27/10/2025, 12.26
CINA
Invia ad un amico

La corsa al primato tecnologico è davvero una carta in più per Pechino?

di Andrea Ferrario

Per decenni la Cina ha riversato risorse nel settore immobiliare generando una bolla colossale, ora le destina all'high-tech generando eccessi di capacità produttiva che non fanno crescere davvero l'economia. Milioni di lavoratori rurali espulsi dall'edilizia non trovano posto nei settori "innovativi" che creano poca occupazione. L'alternativa sarebbe investire sui 900 milioni di cinesi che vivono con dieci dollari al giorno.

Milano (AsiaNews) - A Changzhou, nella provincia cinese dello Jiangsu, sorge uno degli stabilimenti più avanzati al mondo per la produzione di batterie per veicoli elettrici. Si tratta dell'impianto dell'azienda Svolt, automatizzato al 95%, un prodigio di efficienza dove robot e macchinari lavorano con estrema precisione. Basta però attraversare la strada per trovare un grande complesso residenziale con oltre una dozzina di condomini completamente vuoti. Poco più in là, un centro commerciale ospita negozi dall'aspetto elegante, ma con pochissimi clienti. Sono immagini che mettono in evidenza il paradosso della Cina contemporanea, quello di un Paese che domina settori tecnologici avanzati mentre la propria economia ristagna e un’ampia quota della popolazione resta esclusa dai benefici del progresso.

I giornali di tutto il mondo esaltano con regolarità i successi tecnologici della Cina, dai veicoli elettrici con batterie sempre più potenti fino ai modelli di intelligenza artificiale che sfidano i colossi americani. In poco più di un decennio il Paese è balzato dal 43° al 10° posto nel Global Innovation Index, mentre gli investimenti in ricerca e sviluppo sono aumentati del 475% e la Cina detiene il primato mondiale per numero di brevetti internazionali depositati. Anche nel comunicato finale dell'atteso Quarto Plenum del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese all'enfasi sullo sviluppo dell'industria high tech è stato assegnato il primo posto nella priorità del nuovo piano quinquennale. Dietro questa facciata di successo, però, si nasconde una realtà economica profondamente problematica. Dopo tre decenni di crescita impetuosa, la Cina ha vissuto quindici anni consecutivi di rallentamento accompagnato da un aumento costante del debito. La produttività totale dei fattori risulta in declino proprio nel momento in cui gli investimenti tecnologici hanno raggiunto livelli record. L'ossessione del regime per la supremazia tecnologica ha creato un sistema che genera innovazione, ma che spreca enormi quantità di risorse, privilegiando il capitale rispetto alla popolazione e producendo sovraccapacità invece di prosperità diffusa.

Il modello di sviluppo cinese si basa su un principio semplice: lo stato identifica settori strategici e li inonda di sussidi. Tra il 2009 e il 2022 Pechino ha implementato oltre 7.500 politiche di sostegno finanziario, per un costo complessivo intorno al 4,4% del prodotto interno lordo. Questo approccio ha creato campioni nazionali in settori come i veicoli elettrici. L'azienda BYD controlla ad esempio quasi il 28% del mercato cinese e oltre il 22% di quello globale, più del doppio di Tesla. Tuttavia il meccanismo genera effetti distorsivi distribuendo i finanziamenti secondo logiche politiche anziché economiche, mentre la scarsa efficacia della legislazione sui fallimenti e l'accesso continuo al credito mantengono in vita aziende inefficienti che il mercato avrebbe altrimenti eliminato. Il risultato è una sovraccapacità sistemica in quasi tutti i settori prioritari.

La Cina conta oltre cento produttori di veicoli elettrici, molti dei quali accumulano perdite crescenti in un mercato dove l'offerta supera abbondantemente la domanda. I livelli di debito necessari per gestire enormi scorte diventano così insostenibili, trasformando i porti in parcheggi per automobili invendute e lasciando inutilizzati i chip per intelligenza artificiale in centri dati appena costruiti. La crisi finanziaria è ormai evidente e oltre un quarto delle aziende manifatturiere quotate registra utili operativi inferiori agli interessi da pagare, rispetto al 10% di appena sette anni fa. Nei settori tecnologicamente più complessi, come quelli dell'aviazione commerciale o dei semiconduttori avanzati, il Paese continua a dipendere pesantemente dall'Occidente.

