07/05/2024, 09.19
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Gaza, abate Schnabel: lo ‘scandalo’ del perdono cristiano e la guerra che ‘de-umanizza’

di Dario Salvi

Il benedettino di origine tedesca che guida il monastero della Dormizione stigmatizza l’atteggiamento da “tifoserie” mentre “le persone soffrono, muoiono”. Il fronte opposto visto come “mostro” o “animale” per giustificare le violenze. L’ascesa al potere del governo di ultra-destra di Ben-Gvir ha determinato una escalation negli attacchi anti-cristiani nella Città Vecchia. Come Gesù preghiera e perdono in risposta all’odio, via di riconciliazione.

Milano (AsiaNews) - All’esterno vi è una “erronea percezione” dei fatti che stanno avvenendo negli ultimi mesi in Terra Santa, le persone “non sembrano cogliere la situazione” fraintendendola, quasi fossero gli spettatori “di una partita di calcio” con le opposte tifoserie a sostenere la propria squadra: una parte “sventola bandiere di Israele”, altri “quelle palestinesi” ma “non è un gioco”, perché qui “le persone soffrono, tante muoiono”. In queste ore in cui le speranze di una tregua e le ulteriori azioni militari sul campo di battaglia si alternano in maniera drammatica, l’abate Nikodemus Schnabel, benedettino di origine tedesca alla guida della basilica della Dormizione sul monte Sion a Gerusalemme, insiste con forza sulla visione erronea e fuorviante della guerra a Gaza, innescata dall’attacco (terrorista) di Hamas del 7 ottobre scorso.

“In questo modo - spiega il religioso raggiunto al telefono da AsiaNews - si perde il punto della questione, per questo invito tutte le parti a fermarsi, a mettere fine alla logica degli hashtag siano ‘istandwithisrael’ o freepalestine’ che non aiutano a capire le ragioni profonde del conflitto. Per me è impossibile scegliere una delle due parti”. Proseguendo nella riflessione, egli non nasconde critiche anche per quanti affermano che si debba essere solidali con Israele perché ha sofferto o con i palestinesi perché vittime di oppressione. “Non è questo il modo - osserva - perché bandiere e confini sono creati dagli esseri umani” e sono, in molti casi, elemento “di confusione: stiamo parlando di esseri umani”.  

‘De-umanizzare’ il conflitto

Nato nel dicembre 1978 a Stoccarda, in Germania, il benedettino vive da tempo in Terra Santa ed è fra i massimi esperti della Chiesa orientale. Già amministratore della Dormizione e vicario patriarcale dei migranti per il Patriarcato latino di Gerusalemme dal 2021 al 2023, il 28 maggio dello scorso anno viene intronizzato come abate della basilica a Gerusalemme. Un luogo di culto situato in una zona che, anche in passato, ha conosciuto momenti di tensione e non è estranea a episodi di violenza confessionale o di attacchi da parte di gruppi estremisti ebraici. Lo stesso abate Nikodemus è stato bersagliato da sputi in più di un frangente da parte di estremisti mentre, in una occasione, anche le autorità israeliane gli avevano chiesto di togliersi la croce mentre si trovava nei pressi del Muro del Pianto, all’esterno dell’area riservata agli ebrei per la preghiera. Parole che tradivano, secondo il religioso, la mancanza di rispetto e la negazione dei diritti da parte dell’attuale leadership al potere, oltre a rappresentare una chiara violazione alla libertà religiosa. 

Nel Striscia osserva con preoccupazione una crescente “de-umanizzazione del conflitto”,  che traspare sin dalle dichiarazioni, oltre che dagli eventi sul terreno: “Il ministro della Difesa israeliano - sottolinea il religioso, che è a capo anche del monstero di Tabgha - che definisce ‘animali’ quelli che hanno sferrato l’attacco del 7 ottobre. E la stessa propaganda di Hamas, secondo cui gli israeliani sono dei mostri. Da ecclesiastico - puntualizza - vorrei ricordare che stiamo parlando di esseri umani. Di cristiani, ebrei, musulmani che vivono assieme e che, come ogni essere umano, sono uguali”. Una “de-umanizzazione” ripete insistendo sulla definizione, che considera “molto problematica” e si riflette in una visione caratterizzata da “tifoserie contrapposte”, mentre la questione va affrontata nel profondo. “Prima ancora di parlare di dialogo - spiega - dobbiamo pensare che siamo di fronte a persone”. E smetterla di sfruttare le tragedie personali da entrambe le parti, per “suscitare emozione ed empatia” e giustificare le azioni.

