22/01/2022, 09.00
MONDO RUSSO
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Gli orizzonti dell'Eurasia

di Stefano Caprio

La Russia ospita al suo interno oltre 200 nazionalità, ma esprime una cultura dominata da un popolo solo, quello russo, che in Asia si propone come europeo e in Europa ribadisce il grido d’assalto dei popoli asiatici. Le stesse pretese russe di “garanzie della sicurezza” nelle trattative con l’Occidente per evitare il precipitare del conflitto ucraino, contengono in sé tutte le suggestioni di una nazione che si percepisce come "intercontinentale".

Roma (AsiaNews) - C’è un grande equivoco che si perpetua nella percezione dello spazio a livello mondiale, e che produce di continuo nuovi fraintendimenti e contraddizioni. Riguarda l’Europa, che nella geografia ufficiale è considerata uno dei cinque continenti in cui si dividono le terre emerse, mentre a differenza delle Americhe, dell’Africa e dell’Oceania, il territorio europeo costituisce in realtà un’appendice dell’Asia, e non di grandi dimensioni. La stessa definizione di Europa, del resto, ha radici poco chiare sia a livello storico, che a livello geografico, essendo di fatto un risultato della divisione medievale di quella che era la vera terra d’origine dei popoli e delle culture europee: il Mediterraneo, una corona di territori che abbraccia un mare che a sua volta è poco più di un lago rispetto agli oceani, e che oggi sono suddivisi in tre continenti, pur essendo palesemente uniti dal destino e dalla storia. Lo stesso nome Europa, tra l’altro, risale alla mitologica figlia di Agenore, il re di Tiro, in territorio asiatico libanese.

Dov’è la linea di confine, la separazione tra Europa, Asia e Africa? E quali sono le differenze che distinguono i popoli che rappresentano tali continenti? Queste domande si ripropongono a ogni svolta della storia, a ogni guerra e a ogni trattativa di pace, a ogni movimento migratorio, che rappresenta il fenomeno più naturale del genere umano: lasciare la propria casa per costruire un nuovo futuro, e una nuova casa. Sembrava che un ventennio di “globalizzazione” avesse annullato queste ansie e queste distinzioni, aprendo a tutti i popoli le porte di quella “casa comune” che già il visionario Alessandro Magno, tre secoli prima di Cristo, aveva chiamato oikoumene, la “nostra casa” dalla Macedonia fino all’India. Oggi siamo di fronte a un nuovo inizio, o a una nuova fine, un nuovo Medioevo.

L’Africa preme sull’Europa con incessanti viaggi della speranza di chi fugge dalla miseria, dalla guerra, dalla persecuzione, dal deserto sempre più vasto e inospitale. Il Medio Oriente è dilaniato dai sogni di nuovi emirati e sultanati che nascono e muoiono, si alleano e si combattono come ai tempi dei successori di Maometto. L’Asia ribolle di fermenti etnici e sogni imperiali, e perfino il grande progetto della “Via della Seta” rievoca suggestioni medievali; l’Europa non riesce in alcun modo a trovare una propria identità convinta e condivisa. L’Unione Europea è un titolo altisonante per definire una rissosa e incerta alleanza tra 27 dei 50 Paesi dell’Europa, che coinvolge 450 milioni di persone sui 720 dell’intero “continente”. Per non parlare dei riflessi che tutto questo provoca sulla vita degli abitanti delle Americhe e dell’Oceania, continenti formati etnicamente dai popoli europei, asiatici e africani.

In tutta questa confusione c’è un Paese che riassume tutte le contraddizioni e le crisi d’identità, ciò che costituisce la sua maledizione e insieme la sua eccezionalità nel panorama internazionale. Questa è la Russia, l’unica nazione veramente “intercontinentale”, il “Mondo Russo” che occupa un sesto delle terre emerse del globo terrestre, contendendo il primato di estensione ai ghiacci dell’Artico e della Groenlandia. La Russia costituisce da sola quasi la metà dell’Europa, e quasi la metà dell’Asia. Pur essendo assai poco popolata, solo 144 milioni di persone, ospita al suo interno oltre 200 nazionalità, ma esprime una cultura dominata da un popolo solo, quello russo, che in Asia si propone come europeo, e in Europa ribadisce il grido d’assalto dei popoli asiatici, come scrisse il poeta Aleksandr Blok ai tempi della rivoluzione, nella poesia “Gli Sciti”:

Voi – milioni. Noi – nugoli agguerriti.
Fateci guerra, o ardimentosi!
Sì, noi – gli asiatici! Sì, noi – gli Sciti,
Con gli occhi a mandorla e bramosi!

Noi – solo un’ora, voi secoli aveste.
Noi, servi docili e ubbidienti,
Fummo lo scudo tra le razze avverse
Dell’Europa e delle barbare genti!

Il vostro martello i secoli forgiava,
Coprendo il rimbombo della lavina,
E per voi una fiaba diventava
La distruzione di Lisbona e Messina!

Voi per centenni guardavate a Oriente,
Ammassando e fondendo i nostri ori,
E aspettavate il momento conveniente
Per puntarci contro i vostri cannoni!

