15/05/2025, 16.05
LANTERNE ROSSE
Invia ad un amico

Fabbriche vuote e licenziamenti: la periferia cinese già colpita dai dazi

Dietro la prima tregua tra Washington e Pechino nella guerra commerciale anche le preoccupazioni cinesi per la situazione nelle aziende tessili che lavorano in subappalto per i grandi marchi. Il China Labour Bullettin ha censito in aprile proteste e chiusure. Le autorità locali cercano di limitare i danni con mediazioni informali sperando nella ripresa. Le dichiarazioni sull'"uscita responsabile" dei marchi occidentali contraddette dai fatti.

Milano (AsiaNews/Agenzie) - L’accordo raggiunto a Ginevra che ha sospeso per 90 giorni i dazi supplementari e le contromisure varate nelle ultime settimane da Cina e Stati Uniti è un stato un primo spiraglio di tregua nella guerra commerciale. Ma già queste settimane di tensioni sono state tutt’altro che indolori. Soprattutto per l’ultimo anello della catena: i lavoratori che nella Repubblica popolare sono le braccia della grande “fabbrica del mondo”. A registrarlo è un articolo pubblicato in questi giorni dal China Laboru Bulletin - l’ong basata a Hong Kong che segue con costanza le dinamiche del lavoro nella Cina continentale – e che ha analizzato i segnali giunti nelle ultime settimane dalle fabbriche tessili cinesi.

Com’è noto Pechino domina tuttora la produzione globale in questo settore, rappresentando il 31,6% delle esportazioni mondiali di abbigliamento e il 43% di quelle di tessuti. Si tratta di un'industria con un giro d’affari da 300 miliardi di dollari, sostenuta da 15 milioni di lavoratori migranti interni, principalmente donne, che lavorano con salari bassi e scarse protezioni sociali. In verità già nei primi mesi del 2025 il settore mostrava segnali di crisi: le esportazioni cinesi di tessuti erano già diminuite del 4,5% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Ora, i dazi stanno accentuando bruscamente il calo, con pesanti ripercussioni sui lavoratori.

Le più colpite sono le piccole fabbriche che lavorano in subappalto: a differenza dei giganti dell'industria con operazioni all'estero e basi di clienti diversificate, sono estremamente vulnerabili a cancellazioni improvvise di ordini e fermi nella produzione. Il risultato è un'ondata di chiusure improvvise che si stanno diffondendo.

La mappa delle proteste registrate dal China Labour Bullettin ha registrato ad aprile cinque agitazioni collettive di lavoratori di questo settore, un numero che appena evoca l'entità del disagio. Sui social media, infatti, proliferano storie di fabbriche chiuse e salari non pagati. In sole tre settimane, sono stati registrati 29 casi di lavoratori dell'abbigliamento che si sono lamentati pubblicamente di licenziamenti improvvisi. Video online mostrano cancelli di fabbriche chiusi e banchi deserti. “Quest'anno è troppo difficile: una fabbrica da 200 lavoratori ha chiuso dall'oggi al domani; il capo ha venduto tutta l'attrezzatura”, dice un uomo, incredulo, mentre filma lo stabilimento chiuso. In un altro video, una donna cammina in un laboratorio silenzioso: “Questa fabbrica ha funzionato per oltre 20 anni. Ora le linee di produzione si sono fermate completamente… Stiamo solo seduti qui aspettando di perdere altri soldi”.

Nonostante la gravità della situazione, i lavoratori che affrontano salari non pagati e disoccupazione improvvisa hanno per lo più ceduto alla disperazione silenziosa, esprimendo frustrazione individualmente online piuttosto che impegnarsi in azioni collettive. Questo in primo luogo perché il rallentamento economico generale ha lasciato i lavoratori cauti, privilegiando la conservazione del posto di lavoro piuttosto che il confronto. Inoltre molti datori di lavoro hanno gestito i licenziamenti in modo discreto, offrendo pagamenti parziali o periodi di sospensione, impedendo così proteste aperte. In terzo luogo, poi, i governi locali spesso intervengono con mediazioni informali per mantenere la stabilità sociale e evitare disordini su larga scala, impedendo che le dispute sfocino in manifestazioni pubbliche. “La speranza – osserva il China Labour Bulletin - è utilizzata come calmante: speranza che la fabbrica riapra il mese prossimo, speranza che arrivi presto un piccolo pagamento. Quella speranza, anche se esigua, ha portato molti a non intraprendere il passo drastico di un'azione collettiva”.

Dietro le chiusure delle fabbriche e i licenziamenti ci sono però anche i marchi internazionali che influenzano le decisioni produttive. Aziende come Nike e Adidas hanno tratto enormi profitti dalla rete di fornitori cinesi, e ora hanno dichiarato “politiche per un’uscita responsabile” dal sistema cinese. Tuttavia, ci sono significative lacune nell'attuazione. Il China Labour Bulletin cita ad esempio il caso di VF Corporation, proprietaria del marchio Vans, che nonostante le affermazioni di principio non ha rispettato pienamente gli impegni con un fornitore, con conseguenti contributi previdenziali non pagati per i lavoratori. “Il divario tra le politiche dichiarate e le pratiche effettive durante la crisi attuale - denuncia l’osservatorio - rivela un preoccupante scollamento etico, sollevando domande urgenti sull'impegno genuino dei marchi nel proteggere i lavoratori durante le ridefinizioni della propria catena di approvvigionamento”.

“LANTERNE ROSSE” È LA NEWSLETTER DI ASIANEWS DEDICATA ALLA CINA. 
VUOI RICEVERLA OGNI GIOVEDI’ SULLA TUA MAIL? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER A QUESTO LINK

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Nella guerra dei dazi fra Cina e Stati Uniti a perdere è l’economia di tutta l'Asia
22/06/2018 11:28
Guerra commerciale fra Ankara e Washington: tariffe e dazi su prodotti 'made in Usa'
21/06/2018 08:54
Pechino, più debole il settore manifatturiero e tessile
30/04/2018 08:57
Guerra commerciale: Pechino ancora in surplus. Washington serra i ranghi con la Ue
09/11/2021 12:38
Guerra dei dazi: aperture da Biden, ma le tariffe di Trump restano
05/10/2021 13:09


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”