distanze dalla repressione dichiarando la propria fedeltà al popolo. Il giorno successivo, l’escalation di violenze portò all’assalto delle barricate a Dhaka e, poche ore dopo, alla conferma ufficiale della fine del governo Hasina.

Secondo un rapporto dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani, oltre 1.400 persone morirono nei giorni precedenti e successivi alla caduta del regime. I feriti furono più di 13mila. Le accuse contro l’ex premier e i suoi collaboratori – ora oggetto di procedimenti giudiziari – comprendono uccisioni extragiudiziali, torture, arresti illegittimi e uso indiscriminato della forza.

Il nuovo governo provvisorio, presieduto da Muhammad Yunus, ha promesso una transizione democratica. Oggi, nel tardo pomeriggio, il premio Nobel per la Pace leggerà davanti al Parlamento la Dichiarazione di luglio, in presenza di rappresentanti politici, familiari delle vittime e feriti delle proteste. In serata è atteso un discorso alla nazione per delineare il percorso verso nuove elezioni.

Ma le sfide restano enormi. A un anno dalla fine dell’era Hasina, molte speranze di rinnovamento sono rimaste disattese.

La crescita del PIL ha subito un rallentamento, con una previsione del 3,9% per il 2025. L'inflazione rimane elevata, attestandosi intorno al 9% a maggio 2025, e il debito estero del Paese è raddoppiato negli ultimi sette anni. Queste sfide hanno spinto il governo a richiedere ulteriori aiuti finanziari per stabilizzare l'economia e supportare la transizione politica.

Settori della società più emarginati – donne, minoranze religiose ed etniche, lavoratori poveri– denunciano di essere stati esclusi dal processo di ricostruzione nazionale. In alcuni casi, sono addirittura vittime di nuove forme di violenza.

Il clima politico è teso, e il rischio di nuove esplosioni di piazza è concreto. Molti temono che l'annuncio di una data elettorale possa riaccendere i disordini. Una parte significativa della popolazione sostiene ancora la Lega Awami, eppure la maggior parte degli attuali attori politici sta spingendo per elezioni senza la sua partecipazione. Ciò solleva serie preoccupazioni sull'inclusività e la legittimità del processo elettorale. Allo stesso tempo, la crescente influenza di partiti islamici che invocano l’introduzione della shari’a preoccupa le minoranze religiose, che rappresentano circa il 10% della popolazione.

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