Filippine, voto a due facce: Marcos a livello nazionale, resiste il feudo-Duterte
Quasi 70 milioni di cittadini si sono recati alle urne per le elezioni di medio termine per Camera, Senato e amministrazioni locali. La maggioranza dovrebbe rafforzare la leadership a Manila. A livello di amministrazioni locali emergono differenze e frammentazioni, fondamentale il gioco delle alleanze.
Milano (AsiaNews) - Il voto di ieri con cui 68,43 milioni di filippini erano chiamati a eleggere la Camera dei rappresentanti, a sostituire metà del Senato e rinnovare altre 18mila cariche di livello locale, dai governatori di provincia ai sindaci, ha mostrato risultati ufficiosi che ancora una volta segnalano a diversi livelli novità, certezze e ambiguità. A caratterizzare la tornata elettorale anche i molti temi sul tappeto: dallo sviluppo alla povertà, dalle contese territoriali con la Cina alla rinnovata alleanza con gli Stati Uniti, dall’accesso alla giustizia alle possibilità di assistenza sanitaria diffusa.
La competizione elettorale per la Camera (quella uscente di 316 eletti) guidata dalla coalizione di governo a cui fa capo il Philippines Federal Party (Pfp) del presidente Ferdinand Marcos Jr non dovrebbe cambiare l’assetto complessivo, anche se solo la conta definitiva potrà rendere l’esatta portata degli outsider emersi dalle urne. La maggioranza dovrebbe avere una presenza ancora più solida nel Senato (24 membri), dove la competizione con l’opposizione era più incerta, almeno nelle ultime fasi della campagna elettorale.
A livello locale le Filippine si presentano invece con una varietà di situazioni, con una parte consistente di candidati indipendenti slegati dalla competizione dinastica che contrappone i Marcos che fanno riferimento al capo dello Stato Ferdinand Marcos Jr arrivato al suo mid-term e i Duterte che hanno come leader l’attuale vice-presidente Sara Duterte. Quest’ultima in attesa della sentenza per la richiesta di impeachment, a questo punto più probabile per il ruolo attivo dei senatori nel giudizio atteso a breve, ma pur sempre riferimento “storico” del padre, l’ex presidente Rodrigo Duterte, da marzo detenuto all’Aja per il procedimento in corso nei suoi confronti per crimini contro l’umanità.
La situazione prospettata dalla conta quasi definitiva dei voti validi è di maggiore frammentazione della situazione politica generale, con un gioco essenziale delle alleanze. Di un controllo meno saldo di Marcos sulla Camera, ma maggiore sul Senato: in quest’ultimo otterrebbe almeno la metà dei 12 seggi disponibili nella consultazione di ieri ma dove i candidati filo-Duterte Christopher “Bong” Go e l’ex capo della polizia nella presidenza Duterte, Ronald Dela Rosa, sono stati i più votati. Inoltre, una affermazione inaspettata del partito Akbayan alla Camera dove solo cinque gruppi politici avrebbero superato la soglia di sbarramento del 2%. Al progressista Akbayan andrebbe il 6,71% delle preferenze sul 97,23% dei voti scrutinati, seguito in modo altrettanto inaspettato dal partito “dutertiano” Duterte Youth (5,61%).
Un’affermazione significativa dei Duterte, che potrebbe cambiare di poco l’assetto politico nazionale mentre non vi sono dubbi sulla loro “presa” nel feudo elettorale di Davao, la seconda città del Paese, dove Duterte Sr ha ripreso la carica di sindaco già detenuta per 22 anni nell’ultimo trentennio, con 660mila voti contro i poco più di 80mila del primo inseguitore. Il figlio Sebastian sarebbe il suo vice con un numero di poco inferiore di preferenze per la carica, mentre altri della famiglia avrebbero vinto ruoli amministrativi di rilievo. Apparentemente un plebiscito per Rodrigo Duterte, ritenuto dai suoi sostenitori ingiustamente accusato e estradato all’Aja e a cui il Comitato elettorale (Comelec) ha negato la possibilità di votare perché non registrato come elettore all’estero.
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