Estremisti al governo

Dietro l’esplosione di violenze, la radicalizzazione, la polarizzazione delle parti in causa che ha originato non solo il conflitto nella Striscia ma è alla base degli attacchi contro i cristiani (in progressivo aumento) vi è l’ascesa al potere dell’attuale governo in Israele a fine 2022. A partire dal ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, fra i fautori di questa “esplosione di violenza e dell’escalation di attacchi” che portano l’abate Nikodemus a definire lo scorso anno “orribile per i cristiani: atti vandalici, sputi, profanazione dei cimiteri, attacchi fisici e verbali” sono stati un crescendo fino al 7 ottobre, data che ha rappresentato “uno shock collettivo” che ha segnato nel profondo i comportamenti. Da dicembre “sono ripresi gli assalti, ma quello che è cambiato rispetto al passato - osserva - è che l’attuale esecutivo giustifica e sostiene queste azioni” violente contro i cristiani, in aperta violazione dei diritti umani e della libertà religiosa. Più che un problema confessionale, oggi in Terra Santa siamo di fronte a un “problema politico” che trae origine dalle più alte cariche istituzionali del Paese.

L’abate Nikodemus ricorda quanto successo nel 2015 quando una serie di roghi hanno colpito alcuni importanti luoghi di culto cristiani, all’epoca condannati da buona parte delle istituzioni a partire dal presidente Reuven Rivlin. Fra questi ricordiamo il convento di san Charbel dei maroniti a Betlemme e la chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci, sulla riva nord-occidentale del lago di Tiberiade. L’allora avvocato Ben-Gvir ha difeso in tribunale gli estremisti, sostenendo sul piano ideologico e all’atto pratico queste azioni. “Ora questo uomo - sottolinea il religioso - è responsabile della mia sicurezza, oggi è al governo ed è questo il problema”. In passato, prosegue, estremisti “mi hanno sputato addosso di notte, quasi di nascosto, mentre ora lo fanno in pieno giorno e pure davanti alle telecamere, in modo aperto, perché si sentono legittimati. Hanno anche cercato di privarmi della croce… ecco perché siamo di fronte a un problema politico, più che religioso ed è inaccettabile”. Il primo ministro Benjamin Netanyahu “guarda a come sopravvivere” e per farlo non ha esitato a scendere a compromessi con l’ala radicale, estremista e suprematista ebraica che non si preoccupa di condannare le violenze confessionali, al contrario le legittima. Ecco perché bisogna riconoscere, e ammettere, che “abbiamo anche il problema dell’odio degli estremisti ebraici contro i cristiani e che Israele non è più quel ‘paradiso’ per i cristiani e sola democrazia in Medio oriente”. 

Lo “scandalo” cristiano

Tornando al 7 ottobre, l’abate della Dormizione ricorda il tributo di sangue versato dai cristiani “con i quattro migranti filippini uccisi da Hamas” e “un cattolico indiano colpito dai razzi di Hezbollah” nelle settimane successive. E ancora “i 32 cattolici di Gaza” ammazzati dall’esercito israeliano nella guerra al movimento estremista che controlla la Striscia e questo nonostante “la comunità sia pacifica e nulla abbia a che spartire con Hamas. Niente - afferma - giustifica la loro uccisione e lo stesso vale per i filippini che non sono coinvolti nell’occupazione, con le incursioni” dell’esercito con la Stella di David nei Territori o “le azioni di coloni ed estremisti ebraici”. Alle violenze di una parte del Paese, avallate dalla classe dirigente, l’abate della Dormizione contrappone dialogo, confronto e collaborazione con la società civile e i leader religiosi “che credono nella coesistenza e condividono la mia visione di Gerusalemme città aperta” alle religioni monoteiste. 

“Come cristiani - ricorda - dobbiamo essere consapevoli che siamo una piccola minoranza, non possiamo davvero essere ponte fra ebrei e musulmani, fra israeliani e palestinesi. Per questo dobbiamo essere più autentici, valorizzare la differenza di lingue e culture perché la nostra comunità è formata da palestinesi, israeliani, immigrati da Sri Lanka, India, Filippine, dall’Europa con un tratto distintivo che unisce: il battesimo. Il 2 novembre scorso abbiamo celebrato una toccante messa per le vittime filippine uccise da Hamas, durante la quale nella prima intercessione si è pregato Dio chiedendo di proteggere i nostri fratelli e sorelle a Gaza”. Questa, sottolinea, è proprio “la visione umana che si contrappone alla disumanizzazione imperante”. Infine, il religioso sottolinea un elemento che “può forse scandalizzare” ma che si contrappone alla “polarizzazione estrema: ciascuna delle due parti soffre e chiede preghiere per le proprie vittime - conclude l’abate Nikodemus - ma io rispondo che dobbiamo avere il coraggio di pregare per i nemici. Una messa per chi ci odia: questa la risposta secondo l’insegnamento di Gesù, unica via di riconciliazione”.

 

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