15/04/2023, 09.38
AFGHANISTAN
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Herat, talebani come l’Isis: al bando negozi di giochi, film e musica straniera

Un blocco che ha causato in primis pesantissime ripercussioni all’economia delle famiglie. Chiuse oltre 400 attività, alcuni commercianti hanno perso l’investimento di una vita. Altri ancora vedono come unica soluzione la fuga all’estero. Rappresentante talebano: promuovevano valori e cultura indiani e occidentali, le donne non indossavano l’hijab.

Herat (AsiaNews) - Seguendo le orme dello Stato islamico a Mosul negli anni di dominio jihadista, i talebani afghani a Herat hanno messo al bando musica, film stranieri e videogiochi imponendo una rigida applicazione della sharia, la legge islamica. Una decisione che ha causato pesanti ripercussioni non solo sulla socialità degli abitanti, abituati nel periodo precedente maggiori libertà, ma causando anche danni ingenti all’economia e alle attività di centinaia di esercenti che hanno visto andare in fumo gli investimenti, e i risparmi, di una vita. Come nel caso del 28enne Humayun, che aveva investito quasi 10mila euro per avviare una sala giochi nella cittadina occidentale dell’Afghanistan quasi quattro anni fa. 

In un primo momento l’investimento aveva dato i suoi frutti, con le potenti consolle del negozio che attiravano molti giovani che spendevano i loro risparmi per giocare alle ultime versioni dei videogiochi più popolari. Tutto è cambiamento nell’agosto del 2021, con la presa di potere degli studenti coranici a Kabul e il ritorno di norme oscurantisti come il divieto di istruzione femminile o le pesanti restrizioni all’impiego delle donne nelle ong, locali e internazionali, attive nel Paese. 

La crescente disoccupazione e una forte recessione economica hanno gravato in modo pesante sugli afghani, compresi i potenziali clienti dei negozi di una città da mezzo milione di abitanti. Ad inasprire la situazione, la scorsa settimana il “game over” decretato dai talebani per Humayun e molti altri commerciali come lui che hanno messo i sigilli alla sala giochi. Una chiusura preceduta dal bando decretato dal ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio, che hanno bollato come “non islamici” i film stranieri, musica e videogiochi. “Questo business era la mia vita - ha raccontato il giovane Humayun a Radio Azadi - e ora non ho più alcuna fonte di reddito o un sostentamento”.

Il decreto talebano, giunto senza alcun preavviso, ha portato al blocco di oltre 400 esercizi commerciali nella sola Herat e segue il giro di vite imposto a varie forme di intrattenimento, come la chiusura degli spazi all’aperto per donne e famiglie. A ottobre il movimento estremista islamico ha chiuso in tutto il Paese i caffè che proponevano il narghilè, il cui fumo è un passatempo popolare tra gli uomini afghani. In precedenza, a maggio, hanno vietato a uomini e donne di mangiare insieme nei ristoranti di Herat e hanno chiuso i ristoranti di proprietà e gestiti da donne in città.

L’impatto delle restrizioni sulle attività è evidente a Herat, un antico centro di vita culturale e intellettuale nel mondo musulmano situato in una posizione strategica che è anche crocevia di rotte e commerci verso l’Iran e il Turkmenistan. Prima del ritorno al potere dei talebani, il mercato di Hazratha era il centro dei videogiochi cittadino. Inoltre, decine di negozi lungo vie strette vendevano film stranieri e serie tv in Dvd, oltre a musica indiana, iraniana e occidentale.

Ora risuona un silenzio surreale nell’area del mercato e quasi tutti i negozi sono chiusi. “Qui non mi è rimasto più nulla, ormai non mi resta che trasferirmi in un altro Paese”, confessa un ex negoziante di nome Fakhruddin. Il suo negozio vendeva poster di film, Dvd e Cd musicali. Per avviarlo aveva investito poco meno di 3mila dollari, ma ormai l’attività commerciale è destinata a morire. “Devo provvedere ai bisogni di una famiglia di 11 persone - confessa - e questo negozio era la mia unica fonte di sostentamento”.

Mawlawi Azizurrahman Mohajir, capo provinciale del ministero talebano che controlla la morale e i costumi, risponde alle critiche sottolineando che la chiusura delle sale e dei negozi è conseguenza delle lamentele di molte famiglie. I figli, secondo quanto riferisce, trascorrerebbero - o meglio, sprecano - troppo tempo all’interno, trascurando altri aspetti più importanti. “Questi negozi - aggiunge - vendevano film che raffiguravano e promuovevano valori e cultura indiani e occidentali, che sono molto diversi dalla cultura e dalle tradizioni afghane”. “E i film in catalogo non avevano donne in hijab, il che è contro la sharia” ha aggiunto, riferendosi alla rigorosa interpretazione del codice di abbigliamento islamico. “Questo è il motivo - chiosa - per cui la vendita è vietata”.

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