22/02/2024, 12.51
LANTERNE ROSSE
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Gli imprenditori di Taiwan in fuga dalla Cina: minimo storico di investimenti

Sulla scia delle tensioni politiche e delle strategie di "diversificazione" l'anno scorso solo l’11,4% degli investimenti esteri di Taipei è finito nella Repubblica popolare cinese. Un tracollo rispetto all’83,8% registrato nel 2010. In calo anche la presenza cinese sull’isola: nel 2022 Pechino ha rappresentato il 34% del totale globale delle imprese, solo 10 anni fa era pari ai due terzi. Delegazione di parlamentari Usa in visita a Taiwan. 

Taipei (AsiaNews) - Le crescenti tensioni fra Taipei e Pechino, che considera l’isola “ribelle” parte del proprio territorio e che da tempo avanza la prospettiva di una riunificazione forzata, sta determinando la fuga degli uomini di affari taiwanesi dalla Cina. Lo scorso anno, infatti, il volume ha toccato il minimo storico con l’11,4% degli investimenti esteri totali, come ha riferito il Mainland Affairs Council e che contrasta con un passato in cui i legami erano decisamente più stretti. Infatti, il dato costituisce un vero e proprio tracollo rispetto all’83,8% registrato nel 2010 ed è legato alla decisione degli imprenditori di Taiwan di diversificare i loro investimenti a livello globale negli ultimi anni, riscontrando peraltro un notevole successo. 

Dal 1991 al 2023 si contano 45.523 investimenti da Taiwan in Cina (una media di oltre 1400 all’anno), per un totale di 206,37 miliardi di dollari pari al 50,7% di tutti gli investimenti esteri secondo i dati della Commissione investimenti del ministero per gli Affari economici. Prendendo in esame l’importo e la percentuale è evidente il crollo, con “solo” 328 investimenti registrati lo scorso anno per un totale di 3,04 miliardi di dollari e una diminuzione del 39,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. 

A fronte di uno scontro crescente fra gli Stati Uniti e la Cina nei diversi settori, dal commercio alla tecnologia, gli imprenditori di Taiwan hanno diversificato la loro strategia di investimenti, andando a modificare anche la catena produttiva e di approvvigionamento. Come prima conseguenza il calo vistoso degli investimenti a tutto vantaggio di altre realtà come Stati Uniti, Europa e Giappone. 

Il crollo degli investimenti dall’isola ribelle non aiuta certo l’economia cinese che, negli ultimi anni, ha registrato una decisa diminuzione nei ritmi di crescita. E per il 2024 la tendenza dovrebbe essere confermata: i principali istituti internazionali (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, S&P Global Ratings e Goldman Sachs) prevedono infatti una crescita che non dovrebbe superare il 4% secondo le stime più ottimistiche, mentre quella di Taiwan ha fatto registrare un non altrettanto entusiasmante (per l’area) +1,4%. Per l’istituto giapponese Nomura Securities Co sono almeno quattro le grande sfide che si trova ad affrontare oggi Pechino: un consumo stagnante, un mercato immobiliare bloccato, un commercio estero che fatica a ripartire e una capacità eccessiva nelle industrie emergenti, fra cui veicoli elettrici o ibridi.

E se gli imprenditori di Taiwan scappano dalla Cina, quelli del continente cercano a fatica di mantenere i loro rapporti e di salvare gli affari sull’isola. I dati ufficiali, relativi al 2022, mostrano che la Cina ha rappresentato il 34% del totale mondiale delle imprese, seguita da un 31% da nazioni del Sud-est asiatico e dall’India, fino al 13% da Stati Uniti ed Europa. Un dato che, sebbene confermi il primato, appare in netto contrasto con quanto avveniva fino a un decennio fa quando Pechino rappresentava oltre i due terzi degli investimenti esteri globali di Taiwan.

Nel tempo molti uomini di affari di Taiwan hanno perso fiducia e speranze nell’economia cinese, soprattutto dall’ascesa al potere del presidente Xi Jinping, formulando piani quinquennali di progressivo ritiro da un Paese in cui l’impresa cala, mentre tasse e costo del lavoro aumentano. Un effetto della fallimentare politica di “prosperità comune” imposta dal leader di Pechino e dello scontro in atto - per ora politico e commerciale - fra il dragone e Washington. Intanto l’economia cinese affronta sfide strutturali, con un gran numero di edifici incompiuti in diverse province e città e investitori stranieri che stanno cercando di lasciare il Paese. A questo si somma la grave deflazione, una domanda dei consumatori giudicata insufficiente e un alto tasso di disoccupazione unito alla corsa al risparmio, elementi che confermano una ripresa debole.

Un’altro segnale a riprova dell’inversione di rotta arriva dal settore agricolo, con gli Stati Uniti che, per la prima volta lo scorso anno, avrebbero superato la Cina come principale acquirente dei prodotti di Taiwan. Lo stesso vale per l’elettronica, con i produttori di chip dell’isola che stanno rafforzando i legami con l’America a discapito di Pechino. 

In questa fase di turbolenza nelle relazioni lungo lo stretto e di un crescente “ponte” con Washington, si inserisce la visita iniziata oggi di una delegazione di parlamentari statunitensi guidata da Mike Gallagher, presidente dello US House of Representatives committee on China. Si tratta di una commissione ristretta della Camera bassa col compito di analizzare la competizione economica e in materia di sicurezza fra gli Usa e il Partito comunista cinese (Ccp). Nelle prime dichiarazioni rilasciate al suo arrivo accompagnato da altri cinque delegati, il parlamentare Usa ha accusato Pechino di “bullizzare” Taipei ma l’isola ha “mostrato al mondo” che è possibile “non solo sopravvivere, ma prosperare”. Nel corso della visita previsti incontri con le massime autorità locali, fra cui la presidente uscente Tsai Ing-wen e il vice Lai Ching-te, vincitore alle elezioni del mese scorso e che assumerà l’incarico a maggio. L’attuale capo dello Stato ha sottolineato che questa nuova visita è il segnale “del forte sostegno americano alla democrazia di Taiwan”, comprovato non solo a parole ma anche nei fatti con “azioni concrete”. In passato, la visita nel 2022 della presidente della Camera Usa Nency Pelosi aveva provocato l’ira di Pechino che, in risposta, aveva ordinato le esercitazioni militari più vaste di sempre della Cina attorno all’isola ribelle.

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