07/09/2012, 00.00
MYANMAR
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Gambira contro monaci ed esercito che sfruttano il dramma dei Rohingya

Il leader della Rivoluzione zafferano del 2007 contro i militari, che soffiano sul fuoco del nazionalismo e della religione per mantenere il potere. Critiche ai monaci che scendono in piazza per la cacciata della minoranza musulmana. E accusa: in Myanmar “non è cambiato nulla”, è sempre un regime sotto mentite spoglie.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - L'ex monaco buddista Ashin Gambira, leader della Rivoluzione zafferano del settembre 2007 repressa nel sangue dalla giunta militare allora al potere, si scaglia contro l'esercito birmano, responsabile delle violenze fra maggioranza buddista e minoranza musulmana Rohingya nello Stato di Rakhine. Per Ko Nyi Nyi Lwin - come si fa chiamare, dopo aver abbandonato l'ordine dei monaci a inizio anno - a differenza di migliaia di ex confratelli scesi in piazza per solidarizzare con i vertici governativi, la colpa è dei militari che usano il conflitto nell'ovest del Myanmar per "mantenere il potere"; egli non risparmia "critiche" ai religiosi che hanno aderito alle proteste e che finiscono per fare il gioco dell'esercito.

In una lettera tradotta e rilanciata da diversi siti di attivisti birmani Gambira, condannato nel 2008 a 32 anni di prigione, vittima di torture e violenze in cella (cfr. AsiaNews 17/01/2012 Ashin Gambira: riforme di facciata, il governo birmano viola diritti umani e libertà religiosa), afferma che "le violenze [...] sono un esempio di come le dittature del mondo sfruttino i conflitti per restare al potere". Egli precisa che l'esercito sfrutta la tattica del "divide et impera", soffiando il fuoco su sentimenti popolari quali "nazionalismo, religione, condizione economiche e grado di istruzione" per mantenere separate le persone. "Anche in passato vi sono stati conflitti fra monaci buddisti e musulmani - aggiunge - e la dittatura militare ne ha sempre beneficiato".

Gambira - tornato allo stato laico perchè molti monasteri hanno rifiutato di ospitarlo, all'indomani della liberazione - condanna anche il comportamento degli ex confratelli, scesi in piazza per solidarizzare col governo. "È triste vedere - commenta - che alcuni monaci buddisti si sono uniti alle manifestazioni e alle campagne contro i Rohingya" perché vanno contro "gli insegnamenti del Buddha". E per quanto concerne il panorama politico, spiega che "le stesse persone che dominavano prima la Birmania, adesso si presentano sotto le mentite spoglie di un governo legale agli occhi del mondo". Ma, conclude, "in Myanmar non è cambiato nulla".

Almeno 5mila monaci buddisti birmani hanno aderito alla marcia di protesta - autorizzata da funzionari e polizia - che si è tenuta il 2 settembre per le vie di Mandalay. I religiosi hanno sfilato assieme alla popolazione, per sostenere la controversa proposta del presidente Thein Sein all'agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) che chiede la "deportazione" di centinaia di migliaia di musulmani Rohingya dai centri di accoglienza, perché "non fanno parte della nazione birmana". Manifestazioni di piazza proseguite nei giorni successivi.

Il governo birmano non riconosce i Rohingya come etnia, ma li considera immigrati clandestini provenienti dal vicino Bangladesh. Per le Nazioni Unite sono almeno 800mila gli esponenti della minoranza musulmana stanziati nella ex Birmania e rappresentano uno dei gruppi più perseguitati al mondo. Il Myanmar, composto da oltre 135 etnie, ha avuto sempre difficoltà a farle convivere e in passato la giunta militare ha usato il pugno di ferro contro i più riottosi. I musulmani costituiscono circa il 4% su una popolazione di 60 milioni di persone. I Rohingya sono concentrati nello Stato di Rakhine, teatro nelle scorse settimane di violenze e scontri - che hanno causato decine di vittime - fra la maggioranza buddista e la minoranza musulmana. Un altro milione o più sono dispersi in altre nazioni: Bangladesh, Thailandia, Malaysia. 

 

 

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