Lo spreco più grave riguarda le persone, visto che circa 900 milioni di cinesi vivono con dieci dollari al giorno nonostante il Paese destini risorse enormi a fabbriche vuote e progetti falliti. Queste persone hanno livelli scarsi di istruzione e salute, un accesso limitato alla sicurezza lavorativa, al welfare e alla possibilità di risparmio. Il problema del capitale umano rappresenta forse l'ostacolo più insormontabile per le ambizioni cinesi. Circa il 60% della forza lavoro non ha frequentato nemmeno un giorno di scuola superiore, conseguenza della relativamente tardiva espansione dell'istruzione secondaria. Ci vorranno decenni prima che il Paese raggiunga i livelli di istruzione che Corea del Sud e Irlanda possedevano quando erano economie a reddito medio. Nessun Paese al mondo è mai passato dallo status di reddito medio a quello elevato con livelli così bassi di capitale umano. Le università cinesi sfornano più dottorati in discipline scientifiche degli Stati Uniti, ma tale élite istruita convive con centinaia di milioni di lavoratori privi delle competenze basilari richieste da un'economia moderna.

Questa carenza educativa si scontra drammaticamente con le trasformazioni in corso nell'economia cinese. La transizione dalla crescita trainata dal settore immobiliare a quella basata sulla tecnologia sta creando una crisi occupazionale di vasta portata. Il settore tecnologico, per quanto avanzato, crea infatti relativamente pochi posti di lavoro perché è ad alta intensità di capitale. Gli stabilimenti automatizzati come quello di Svolt, per esempio, impiegano poche centinaia di persone. Nel frattempo il crollo del settore immobiliare, che in passato con il suo indotto rappresentava circa il 30% dell'economia, ha lasciato un vuoto impossibile da colmare e oggi il Paese conta oltre 60 milioni di unità residenziali vuote, con i prezzi che continuano a scendere. Milioni di lavoratori rurali espulsi dall'edilizia non trovano posto nei settori tecnologici e finiscono come autisti o corrieri in attività precarie e mal pagate. Questa deriva ha fatto salire la quota della forza lavoro nell'economia informale dal 40% al 60% negli ultimi quindici anni. I segnali della sfiducia che attanaglia l'intera società cinese sono visibili ovunque. A Shenzhen, la città iconica del boom manifatturiero cinese, i centri commerciali sono mezzi vuoti e i ristoranti registrano un calo della clientela, mentre i dirigenti delle aziende locali frenano gli investimenti perché non si aspettano una ripresa della domanda interna.

Questa configurazione economica squilibrata deriva da scelte politiche deliberate, non da errori o inefficienze. Il sistema cinese incanala migliaia di miliardi di dollari verso progetti industriali prioritari mentre i nuclei familiari si trovano ad affrontare problemi come i bassi salari e una rete di welfare sottosviluppata. Le tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti e i loro alleati hanno convinto i dirigenti cinesi della necessità assoluta dell'autosufficienza tecnologica, cui si aggiunge la resistenza delle imprese statali e delle amministrazioni locali verso qualsiasi riforma che privilegi il benessere della popolazione Il risultato è il passaggio da un tipo di sovrainvestimento inefficiente a un altro. Per decenni la Cina ha riversato risorse nel settore immobiliare generando una bolla colossale, ora le riversa nel settore tecnologico generando eccessi di capacità produttiva e un numero crescente di aziende zombie tenute in vita artificialmente.

L'ironia della situazione attuale è che proprio mentre il modello cinese mostra le sue profonde contraddizioni, alcuni governi occidentali lo guardano come possibile riferimento per le proprie politiche industriali. L'esperienza cinese dimostra infatti che i sussidi massicci possono generare progressi impressionanti in settori specifici. Si tratta di successi innegabili, ma la lezione che viene ignorata è che non si traducono automaticamente in crescita economica diffusa o in miglioramenti della produttività aggregata. Si possono costruire giganti tecnologici ma non si può fabbricare produttività senza investire nelle persone, nella loro istruzione, nelle loro competenze e nella loro capacità di consumare.

L'immagine iniziale dello stabilimento di Svolt, con i suoi impianti altamente automatizzati che operano quasi a vuoto, rappresenta emblematicamente lo spreco sistemico che affligge oggi l'economia cinese. Si tratta di investimenti enormi che creano pochissimi posti di lavoro in un Paese dove decine di milioni di persone cercano occupazione e che causano un inarrestabile aumento del debito. Il drago tecnologico cinese può continuare a innovare e a sorprendere il mondo con i suoi progressi, ma resterà lento finché trascinerà la coda pesante di centinaia di milioni di cittadini lasciati indietro dalle scelte deliberate del regime.

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Teheran, startup innovative: nuova via della seta per alimentare economia e sviluppo
18/11/2017 08:50
A Taiwan due fra le sette città più "intelligenti" al mondo
08/04/2013
Rabbino argentino: l’intelligenza viene da Dio, non dalle macchine
27/02/2019 12:15
Dott. Carvalho: Usare i robot a favore dell’umanità, non nelle guerre
26/02/2019 11:04
Papa: Le macchine sono utili ma non pensano
25/02/2019 12:29


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”