È ora. Batte le ali la sventura,
E ogni giorno aumenta l’offesa,
E il momento verrà in cui nessuna
Traccia di Paestum resterà illesa!

Il filosofo Vladimir Solov’ev, a fine ‘800, chiamava questa pretesa dei russi il “panmongolismo”, risalente al periodo in cui la Russia era sotto il giogo dei tartari. L’altro nome che divenne molto evocativo dopo la rivoluzione, per essere poi ripreso oggi come definizione dell’anima e della politica russa, è quello dell’Eurasia.

Il movimento eurasista è veramente esistito agli inizi del ‘900, per poi sciogliersi nelle contraddizioni tra chi appoggiava e chi rifiutava il regime sovietico. È poi riemerso in altra forma nel ventennio putiniano, soprattutto ad opera di uno degli ideologi del nuovo potere, il filosofo Aleksandr Dugin, che nel 1996 pubblicò un testo-manifesto, “I misteri dell’Eurasia”, per ispirare un partito, Evrazija, fondato nel 2002 ed esteso l’anno successivo nel Movimento eurasiatico internazionale. Queste suggestioni sono confluite nel partito del presidente, quella “Russia Unita”, Edinaja Rossija, che con i suoi deputati edinorossy domina tutte le assisi parlamentari del Paese da oltre un decennio. L’ideologia di Putin è oggi convintamente eurasiatica, come obiezione anti-globalizzante al dominio delle due vere superpotenze attuali, gli Stati Uniti e la Cina.

Prima ancora di Dugin, nel 1994 si era formata l’Unione degli Stati Eurasiatici su iniziativa del presidente-eterno del Kazakistan, Nursultan Nazarbaev, oggi ancora al centro dell’attenzione dopo le sommosse di gennaio ad Almaty. Questa alleanza si è poi trasformata e riformulata in vari modi, diventando nel 2011 l’Unione economica eurasiatica sotto l’egida degli stessi Putin e Nazarbaev, associando l’altro leader ex-sovietico in sella dagli anni ’90, Aleksandr Lukašenko, come integrazione di Russia, Bielorussia e Kazakistan in vista di una futura “Unione Asiatica” in grado di contrapporsi alla Ue e agli Usa. Si rendeva così evidente l’equilibrio bicontinentale, affiancando alla Russia un Paese dell’Europa orientale e uno dell’Asia centrale, per attrarre tutti gli altri in una nuova visione del mondo.

La Russia ha sempre cercato di distinguersi dall’Asia per assimilarsi davvero all’Europa, senza riuscire mai a portare a compimento tale disegno. In realtà, più che la Bielorussia, a Mosca serve mantenersi stretta un’altra dimensione della sua natura storico-geografica, quella dell’Ucraina, la “piccola Russia” ai cui confini oggi si ammassano oltre 100mila soldati che minacciano un’invasione dalle conseguenze catastrofiche per tutta l’Eurasia e il mondo intero. Non c’è un vero confine tra Russia e Ucraina, come non esiste una delimitazione tra Russia e Kazakistan: non a caso Putin li definisce entrambi come “Paesi naturalmente russi” per la condivisione del territorio, della storia, della lingua e di mille altre dimensioni.

La stessa etnia “kazaca”, pur essendo fondamentalmente turanica – e infatti richiama le attenzioni di un altro disegno globale, quello neo-ottomano della Turchia di Erdogan – ha molto in comune con quella slava “di confine” (u-kraina), al punto che nella lingua russa non si distingue il suono dei termini kazàk, abitante del Kazakistan, e kozàk, il “cosacco” che ha dato vita alla nazione ucraina a cominciare dal ‘600, essendo la “o” non accentata pronunciata come una “a”. I cosacchi erano gruppi di semi-nomadi in cui lo slavo si mescolava al turco e all’asiatico, e cercavano di difendere la propria libertà vivendo “ai margini”, combattendo contro chiunque volesse sottometterli e ridurli a servi della gleba. Se l’Ucraina è per i russi il “divano di casa” su cui adagiarsi per godere di ogni comodità, il Kazakistan e i Paesi adiacenti (il “Turkestan” degli zar ottocenteschi) è il “cortile posteriore” in cui sentirsi totalmente liberi da ogni formalità, e muoversi senza limitazioni per poi ricomporsi uscendo nell’alta società.

Le pretese russe di “garanzie della sicurezza” nelle trattative con l’Occidente, per evitare il precipitare del conflitto ucraino, contengono in sé tutte queste suggestioni dell’Eurasia, della ricostituzione dello spazio ex-sovietico, del dominio tataro-mongolo e del “grande gioco” dell’Asia centrale del XIX secolo, quando l’impero russo contendeva agli inglesi questi territori (soprattutto l’Afghanistan) per assicurarsi il controllo dell’Asia intera. Oggi la Russia dipende economicamente sia dall’Occidente europeo-americano, sia dall’Oriente cinese, ma può far valere la sua forza militare, l’importanza strategica del suo territorio e la ricchezza delle materie prime, necessarie all’una e all’altra parte. Non può lasciar andare i suoi “popoli di confine”, i kazachi-cosacchi che non solo la proteggono dal resto del mondo, ma ancor di più la definiscono come centro del mondo.

 

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